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26 settembre 2017

Gli indipendentisti curdi promettono l'autonomia amministrativa anche ai cristiani della Piana di Ninive

By La Stampa - Vatican Insider
Gianni Valente


Gli indipendentisti curdi promettono l'autonomia amministrativa anche ai cristiani della Piana di Ninive

Un documento diffuso alla vigilia del referendum garantisce alle minoranze l'autogesione delle aree di “radicamento storico”. Ma le organizzazioni politiche cristiane si dividono davanti alle “avances” indipendentiste. La prudenza del Patriarcato caldeo, che teme l'esplosine di nuovi conflitti.
Gli strateghi dell'indipendenza del Kurdistan iracheno non hanno fatto dietrofront. Nonostante le minacce turche e iraniane e le freddezze “made in Usa”, il referendum indipendentista indetto unilateralmente per il 25 settembre non è stato annullato e rinviato. E proprio nelle ultime ore prima dell'apertura delle urne, gli indipendentisti curdi hanno rivolto anche ai cristiani un'ultima, eloquente mossa per allargare la propria base di consenso: domenica 24 settembre, alla vigilia del contestatissimo referendum per proclamare l'indipendenza della – finora – regione autonoma del Kurdistan iracheno, il Comitato supremo della consultazione referendaria ha presentato in una conferenza stampa il documento politico che dovrà garantire la pienezza dei diritti di tutte le componenti nazionali e religiose presenti nel Kurdistan, comprese le comunità cristiane.
I 16 articoli del testo riconoscono il pluralismo religioso, etnico e culturale della società del Kurdistan iracheno, garantiscono i diritti nazionali e culturali di turkmeni, yazidi, armeni, assiri, arabi, siri e caldei, insieme ai mandeani, ai zoroastriani e agli sciiti Shabak. In particolare, l'articolo 2 garantisce i diritti di yazidi, caldei, assiri, armeni, siri e turkmeni fino a promettere forme di autogoverno, autonomia e pieno decentramento nelle aree di radicamento storico delle diverse comunità, delineate sulla base del censimento del 1957. Il documento assicura anche una rappresentanza congrua dei gruppi minoritari non curdi nelle istituzioni e negli organismi di governo, nelle rappresentanze diplomatiche e nel comitato che sarà incaricato di predisporre la nuova Costituzione. Viene inoltre anticipato che nel nuovo Stato gli appartenenti alle comunità non musulmane godranno di uno status personale e comunitario che con l'istituzione di tribunali confessionali propri, senza doversi adeguare a regole e consuetudini derivate dalla legge coranica. Anche il siriaco, il turkmeno e l'armeno saranno riconosciute come lingue ufficiali, insieme al curdo e all’arabo.
I 16 articoli del documento presentato dal Comitato referendario – e che dovrebbero essere ratificati dalla prima sessione del futuro parlamento indipendente – condensano desideri e sogni che da tempo immemore hanno presa in settori delle comunità cristiane irachene. I curdi strizzano l'occhio al sogno ancestrale di un «focolare nazionale» indipendente riservato alle comunità caldee, assire e sire, che negli ultimi lustri si è riacceso intorno all'idea di creare nella Piana di Ninive una regione autonoma a livello delle strutture amministrative e della gestione delle forze dell'ordine, da assegnare ai cristiani.
L'antico miraggio di “Assiria”, la patria assira indipendente, negli ultimi decenni è stato coltivato soprattutto nelle influenti comunità caldee e assire in diaspora, sparse tra Nordamerica, Europa e Australia. Adesso tale prospettiva riaffiora come progetto realizzato in tono minore, sotto la protezione delle milizie del Kurdistan indipendente. I media locali hanno informato che le schede di voto per il referendum indipendentista sono state fatte arrivare anche in diverse aree della Piana di Ninive, regione che di per sé rimane fuori dal controllo diretto del governo del Kurdistan, ma su cui evidentemente gli strateghi curdi intendono consolidare la propria supremazia.
A Erbil, capoluogo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, c'è chi puntava da tempo - anche con generose elargizioni - a guadagnare il sostegno delle minoranze cristiane alla causa indipendentista curda, inglobando nel futuro Stato indipendente anche la pianura di Ninive come «riserva assiro-caldea». In realtà, tale pressing non ha guadagnato consensi compatti in seno alle piccole e litigiose organizzazioni politiche che pretendono di rappresentare le comunità cristiane locali.  Dieci sigle assiro-caldee già schierate con l'indipendentismo del Kurdistan, come il Consiglio Nazionale Caldeo e il Partito democratico Beth Nahrain hanno già ringraziato ufficialmente il Presidente curdo Mas'ud Barzani per il documento pubblicato dal Comitato supremo del referendum. Invece il Partito Zowaa (Assyrian Democratic Movement) ha espresso diffidenza rispetto alle promesse contenute in tale testo. Già ad agosto le cosiddette “Brigate Babilonia”, movimento locale filo-sciita dotato di milizie in cui operano anche cristiani, avevano espresso con toni di diffida la propria totale contrarietà al coinvolgimento delle comunità cristiane autoctone nel progetto indipendentista perseguito dal governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.
Anche il Patriarcato caldeo, a cui fanno capo la grande maggioranza dei cristiani iracheni, continua a mostrare preoccupazione per gli sviluppi della situazione sul campo. Anche alla vigilia del referendum la Chiesa caldea ha diffuso un comunicato per ribadire la propria estraneità rispetto alle diverse posizioni espresse da partiti, organizzazioni e fazioni armate guidati da esponenti delle locali comunità cristiane in questa fase così delicata della vita del Paese. Le prese di posizione di singoli e di militanti appartenenti alle comunità cristiane - ha sottolineato il Patriarcato caldeo - non vincolano in alcun modo gli altri battezzati «di ogni parte del Paese, da Bassora fino a Zakho».
Fin dalla sua elezione, il patriarca Louis Raphael Sako non ha mai mostrato sostegno neanche per i progetti di una Piana di Ninive organizzata come provincia «cristiana» autonoma e protetta, surrogato del mito dell’Assiria «indipendente», e ha sempre denunciato l’esplosione dei settarismi come un pericolo esiziale per la sopravvivenza stessa di quel che rimane delle comunità cristiane in territorio iracheno dopo l’esodo di cristiani incrementatosi in maniera impressionante dopo l'intervento militare occidentale del 2003. 
Il primate della Chiesa caldea ha più volte definito illusori gli slogan autonomisti rilanciati da politici e politicanti cristiani. E a metà settembre ha reso note le sue preoccupazioni sul rischio che le tensioni internazionali sorte intorno al progetto indipendentista curdo possano degenerare in nuove violenze, anche in aree da poco sottratte al dominio jihadista: «Alcuni - ha fatto notare il patriarca caldeo - hanno già preso a suonare i tamburi di guerra: se ci fosse - Dio non voglia – un nuovo conflitto militare, in queste condizioni sociali e economiche frammentate le conseguenze sarebbero disastrose per tutti, e le minoranze sarebbero come sempre quelle destinate a rimetterci di più».