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19 dicembre 2016

Il Patriarca caldeo alle altre Chiese: non procediamo in ordine sparso. Presentiamoci uniti come “componente cristiana”

By Fides

La situazione di emergenza in cui versa l'intera nazione irachena chiama anche i cristiani a non procedere in ordine sparso, enfatizzando in maniera esasperata i fattori identitari di ogni singola comunità ecclesiale.
Conviene invece esprimere una posizione unitaria sui processi politici e sociali in atto in Iraq, presentandosi come “componente cristiana”: E' questa la Proposta che il Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako ha rivolto a tutti i cristiani dell'Iraq, in un appello in cui li invita a sulla
“non rimanere spettatori scena irachena” e a “trovare una visione comune e una comune 'tabella di marcia'” anche per tutelare insieme il “diritto di essere trattati come gli altri”. Il ricorso all'espressione “componente cristiana per esprimere la posizione unitaria dei cristiani iracheni in rapporto alle vicende politiche e sociali e alle istituzioi nazionali secondo il Primate della Chiesa caldea “non contrasta con la salvaguardia di identità millenarie”, e consente di “non perdere tempo a litigare” intorno a tale patrimonio identitario. “La Chiesa caldea” riferisce il comunicato patriarcale, pervenuto all'Agenzia Fides “vuole porsi al servizio di tutti i cristiani e di tutti gli iracheni per contribuire al processo di riconciliazione”, indispensabile per ritornare a una situazione di convivenza pacifica.
Già all'inizio del suo ministero patriarcale (vedi Fides 6/2/2013), l'attuale Primate della Chiesa caldea aveva denunciato il pericolo che anche i cristiani fossero contagiati dal settarismo dominante nell'attuale contesto mediorientale: “Adesso purtroppo” aveva dichiarato il Pariarca all'Agenzia Fides “si sente qualcuno che dice: sono più armeno che cristiano, più assiro che cristiano, più caldeo che cristiano. E persiste qua e là una mentalità tribale, per cui ogni villaggio punta a avere il 'suo' Vescovo o il 'suo' Patriarca. In questo modo si spegne il cristianesimo. Noi, come Vescovi, dobbiamo essere vigilanti contro queste forme malate di vivere la propria identità”.