Pagine

16 gennaio 2017

Mons. Nona: “A Mosul molti musulmani hanno collaborato con l’Isis, sarà difficile la convivenza religiosa”

By Zenit
Federico Cenci

Prosegue l’avanzata dell’esercito iracheno per liberare Mosul, seconda città dell’Iraq e baluardo dello Stato Islamico. Le forze speciali hanno dato l’assalto al complesso governativo della provincia di Ninive, al quartiere dell’Università e hanno raggiunto un altro ponte sul Tigri, detto Hurriya. A questo punto circa l’80 per cento di Mosul Est è stata liberata.
I contrattacchi degli jihadisti, ultimi colpi di coda prima della capitolazione, sono stati prontamente respinti dall’esercito. Liberata l’area dai terroristi islamici, sarà impervio ripristinare le condizioni per una pacifica convivenza inter-religiosa. La comunità cristiana è quasi completamente estinta: nel 2003, prima dell’invasione statunitense, i cristiani dell’arcidiocesi erano 35mila, nel 2014 si sono ridotti a 3mila e oggi, dopo l’aggressione dell’Isis, sono una presenza davvero sparuta.
Del futuro di questa terra Zenit ne ha parlato con mons. Emil Shimoun Nona, che nel 2010, quando fu chiamato ad occuparsi dell’arcidiocesi caldea di Mosul, divenne il più giovane arcivescovo della Chiesa cattolica. Oggi è arcivescovo emerito di Mosul e vescovo dell’eparchia di S.Tommaso apostolo di Sydney dei Caldei. In Australia sono tanti i profughi cristiani iracheni, ma mons. Nona mantiene i contatti telefonici anche con altre famiglie sparse in altre aree del pianeta.
Eccellenza, in queste ore concitate qual è lo stato d’animo dei cristiani originari di Mosul?
I cristiani di Mosul che sono dispersi in tutto il mondo ed alcuni anche in Iraq, attendono con ansia che l’esercito iracheno concluda la liberazione della piana di Ninive e la città di Mosul. Dopo la liberazione di alcuni villaggi cristiani hanno scoperto ciò che l’Isis ha fatto della nostra terra: ha distrutto quasi tutte le Chiese e la maggior parte delle proprietà dei cristiani sono state rovinate. Anche le infrastrutture di quest’area quasi sono non esistono più. Inoltre restano forti perplessità su come sarà possibile governare questa provincia una volta cacciato l’Isis, intendo dire dal punto di vista politico, economico e della convivenza etnica e religiosa. Ci sono vari interessi nazionali ed anche internazionali che influiscono a tal proposito. Quindi i cristiani stanno guardando con ben poca fiducia al futuro di questa zona storicamente cristiana.
Ma i profughi immaginano comunque di tornare a vivere a Mosul?
Non credo che i cristiani immaginano di tornare. Bisogna creare le condizioni adeguate ad una vita dignitosa, garantire i diritti umani. Parlando francamente, non ci sono tanti cristiani di Mosul in Iraq adesso. Una buona parte di loro sono adesso è emigrata oltreconfine, c’è il desiderio di crearsi una vita nuova dopo aver subito la persecuzione nel proprio Paese. I cristiani di Mosul profughi in Iraq sono un piccolo gruppo. Essi hanno iniziato a subire persecuzioni fin dal 2003, hanno resistito per anni, ma la conquista della città da parte dell’Isis è stato un colpo decisivo che ha indotto la maggior parte a fuggire.
Si parla di circa cento luoghi di culto danneggiati o demoliti dall’Isis a Mosul. È possibile creare di nuovo un’identità cristiana lì?
Ci piange il cuore, le chiese rappresentano il segno della nostra storia e della nostra partecipazione alla civiltà orientale dell’Iraq. L’identità cristiana c’è in ogni luogo in cui esistono discepoli di Gesù Cristo. Non è data dagli edifici ma dagli uomini. Quindi la risposta è sì, sarebbe ancora possibile ricreare un’identità cristiana a Mosul. Il problema, come ho detto prima, è che attualmente a Mosul mancano sia i cristiani sia le loro chiese. Se in futuro ci sarà la possibilità di tornare, sicuramente potremo creare di nuovo un’identità cristiana.
Sarà anche possibile ristabilire una convivenza pacifica e un rapporto di fiducia con i musulmani?
Devo confessare che non sarà facile tornare ad una convivenza pacifica con i musulmani in quelle zone. Purtroppo l’Isis ha goduto dell’appoggio della società civile: molti collaboravano con i jihadisti nelle loro azioni contro i cristiani, altri ancora partecipavano ai saccheggi delle nostre case. Si è creata una profonda ferita nell’animo dei cristiani. L’unica condizione per creare una convivenza sarebbe la presenza di uno Stato iracheno forte, in grado di difendere i diritti di tutti, in grado di garantire un’educazione ostile alla formazione di mentalità terroristiche.
Che futuro immagina per l’Iraq? Il patriarca Sako ha chiesto in una lettera che venga tutelata “l’unità nazionale irachena”…
Sinceramente non riesco ad immaginare che futuro sarò per l’Iraq, perché la situazione di questo è molto drammatica e complicata. L’Iraq dopo il 2003 è stato distrutto come Stato unitario e in un certo senso anche laico. Le condizioni di questo sfacelo sono state create però prima di quella data, per via di politiche sbagliate. L’unica speranza giunge dalla storia di questa terra: ogni volta che l’Iraq è caduto, è riuscito a rialzarsi. Speriamo che anche stavolta sarà in grado di ricominciare come Stato democratico e libero.