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18 luglio 2017

Mosul, un regalo alla chiesa dei profughi

11 luglio 2017

Il volto di Gesù benedicente nella luce del tramonto, sereno e dal sorriso pieno di pace. Mosè ed Elia di fianco a lui. E, sotto, gli Apostoli, colpiti, finanche interdetti e scapicollati davanti all’evento prodigioso. C'è creta in tutto questo, mani di scultore ed acciaio in una struttura metallica creata per sostenere il tutto. È una Trasfigurazione: cinque formelle di ampia superficie, per un’altezza complessiva di oltre due metri, nate in Veneto e destinate a Mosul, la terra del sangue, della speranza. Sembra un film, ma è tutto vero, una luce che rischiara l’orizzonte.
Ogni storia ha un luogo, dei protagonisti, dei moventi, un finale. Quando si parla di Iraq, l’insieme di queste categorie assume contorni speciali. All’inizio di questa c’è padre Jalal Yako, sacerdote iracheno, missionario rogazionista, responsabile per due anni di un campo profughi a Erbil, dove tutti (o quasi) da Mosul, Qaraqosh, Qaramles e Bartallah sono fuggiti per l’arrivo delle truppe del Daesh, nel 2014. Cristiani e sciiti, in macchina, a piedi, correndo in pigiama. 
Padre Jalal, nativo di Qaraqosh, aveva la possibilità, in quei giorni di sangue, di rientrare in Italia alla casa madre del suo ordine. Eppure non ha lasciato la sua terra ed ha assunto la responsabilità del più grande campo profughi allestito a Erbil dalla Chiesa cattolica in collaborazione con la Chiesa caldea e la Caritas Iraq. Un rifugio nel deserto, per milleottocento persone.
Passa un anno. Nell’estate del 2015 un gruppo di artisti che frequenta una comunità monastica, la Fraternità di Gesù di Piandellevro, in Trentino, che segue e accompagna la missione di padre Jalal, riceve dall’Iraq la richiesta di creare e donare alla comunità cristiana di Erbil un presepe in terracotta per la “chiesa” dei profughi. Realizzato per mano della scultrice Oriana Sartore, grazie a Emanuela Centis, docente e divulgatrice d’arte, il presepe con Maria, Giuseppe e Gesù, giunge a Erbil nell’autunno del 2016: le statue in terracotta, alte più di 70 centimetri, vengono accolte dalla comunità in festa.  
Ma questo è ancora solo l’inizio della storia. Durante l’estate 2016, ancora presso la comunità trentina dove è ospite per qualche tempo, padre Jalal incontra per la prima volta il gruppo di artisti. Nasce una nuova idea, ancor più impegnativa: realizzare una pala d’altare per la Chiesa dei profughi, dedicata alla Trasfigurazione.
È Oriana Sartore a raccontarlo: «Nessuno aveva organizzato nulla per questo incontro e quando, senza che io lo conoscessi nonostante avessi già realizzato per lui quel presepe, è venuto a sedersi alla mia sinistra per il pranzo nel refettorio, ho capito che quello era un segno. Ci siamo salutati alla partenza, parlando della distruzione delle loro chiese a Mosul, Erbil e Qaraqosh per opera dell'Isis, e io ho sentito che venivo nuovamente chiamata ad un impegno importante. Padre Jalal mi ha detto che voleva continuare a rimanere in quella terra, che voleva testimoniare il dolore davanti alla distruzione e restare con i cristiani di lì, nella chiesa dedicata alla Trasfigurazione dove però non c’erano riferimenti all’episodio evangelico del monte Tabor. Gli ho detto subito che avrei fatto qualcosa per loro».
Nel frattempo, il 17 ottobre 2016 le forze dello Stato iracheno, insieme alle milizie cristiane della Niniveh Protection Unit, lanciano l’offensiva per liberare la città di Mosul. Tre mesi di combattimenti e nel gennaio 2017 tutta la piana di Ninive, la vasta area a Nord-Est di Mosul, conosciuta come "la patria dei cristiani", viene riconquistata.
I cristiani ritornano nelle loro città, ma le case sono distrutte. La cattedrale dell’Immacolata Concezione ha i muri anneriti dalla fuliggine, i banchi rovesciati e rotti, parti del tetto sono crollate, ma la sua struttura è ancora fieramente in piedi.
Il 31 ottobre monsignor Petros Mouché, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e di tutto il Kurdistan, accompagnato da quattro sacerdoti celebra la prima Messa nella città liberata.
Mentre accade tutto questo, tra preoccupazioni e speranze, il lavoro per la Trasfigurazione prosegue. Oriana lavora, mentre Emanuela con alcuni amici di Padova si impegnano a cercare i fondi per la creta e per il forno dove cuocere le formelle. Il supporto di un team universitario è fondamentale per creare un supporto di acciaio, che possa anche smontare facilmente. Nel frattempo, anche un pittore toscano, Flaminio Zullo, si conivolge con un’icona della “Madonna della Tenerezza” da aggiungersi alle formelle di Oriana.
Passano i mesi: la Trasfigurazione è finita. In un giorno di fine giugno a Villa Del Conte, nel padovano, dove vive Oriana, le formelle sono protagoniste delle prove finali prima del grande viaggio: le figure in altorilievo (più di 70 centimetri per oltre 50 l’una, e pesanti fino a 20 chili) di Gesù, Mosé, Elia, Pietro, Giovanni e Giacomo vengono montate sulla struttura. Ora gli Apostoli “osservano” sbigottiti, con Pietro che sembra scivolare dall'emozione, rappresentato quasi a testa in giù. Gesù, sereno, dialoga con Elia e con Mosè, che gli offre le scritture. Un’opera per la chiesa provvisoria di Erbil, ma che è, in fondo, per la Chiesa stabile ed eterna.
Emanuela Centis
, quando commenta la storia di questa nascita artistica: «Attraverso l’incontro con padre Jalal la realtà dei cristiani perseguitati in Medioriente, che vivono nel coraggio della “speranza contro ogni speranza”, è diventata per me una cosa concreta e familiare. C’entra con il mio stesso vivere la fede cristiana nella vita di tutti i giorni. Prima ancora di domandare aiuti materiali, questi fratelli chiedono di non essere dimenticati. E questo bisogno è una domanda al mio cuore, non ai miei averi. Nella storia di questi anni ha sempre destato in me un grande stupore il rendermi conto che l’arte è un aspetto della presenza di Gesù tra noi. L’Isis ha fatto scempio dei luoghi sacri e delle immagini devozionali. Ma, anche attraverso l’arte, si può risorgere. E le mani di un artista possono davvero essere al servizio della Bellezza».