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26 ottobre 2016

Patriarca caldeo: Mosul torni multiculturale, per la pace e la riconciliazione in Iraq


Mosul la “tenace” prima dell’ascesa dello Stato islamico era un “Iraq in miniatura”, un “crocevia” di etnie, religioni, culture e dialetti diversi e di usanze variopinte. E i suoi abitanti componevano “un bellissimo mosaico” arricchito dalla presenza di sunniti, curdi, turcomanni, sciiti, Chabak, cristiani, yazidi e sabei. È quanto scrive il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako in una lettera rivolta alla comunità irakena è inviata per conoscenza ad AsiaNews, in cui racconta la metropoli del nord prima dell’arrivo di Daesh [acronimo arabo per lo SI] e traccia il futuro della città e della piana di Ninive. Tutte le etnie e le culture, sottolinea, hanno “tanto sofferto” sotto il dominio jihadista e “auspichiamo che questa diversità […] non sarà cancellata”.
Il primate caldeo invita a sostenere “le nostre forze armate” che stanno lottando per la liberazione di Mosul e della piana; egli auspica al contempo che “la battaglia” sia “un punto di cambiamento [per Mosul] e per tutto l’Iraq”. L’offensiva militare, aggiunge il prelato, “è riuscita ad unire tutti gli irakeni con un coordinamento di alto livello” e dovrebbe essere base ed esempio per “spingere con forza alla riconciliazione nazionale”.
La mattina del 18 ottobre una coalizione composta da 30mila uomini, fra soldati irakeni e milizie Peshmerga curde, cui si uniscono forze tribali sunnite, ha iniziato l’offensiva per la riconquista di Mosul, roccaforte jihadista in Iraq, e della piana di Ninive. Secondo quanto riferiscono fonti militari statunitensi, i combattenti di Daesh starebbero usando i civili come scudi umani.
A Mosul vi sarebbero ancora almeno 700mila persone intrappolate e impossibilitate a fuggire, ostaggio di 5mila jihadisti che lottano a difesa del loro fortino. Nei giorni scorsi l’esercito irakeno e i Peshmerga hanno già assunto il controllo di alcuni villaggi storici della tradizione cristiana della piana di Ninive, fra cui Qaraqosh e Bartella.
Nella sua riflessione mar Sako si rivolge anche ai dignitari, governanti e ai leader socio-politici di Mosul e della piana, perché operino in coordinamento col governo centrale per il futuro della regione. Un futuro che il primate caldeo delinea in quattro punti essenziali, pilastri fondanti della ricostruzione non solo della metropoli del nord, ma di tutto il Paese. Serve un “riordino completo della città e della provincia”, avverte il patriarca caldeo, con un “accordo generale e partecipativo di tutte le componenti”. Mosul, aggiunge, deve essere “un esempio da applicare a tutte le altre parti liberate dell’Iraq”. Inoltre, egli chiede che siano soddisfatti “i bisogni” delle persone e che siano garantiti i servizi di base lottando “contro la corruzione, alleviando le divisioni” per “evitare discriminazioni religiose, sociali e politiche”.
I cristiani sono “la seconda più grande religione dell’Iraq dopo l’islam”, prosegue nella sua riflessione mar Sako, e la stessa Mosul “è circondata” da una miriade di “comuni e paesini cristiani”. La componente cristiana “ha avuto un ruolo enorme nel cooperare con i musulmani per il bene delle altre componenti” del Paese e “tanto hanno dato all’Iraq”. Oggi, dopo il dramma vissuto a Mosul e nella piana, essi “hanno bisogno di essere accolti e di vedere protetti i loro diritti […] e non di essere marginalizzati”.
In questo senso, avverte il primate caldeo, è essenziale che ritrovino “la fiducia nei confronti dei loro vicini”. A dispetto della situazione critica, aggiunge, “continuiamo ad armarci di fede e di speranza per il futuro” come ha ricordato papa Francesco domenica 23 ottobre all’Angelus, quanto ha auspicato che l’Iraq possa avviarsi verso un futuro di “sicurezza, pace e riconciliazione”.
Esprimendo solidarietà “alle famiglie che hanno perso un caro”, il patriarca caldeo esorta i cittadini e la classe dirigente a “costruire” uno Stato di diritto, che si fonda su “principi veri” e sulla “uguaglianza”, che difende gli abitanti, le loro libertà e la loro dignità. “Uno Stato che rispetta la religione - conclude - e che non tenta di politicizzarla o deformarla per i propri fini” e che sappia costruire “rapporti equilibrati con i propri vicini” nella regione mediorientale.