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20 febbraio 2017

Offensiva su Mosul. Padre Ghazwan: civili senza cibo né acqua

By Radiovaticana
Gabriella Ceraso


La pace invocata ieri all’Angelus dal Papa per l’Iraq sembra oggi ancora lontana. Ci vorranno almeno tre mesi, secondo fonti militari, perché si concluda l’offensiva avviata dall’esercito del premier al-Abadi contro i miliziani dell’Is asserragliati nella parte occidentale di Mosul. Quest’ ultima roccaforte finora è sembrata inespugnabile dai raid della coalizione internazionale, ma il timore maggiore riguarda ancora una volta i 650mila civili che vi sono intrappolati. 
“Spazzeremo via Al Baghdadi”. E’ questa la promessa del governo iracheno che a 4 mesi dall’inizio della grande offensiva sulla Piana di Ninive e a un mese dalla liberazione dei quartieri orientali di Mosul ieri ha lanciato con tank, blindati e cacciabombardieri, l’assalto più difficile sulla riva destra di Mosul. Già bonificate le prime aree, ma ci vorranno almeno tre mesi nonostante si fosse parlato inzialmente di poche settimane per eliminare l’Is. Perché tanta lentezza e ancora tanti morti?
L’analisi di Armando Sanguigni, consigliere dell’Istituto di Studi di politica internazionale:
Si sarebbe dovuto partire molto prima: il tempo non perdona. Secondo: quello che sta avvenendo a Mosul è un po’ lo specchio delle contraddizioni dell’Iraq, nel senso che coloro che vogliono liberare Mosul hanno agende diverse e in parte contraddittorie e vogliono usare Mosul come chiave per catturare di più, la grossa preda che è l’Iraq nel suo insieme e il suo ruolo; e lì debbo dire che l’istanza iraniana è sicuramente quella più minacciosa.
Cacciato l’Is da Mosul, l’Iraq è libero?
Vinto militarmente l’Is, ci sarà da affrontare il tema di come sradicare le ragioni che lo hanno creato e alimentato. E lì debbo dire che la faglia politico-settaria è la massima responsabile di tutto quello che sta avvenendo, con la complicità di tanti anni di disastrosa cogestione americano-irachena. E’ chiaro che la gente ha paura del dopo, perché il dopo di chi sarà? Sarà di chi ha usato Mosul per imporre il proprio dominio politico o no? E questa è una grave domanda, perché oggi al-Abadi, l’attuale premier, sicuramente non è in grado di gestire un Paese, neanche in una configurazione federale, perché il vero dramma non è più sui curdi, che in Iraq vivono ben diversamente che in Siria, ma tra sunniti e sciiti. E lì, se non c’è una capacità politica di restituire al popolo iracheno la vera sovranità, si andrà verso una situazione molto, ma molto complicata.

Intanto dove l’Is passa tutto è raso al suolo e l’esercito farà altrettanto: l’Onu teme per gli sfollati di Mosul ma in realtà la popolazione per ora è in trappola, sfruttata e abusata,ci racconta il parroco di Alqosh, a pochi chilometri da Mosul, padre Ghazwan Baho:
Speriamo che sia l’ultima battaglia contro l’Is in questa città. La parte ovest della riva del Tigri è più popolata, conta circa un milione di persone. Soffrono veramente per tutto. Non c’è più cibo, non c’è più acqua … Però le persone non possono scappare perché c’è il fiume e chiunque prova a farlo, viene ucciso dall’Is. Quindi, in questo momento, non ci sono vie di uscita da questa città.
Ma sappiamo che l’Onu sta preparando dei campi di accoglienza …
Sì, questo accadrà quando l’esercito prenderà una parte di questa città e aprirà della vie d’uscita per le gente.
Voi, che avete già vissuto la liberazione di Mosul Est, che idea vi siete fatti? Può riuscire un’operazione del genere?
Sì può riuscire, però ci saranno tante vittime come è già accaduto nella parte Est di Mosul. Speriamo che i tempi siano più veloci rispetto a prima; dicono entro i tre mesi.
Il vostro timore maggiore è per il dopo Mosul. Molti pensano ancora di partire, ma ci sono anche poche famiglie che tornano a popolare città liberate dall’Is: sono poche, ma è un segnale. Ed è la fede a dare ai cristiani la forza oltre che la vicinanza del Papa:
La voce del Papa arriva sempre, soprattutto in questi momenti. Il patriarca è sempre in contatto con Roma. Noi sabato sera, dopo la Messa, abbiamo fatto una processione verso una collina, dove abbiamo posto una croce alta 12 metri. Abbiamo pregato tutta la notte, perché questa croce è la nostra salvezza, è la nostra forza.