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28 settembre 2017

Nel Kurdistan accerchiato, la festa con la bandiera vaticana, giapponese e turca

By Asia News
Pierre Balanian


All’indomani del referendum per l’indipendenza, il Kuridistan irakeno si trova ad affrontare la crescente minaccia di un isolamento internazionale. In queste ore le autorità di Erbil hanno diffuso i dati ufficiali della tornata consultiva: il 92,73% dei votanti hanno detto “sì” allo Stato autonomo, confermando le prime indiscrezioni filtrate alla chiusura dei seggi.
Mentre la popolazione curda celebra il voto e il presidente Massud Barzani rilancia il dialogo con Baghdad, l’aviazione turca ha bombardato ieri pomeriggio un “obiettivo” situato nel Kurdistan irakeno, uccidendo 13 presunto membri del Pkk (Il Partito curdo dei lavoratori, organizzazione “terrorista” secondo Ankara). Una prima rappresaglia militare, unita alle minacce di strangolamento economico di Erdogan. Di seguito, il reportage dell’inviato di AsiaNews. 

 Dinanzi alle minacce sempre più pressanti di uno strangolamento economico del Kurdistan iracheno, centinaiai di persone sono scese in piazza ieri sera a Duhok per gridare in curdo “Davlet! Davlet! (Stato! Stato!)”. Un’ aspra e sottointesa critica a Massoud Barzani - da 26 anni presidente della Regione autonoma con i due ultimi anni senza mandato - che ha fatto intendere di non voler dichiarare l’indipendenza nonostante la schiacciante vittoria del si al Referendum svolto il 25 settembre scorso. Mentre i venti di guerra soffiano da tutti i lati, i curdi sfidano la paura con canti nazionalisti e fuochi di artificio. In questa maifestazione oltre alla bandiera israeliana diventata ormai simbolo dell’appoggio straniero all’indipendenza del Kurdistan, è apparsa per la prima volta anche la bandiera gialla e bianca della Santa Sede. Assieme ad essa, altre bandiere di Paesi simpatizzanti e favorevoli ai curdi fra i quali quella del Giappone e perfino una bandiera turca!
La Turchia è la prima in lista fra i Paesi decisi a punire il Kurdistan per aver sanscito un referendum che il presidente turco Erdogan ha classificato di “tradimento”. Con il passare delle ore il cielo del Kurdistan si scurisce sempre di più e rischia di diventare per una seconda volta una No-Fly-Zone ma stavolta per volere del governo centrale di Baghdad. Il parlamento iracheno ha infatto legiferato che, come detta la costituzione, tutti i confini terresti e aerei devono ritornare ad essere sotto il controllo della Polizia doganale e dell’esercito del governo iracheno unito. Al Kurdistan è stato dato un ultimatum di tre giorni per consegnare gli aeroporti di Erbil e Suleymanieh, pena la chiusura di ogni attività aerea. L’ultimatum scade domani alle 18.00. Trovare posti nei prosssimi voli che precedono l’inizio delle sanzioni è diventato arduo mentre il prezzo dei posti di quelli ancora liberi sono lievitati in modo vertiginoso. Fra i primi Paesi ad accontentare Baghdad vi è l’Iran. Ancor prima della scadenza dell’ultimatum, da Teheran non partono né atterrano voli da e per Erbil e Suleymaniyeh. 
Ieri pomeriggio truppe dell’esercito iracheno e iraniano hanno perlustrato insieme i confini nord-occidentali permettendo ai soldati iracheni di restare nella parte iraniana e prendere il controllo di ogni ingresso e uscita dal Kurdistan. Teheran ha annunciato ieri di riconoscere solo il governo iracheno come “unica autorità competente del controllo dei confini” fra il Kurdistan e l’Iran. Lo stesso, senza annunciarlo, ha fatto la Turchia lasciando al confine nord i soldati iracheni che hanno partecipato fino al 26 ad esercitazioni congiunte sul confino turco iracheno. Ankara ha anche annunciato che interromperà i voli da e per Erbil e Suleymanieh a partire delle ore 18.00 di domani. Ormai le intenzioni di accerchiare il Kurdistan almeno economicamente per ora ed isolarlo dal resto del mondo sono chiare per tutti. Una settimana fa il Kurdistan era in situazione di forza per trattare con Baghdad. Dopo aver sostenuto il referendum, si trova ora in posizione di debolezza e, in ritardo, cerca di fare timidi passi indietro acettando la presenza di osservatori del governo negli aeroporti di Erbil e Suleymaniyeh, pur rifiutando di consegnarli. La Turchia minaccia di voler chiudere anche l’oleodotto attraverso il quale il Kurdistan esporta il suo greggio, quasi a realizzare la promessa di Erdogan di “affamare i curdi”. Queste “minacce turche” hanno spinto la Siria a sfruttare un’irripetibile occasione. Ieri Damasco ha annunciato di essere pronta a riconoscere l’autonomia ai curdi siriani, una volta finita la guerra contro Daesh. Agli osservatori, questa mossa pare un invito ad Erbil ad esportare almeno il gas destinato ai russi attraverso l’unico sbocco rimasto, dalla Siria fino al Mediterraneo.