La speranza è che la Pasqua segni una “resurrezione” per la comunità
 cristiana della piana di Ninive, che possa “rinascere” a nuova vita 
partendo proprio “dalle fondamenta: la ricostruzione delle case 
devastate da oltre due anni di occupazione jihadista”. È quanto dice ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, 41enne sacerdote caldeo di Mosul, che nel fine settimana ha guidato la processione e la messa (clicca qui e qui
 per i filmati) delle Palme a Karamles, trasmesse sulla sua pagina 
Facebook. “I profughi - racconta - premono per poter tornare a casa, si 
sentono come sui carboni ardenti. Per questo chiediamo a tutte le 
parrocchie, in Occidente e nel mondo, di sostenere ciascuna la 
ricostruzione di una casa nella piana”.
“Ogni comunità, attraverso una colletta, può fare molto - aggiunge - 
per restituire vitalità alla cittadina di Karamles e alle altre realtà 
della piana. Il nostro appello è rivolto a tutti”. Secondo quanto 
riferisce il sacerdote caldeo, vi sono tre categorie diverse di 
abitazioni in base alla tipologia di danno subito: rotte, bruciate, 
completamente distrutte. Per le prime servono circa 7mila euro per una 
loro sistemazione; le seconde prevedono una spesa complessiva fino a 
30mila euro; infine, per rifare da zero una casa il costo è di 70mila 
euro.
Don Paolo è responsabile del campo profughi “Occhi di Erbil”, alla 
periferia della capitale del Kurdistan irakeno, dove nel tempo hanno 
trovato rifugio centinaia di migliaia di cristiani, musulmani e yazidi 
in seguito all’ascesa dello Stato islamico (SI). La struttura ospita 140
 famiglie, circa 700 persone in tutto, con 46 mini-appartamenti e 
un’area per la raccolta e distribuzione di aiuti. A questo si sono 
aggiunti un asilo nido, una scuola materna e una secondaria.
Nel fine settimana, per la prima volta negli ultimi tre anni, la comunità cristiana ha potuto celebrare la messa della domenica delle Palme
 nella chiesa di Mar Addai, a Karamles, una delle cittadine della piana 
di Ninive devastata dallo SI. Per il sacerdote è stata una “grandissima 
festa della comunità”, cui hanno partecipato “almeno 500 persone”. “La 
prima - tiene a sottolineare - dopo la liberazione” dalle milizie 
jihadiste “ed è stata un evento enorme per tutti noi”.
Oltre a Karamles, diverse centinaia di cristiani si sono riuniti 
anche nella chiesa di Tahira al-Kubra a Qaraqosh per la messa. 
Quest’ultima cittadina, in particolare, con i suoi 50mila abitanti ha 
rappresentato a lungo il più importante centro cristiano di tutto 
l’Iraq. Come a Karamles, anche qui i fedeli hanno promosso la 
tradizionale processione della domenica delle Palme, seguita dalla messa
 solenne che ricorda l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. I 
membri della “Unità di protezione della piana di Ninive” (Npu) hanno 
garantito l’incolumità e la sicurezza dei fedeli.
Per la Settimana Santa, confida don Paolo, l’idea è “organizzare 
altri momenti di preghiera”; tuttavia, l’obiettivo di lungo periodo è 
una iniziativa di “sensibilizzazione delle parrocchie sparse nel mondo, 
perché ‘adottino’ una casa del villaggio e contribuiscano all’opera di 
ricostruzione”. Le abitazioni restano in larga parte impraticabili e un 
ritorno dei profughi è ancora lontano.
A Qaraqosh, come nella stessa Karamles, l’animo dei fedeli è “diviso”
 fra la gioia di una festa vissuta nella chiesa di un tempo e la 
tristezza per una prospettiva di ritorno che è ancora lontana. “Sono 
segnali - afferma il sacerdote - che testimoniano una comunità viva, che
 lavora per il ritorno alla normalità. La processione, i canti, gli inni
 che si recitano una volta all’anno - aggiunge - hanno rappresentato un 
bel momento. A conclusione della messa abbiamo celebrato anche un 
piccolo rito di purificazione del luogo di culto. L’aria di primavera, 
il clima mite hanno reso ancor più gioiosa la festa. Molte famiglie 
hanno approfittato del bel tempo per un pranzo sui prati, sulla collina 
in cui sorge il santuario di Santa Barbara” (clicca qui per il filmato).
Ora la speranza è poter celebrare una delle funzioni della Settimana 
Santa nella chiesa di Mar Addai, “anche se nulla è stato finora deciso” 
precisa don Paolo. “Potremmo optare - spiega - per una messa e una 
piccola festa, nel contesto di una iniziativa spontanea e meno 
partecipata rispetto alla domenica delle Palme. L’obiettivo è mantenere 
viva la comunità. Un piccolo gruppo potrebbe fermarsi a dormire la 
notte, documentando l’evento con un’altra diretta sui social”.
Rivolgendo un pensiero “ai nostri fratelli egiziani” per le violenze
 inflitte dalla stessa follia jihadista, don Paolo ricorda infine quanti
 - fra gli irakeni della diaspora - hanno assistito su Facebook alla 
messa delle Palme. Molti hanno seguito la funzione grazie alla diretta e
 manifestato “gioia, speranza ma anche un po’ di invidia perché 
avrebbero voluto essere lì con noi”.