Pagine

6 novembre 2017

La storia dei cristiani in Siria e Iraq appare alla vigilia della fine

By Corriere della Sera
4 novembre 2017
Andrea Riccardi

Raqqa e Mosul, occupate da Daesh nel 2014, sono state liberate. Le distruzioni sono immani. A Mosul, è stata atterrata la storica tomba di Giona, venerata da musulmani, ebrei e cristiani. Queste sono terre di convivenza tra religioni. Le tante vicende dolorose non hanno finora cancellato il carattere misto della regione (divisa cent’anni fa tra Siria e Iraq l’accordo Sykes-Picot). Talvolta le minoranze si sono rifugiate sulle montagne, come i cristiani assiri, resto dell’antica Chiesa d’Oriente giunta fino alla Cina nel primo millennio. Gli yazidi vivevano sulla montagna del Sinjar, dove li ha colti la brutale offensiva islamista: stragi, conversioni forzate all’islam, donne vendute al mercato. Nel 1915, durante i massacri degli armeni, gli yazidi del Sinjar li accolsero sulla montagna, difendendoli dai turchi. I primi ad andarsene dalla regione furono gli ebrei (120.000 in Iraq), ma ovunque radicati da ben più di due millenni. Fatti segno di attacchi antisemiti dagli anni Quaranta, hanno lasciato in massa queste terre con la nascita dello Stato d’Israele. Ora comincerà la ricostruzione in Siria e in Iraq. Non c’è solo la questione curda. Un mondo di convivenza è stato distrutto. I traumi pesano. 
I cristiani della piana di Ninive, regione irachena dov’erano tanti, lasciarono in 120.000 le case nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014. I pochi rimasti videro le loro case segnate dalle milizie islamiste con la «N» in arabo, per indicare «nazareni», i cristiani. Manca la fiducia dei cristiani verso i musulmani, vicini con cui vivevano in un clima di tolleranza. Si ripropone la questione di un secolo fa: ci si può fidare dei musulmani? Non hanno alcuni di loro approfittato dei beni cristiani mentre altri hanno scelto l’islamismo?
Nel 1918, dopo le stragi degli armeni, i cristiani proposero alla conferenza di Versailles uno Stato cristiano in Mesopotamia. Nessuno la sostenne. Passò invece l’idea di un Libano a leggera prevalenza cristiana. Il Novecento ha visto assiri, caldei (assiri cattolici), siriaci ortodossi e cattolici, greco-ortodossi e greco-cattolici, protestanti vivere abbastanza bene con i musulmani: dai mandati europei ai regimi laici del Baath. Oggi invece i cristiani, se possono, emigrano. Aleppo, in Siria, ha perso più di tre quarti della vasta comunità cristiana durante la guerra. In Kurdistan ci sono 150.000 rifugiati cristiani che esitano a tornare a Mosul e nella piana di Ninive, dopo la fine di Daesh. I curdi, che hanno chiesto perdono per le stragi del 1915, tengono a una presenza cristiana e hanno offerto una residenza al patriarca assiro. Gli assiri sono gli unici cristiani a combattere a fianco dei pesmergha curdi.
Diverse sono state le strategie di sopravvivenza dei cristiani nella storia: mai hanno fatto un fronte unico, fatto positivo per il potere musulmano. Oggi è ancora così. I siriaci, cattolici e ortodossi, pensano più alla concentrazione dei cristiani nella piana di Ninive sotto protezione internazionale. Fu un’idea avanzata dagli americani, ma rifiutata dai caldei. Il loro patriarca, Sako, la considera una ghettizzazione. Tuttavia vivere a Bagdad è molto rischioso. I cristiani in Iraq sono calati da 1.300.000 prima dell’intervento Usa a 300.000, concentrati nel Nord. In Siria erano due milioni e si sono dimezzati. Di fronte alla crisi i leader cristiani hanno lanciato molti appelli. Il Vaticano ha assistito i cristiani, ma non c’è stata una visione e forse non era possibile.
Recentemente, il premier Orbán ha ricevuto i patriarchi siriaci (cattolico e ortodosso), ha versato loro due milioni di dollari, identificando gli ungheresi con la sorte dei cristiani colpiti dai musulmani (a Budapest c’è un vicesegretario di Stato per la protezione dei cristiani perseguitati). Questi diventano un elemento nella legittimazione della politica nell’Est europeo. Il problema è che le terre sconvolte dal «califfato» non torneranno a essere il mosaico di cristiani, yazidi, mandei e antiche minoranze. Era un resto della storia, ma anche una realtà che spingeva l’islam a riconoscere l’altro e a praticare la tolleranza. La storia dei cristiani d’Oriente, durata due millenni (quasi uno e mezzo con l’islam) sembra alla vigilia della fine. Un cambio decisivo nell’ecologia umana del Medio Oriente. Ma anche una svolta nel cristianesimo, da sempre radicato nella terra delle sue origini. Il segretario di Stato vaticano, Parolin, ha chiesto un «piano Marshall» per ristabilire i cristiani nella regione. Questa crisi impone una maggiore connessione ecumenica e un urgente riunione dei primati cristiani per cercare soluzioni adeguate.