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4 dicembre 2017

Mosul: distrutte le case, non la speranza

By Settimana News
Michael Althaus

Non lontano da Mosul sorgono le rovine della biblica città di Ninive. A partire dal primo secolo i cristiani popolavano l’intera regione. Dopo tre anni di occupazione della città da parte dei terroristi dello “stato islamico” (IS), l’eredità cristiana è ridotta a un cumulo di macerie. I fedeli sono stati uccisi o cacciati.
L’arcivescovo di Mosul, Boutros Moshe, 74 anni, ha vissuto da vicino il dramma della fuga e della distruzione. Appartiene alla Chiesa siro-cattolica e vive tuttora in esilio. Durante un recente viaggio in Europa è stato ospite, tra l’altro, dell’Accademia cattolica di Amburgo. In questa intervista, rilasciata a Michael Althaus per l’agenzia cattolica KNA (24.11.2017) riferisce sulla difficile situazione dei cristiani nell’Iraq del nord, i quali, nonostante la liberazione, stanno lottando per la loro sopravvivenza.

Nel suo viaggio verso l’Europa lei è passato per Mosul. Che cosa ha visto?
Era mattina presto e piuttosto buio, ma ho visto una quantità di macerie. Il settore occidentale dove c’erano molte nostre chiese è completamente distrutto e, per il momento, inabitabile. Molti cristiani erano fuggiti, alcuni già prima dell’arrivo dell’IS. Ai tempi di Saddam Hussein a Mosul c’erano 10 mila cristiani. All’arrivo dell’IS, nel 2014, ne rimanevano ancora 2.000, oggi in città non c’è più nessuno.
Dove sono adesso i cristiani del nord Irak?
Si trovano in gran parte nella regione dei villaggi del nord-ovest o sud-ovest di Mosul. Ma molti cristiani sono anche in Kurdistan.
Lei vive già da alcuni anni a Karakosh, a circa 30 chilometri a sud est di Mosul. Com’è la situazione dei cristiani?
Anche Karakosh è stata occupata dall’IS e tutti i cristiani dovettero fuggire. In questo tempo ho vissuto due anni e mezzo a Erbil. Allorché i terroristi nell’ottobre 2016 furono cacciati, saccheggiarono la città, incendiarono le case e distrussero le chiese. Anche se la situazione in Iraq attualmente non è ancora stabile, a Karakosh è in certo senso tranquilla. Molti cristiani, come ho fatto anch’io, sono tornati. Attualmente vivono qui da 400 a 500 famiglie. Ma c’è ancora molto da fare prima di poter avviare una vita normale.
Come si presenta attualmente la vita cristiana?
Il nostro popolo è molto credente e i nostri sacerdoti sono molto impegnati. A Karakosh si celebrano ogni giorno cinque messe. Nei giorni feriali non viene molta gente, ma la domenica non basta il posto nelle nostre chiese e molti devono rimanere fuori. Attualmente mi sto preoccupando per la festa di Natale. Non so come possiamo accogliere tutta la gente.
Voi celebrate le messe in chiese semidistrutte in cui tuttavia vengono migliaia di persone. Come vi trovate?
Le distruzioni dell’IS hanno provocato un forte shock nella gente. L’avviso diceva: se tornate indietro, vi annienteremo. Ma noi abbiamo una grande fiducia nel Signore e non ci lasciamo scoraggiare. Naturalmente dobbiamo stare molto attenti ed essere vigilanti affinché i conflitti del passato non abbiano nuovamente a ripetersi. Ma dobbiamo custodire la nostra cultura e la nostra storia di cui siamo orgogliosi. Per questo vogliamo continuare e andare avanti.
Si dice che l’IS è ormai in gran parte vinto. Ma è vinta anche l’ideologia?
L’ideologia estremista continua ad esistere. Perciò abbiamo bisogno di un forte governo laico che applichi correttamente la Costituzione. Ci sono, sia dopo come prima, molti interessi in Iraq e non è escluso che ci capiti di essere vittime di un nuovo conflitto. Noi speriamo che il governo iracheno si tenga lontano dalle dispute etniche e religiose e che noi cristiani abbiamo ad essere considerati cittadini alla pari e vengano garantiti i nostri diritti.
Questo ci attendiamo anche dalla comunità mondiale da cui recentemente abbiamo sentito delle belle parole, ma noi vogliamo vedere i fatti.
Avete fiducia che il governo iracheno garantisca la stabilità?
 Dopo così tante guerre io spero che il nostro governo abbia capito che con la violenza e la guerra non si risolve alcun problema. L’Europa, per esempio, l’ha compreso e i popoli hanno concluso la pace. La comunità mondiale deve esercitare una pressione del genere sul governo iracheno.
Lei rivolge spesso delle critiche alla comunità mondiale. Ci sono tuttavia già alcuni paesi che si impegnano nella Regione. Anche la Germania, per esempio, ha predisposto degli aiuti per la ricostruzione. Questo non è sufficiente?
Gli aiuti finanziari non sono la cosa decisiva. Noi aspettiamo qualcosa di più, che cioè la comunità mondiale eserciti una pressione sul nostro governo. Senza questa pressione, riusciremo a far poco.
Lei, assieme ad altre Chiese della Regione, ha costituito un comitato con il compito di promuovere la ricostruzione. Ha in programma anche la ricostruzione delle numerose chiese distrutte?
Personalmente sono convinto che il tema delle infrastrutture costituisca la maggiore priorità. Abbiamo bisogno di ospedali, scuole, posti di lavoro per la gente.
Dopo dobbiamo preoccuparci della costruzione delle abitazioni. Le chiese, a mio parere, possiamo ricostruirle quando ci saranno condizioni degne di vita.
Che speranze ha che i cristiani possano ritornare nella città di Mosul, così ricca di storia?
Per il momento ho poca speranza. Devo dire onestamente che la maggioranza dei cristiani non vogliono più tornare a Mosul. Molti stanno vendendo le loro case e sono sul punto di lasciare definitivamente la città. Soltanto quando avremo un governo stabile che garantisca la pace e la sicurezza posso pensare che la vita cristiana in ogni caso possa riprendere a Mosul. Ma per il momento non ne vedo la possibilità.