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11 luglio 2016

Il diaconato "essenziale per mantenere viva la Chiesa in Medio oriente"

 
La diaconia in Iraq è una “missione nobile e dinamica” perché si concentra sulla “dignità della persona umana” e, al contempo, è un mezzo efficace per “unire i cristiani, in special modo le persone in difficoltà e nel bisogno”.
È quanto ha affermato mons. Alnaufali Habib Jajou arcivescovo di Bassora, nel sud dell’Iraq, partecipando nei giorni scorsi a Beirut, in Libano, ad un incontro sul diaconato e la sua importanza per la Chiesa in Medio oriente. Il prelato, insieme all’altro delegato irakeno, Ekhlas Almaqdacy ha preso parte ai lavori in programma dal 7 al 9 luglio, assieme ad altri 16 esperti, teologi e leader religiosi provenienti da tutta la regione. 
In un periodo di crisi e violenze, di emigrazione e calo delle vocazioni, il diaconato si è rivelata una risorsa essenziale per mantenere viva l’opera della Chiesa in Medio oriente. Da qui l’idea di approfondire il ruolo e gli sviluppi della missione, nel contesto di un incontro organizzato dal Consiglio delle Chiese mondiali (Wcc) e dal Consiglio delle Chiese del Medio oriente (Mecc). 
Nel suo intervento, il vescovo irakeno ha sottolineato che la diaconia insegna “l’umiltà” e a condividere “la vita con gioia”; essa va oltre il soddisfacimento dei “bisogni materiali” e aiuta a “migliorare la personalità” del cristiano. 
Il ruolo dei diaconi diventa essenziale in una realtà come quella dell’Iraq odierno e, più in generale, di tutto il Medio oriente dove i cristiani sono spesso oggetto di persecuzione, lottano “per la loro dignità e i loro diritti” a fronte di abusi e violenze in molti ambiti della vita quotidiana. La figura del diacono, aggiunge mons. Habib Jajou, gode di “rispetto” ed è “testimone della fede” in moti ambiti della società. 
La Chiesa ha il compito di mantenere aperta “la porta della speranza” e la diaconia “è un elemento essenziale” e parte integrante “di questo programma”. A fronte delle violenze che alimentano le migrazioni, spiega l’arcivescovo di Bassora, “abbiamo il dovere di restare e di servire non solo la nostra, ma l’intera comunità” irakena, compresi gli altri gruppi etnici e religiosi. “La priorità - aggiunge - è servire gli sfollati e quanti hanno dovuto abbandonare le loro case [almeno 120mila persone dal giugno 2014] allorché Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico] ha attaccato Mosul e la piana di Ninive”. 
Tuttavia, l’impegno dei diaconi e l’importanza del diaconato non si limita agli ultimi due anni, alla comparsa del gruppo jihadista, ma era già emersa ai tempi della guerra con l’Iran negli anni ’80. Difatti già all’epoca in molti hanno contribuito, spiega il prelato, “lavorando duro per fornire una risposta ai bisogni umanitari”. 
Assieme alla liturgia celebrata “nelle chiese, nei monasteri, nelle case, nei campi e nelle prigioni”, i diaconi sono “segno dei tempi” nella loro difesa strenua della vita, della giustizia, della pace e nel loro compito di rispondere “ai bisogni dei fedeli” in situazioni di “crisi”. “La Chiesa irakena - conclude il prelato - lavora per sostenere qualsiasi iniziativa di natura creativa che sia in grado di migliorare l’opera dei diaconato. Un elemento sempre più importante in questo secolo, in cui ci troviamo a vivere e affrontare sempre più sfide”.