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1 aprile 2016

Vescovo di Baghdad: fra crisi politica e violenze, Pasqua tranquilla per i cristiani

 
In un clima politico, sociale e istituzionale difficile, i cristiani irakeni hanno celebrato “con rinnovata speranza” le festività pasquali sia a Baghdad che nel nord, nel Kurdistan irakeno, dove hanno trovato ospitalità i profughi di Mosul. I fedeli hanno partecipato ai riti e alle funzioni “con gioia e senza episodi diretti di violenza”.
È quanto racconta ad AsiaNews mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare dei caldei di Baghdad, che parla di giornate della Settimana Santa trascorse “in un clima sereno”, con chiese “affollate” e “nessun incidente”. 
Durante le funzioni il patriarca Sako, i vescovi, i sacerdoti hanno insistito sul valore della misericordia, riprendendo i temi dell’Anno giubilare indetto da papa Francesco. Tuttavia, le iniziative non si sono concluse con la Pasqua tanto che oggi mons. Warduni effettua con i suoi parrocchiani “un pellegrinaggio a Ur dei Caldei”, dove “preghiamo per la pace”.
“Con noi - racconta il prelato - ci sono anche dei musulmani di origine caldea, con i quali leggeremo passi delle Sacre Scritture e alcuni paragrafi della lettera del papa”. Vogliamo essere apostoli della misericordia, aggiunge, “sperando che il Signore accetti le nostre preghiere”.
Fra i motivi di ottimismo per la comunità caldea anche la prima, timida apertura dell’esecutivo in merito all’annosa questione delle proprietà cristiane, case ed attività commerciali della capitale, requisite o danneggiate in modo grave da bande criminali e gruppi estremisti. Attacchi mirati e violenze denunciati a più riprese, in passato, dai vertici della Chiesa. “Il premier - spiega il vescovo ausiliare - ha assicurato che, se verranno presentati documenti regolari, le proprietà e i beni verranno restituiti o risarciti. Speriamo bene, sarebbe una gran cosa per i cristiani”.
Intanto pesano gli elementi di incertezza che ruotano attorno all’esecutivo, protagonista in queste ore di un rimpasto della squadra di governo. Haider al Abadi ha presentato al Parlamento una lista di nomi, fra i quali verranno scelti i nuovi ministri. Le candidature sono state fatte in base a “competenza, professionalità e integrità”, spiega il premier - che ha dovuto resistere agli attacchi del predecessore Nouri al Maliki -, e dovrebbe comportare la riduzione da 23 a 16 nuovi ministeri. Invariati quelli della Difesa e degli Interni, in prima fila nella lotta contro lo Stato islamico (SI).
L’obiettivo del governo è quello di restituire unità al Paese e vincere le divisioni confessionali all’origine delle violenze. L’annuncio del capo dell’esecutivo, che gode del sostegno dietro le quinte del grande ayatollah al Sistani, è stato accolto con favore anche dal leader sciita Moqtada al Sadr, che ha ordinato la fine della protesta dei suoi sostenitori in corso da 13 giorni nei pressi della Zona Verde a Baghdad.
In Iraq, afferma mons. Warduni, “manca la sicurezza, basta vedere gli scontri e le violenze in atto a Fallujah, Ramadi, Mosul”. I cristiani sono “stanchi di vuote promesse dei politici, del governo e delle istituzioni. Nei fatti “c’è paura”, domina un sentimento di ”agitazione per le autobombe, i kamikaze”. E il rimpasto in seno all’esecutivo “contribuisce ad alimentare l’incertezza”, anche se la speranza di tutti è che possa imprimere una svolta al Paese. 
Di recente organizzazioni internazionali hanno diffuso un rapporto secondo cui la comunità cristiana si è decimata dal 2003 a oggi; dagli 1,4 milioni di inizio millennio si è passati, quest’anno, a soli 275mila fedeli, con un calo dell’80% circa. “Parlare di cifre non è semplice - commenta il vescovo ausiliare di Baghdad - e non disponiamo di un conteggio ufficiale”. Tuttavia, è certo che siamo di fronte a un esodo di dimensioni “enormi e paurose”, fonte di “grande dolore” per la Chiesa caldea e che mette in pericolo la sopravvivenza stessa del Paese.
“Forse l’80% è un po’ troppo, ma si può affermare con certezza - prosegue il prelato - che almeno il 60/65% [circa i due terzi] della comunità cristiana ha lasciato il Paese e solo il 2% di questi ha fatto sinora ritorno”. Fino a quando Occidente, Europa, Stati Uniti “continueranno a commerciare armi, non vi sarà pace. Le guerre si fanno con le armi - conclude il vescovo - per questo deve cessare la vendita, poi si potrà parlare di ricostruzione, di sviluppo”.