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9 giugno 2017

A tre anni dalla presa di Mosul sta all'Occidente salvare il cristianesimo in Iraq

«Dobbiamo conservare la speranza. È una enorme sfida, ma possiamo superarla grazie alla forza della nostra fede». Queste le parole dell’allora arcivescovo caldeo di Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona, ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, pronunciate poche ore dopo la presa di Mosul da parte dello Stato Islamico, nella notte tra il 9 e il 10 giugno 2014.
In questi tre anni la comunità cristiana d’Iraq ha subito un vero e proprio genocidio e la seconda città del Paese, un tempo casa di decine di migliaia di fedeli, è divenuta roccaforte del Califfato. Ma ora che il tragico capitolo dell’ISIS sembra giunto alle pagine finali, i cristiani intravedono la possibilità di tornare alle proprie case.
Per ricondurre alla cristianità la Piana di Ninive, ACS ha varato un piano di interventi mirati a ricostruire le abitazioni cristiane, che richiederà un impegno di circa 230 milioni di euro. Un vero e proprio Piano Marshall per i cristiani iracheni, coordinato dal Niniveh Reconstruction Commitee (NRC), un comitato composto da rappresentati ACS e delle Chiese caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa.
«Il nostro compito è quello di ridare un’identità cristiana a queste terre, donando nuovamente una casa alle tante famiglie che ogni giorno ci chiedono di poter tornare nei loro villaggi», spiega don Salar Boudagh, vicario generale della Diocesi caldea di Alqosh e membro del NRC. Il sacerdote è responsabile della ricostruzione nell’area orientale della Piana di Ninive. «Quando, dopo la liberazione dall’ISIS, le famiglie hanno rivisto i propri villaggi distrutti, in molti hanno perso la speranza ed hanno pensato di lasciare il Paese. Ma ora che stiamo ricostruendo le loro abitazioni sempre più cristiani resteranno».
Don Salar spiega quanto sia importante agire in tempi brevi, per evitare che altre famiglie si uniscano alle numerose emigrate in questi anni. Una scadenza importante è quella dell’inizio del nuovo anno scolastico, che in molti sperano i propri figli possano incominciare nei rispettivi villaggi d’origine.
L’impresa non è semplice. A Tellskuf sono già rientrate 500 delle 1450 famiglie, ma le abitazioni agibili sono solamente 300. A Baqofa 35 famiglie attendono una casa, mentre a Batnaya l’80 percento delle abitazioni è stato distrutto dall’ISIS e le famiglie dovranno attendere. «Viviamo un momento cruciale della nostra storia – afferma don Boudagh – e la possibilità di salvare il Cristianesimo in Iraq dipende totalmente dall’aiuto che riceveremo. In questi tre anni drammatici i benefattori di ACS ci sono stati sempre accanto e non ci hanno mai fatto mancare nulla. E siamo sicuri che non ci abbandoneranno ora. Facciamo tornare cristiana la Piana di Ninive».
Dal 2014, inizio della crisi, ACS ha finanziato in Iraq progetti per circa 30 milioni di euro a beneficio dei cristiani perseguitati.