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1 novembre 2015

Mons. Rabban Alqas, vescovo caldeo di Zakho ed Amadiya: "lasciate che a combattere l'ISIS siano i curdi"

By Baghdadhope*
Foto di Baghdadhope


Ai margini del sinodo della chiesa caldea che si è svolto a Roma dal 25 al 29 ottobre Baghdadhope  ha intervistato Mons. Rabban Alqas, vescovo caldeo di Amadiya e Zakho, nel nord dell’Iraq.


Monsignore, molto si sa delle condizioni dei profughi, cristiani e non, che con l’avanzata dell’Isis in Iraq hanno trovato rifugio ad Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno.  Poco invece si sa di quelli che hanno trovato rifugio nel territorio della sua diocesi che copre l’estremo nord-ovest del paese, ai confini con la Turchia e la Siria…

“Attualmente, e solo nella città di Dohuk, ci sono tra vecchi e nuovi circa 810.000 profughi, cristiani, yazidi ma anche musulmani. Un numero enorme se contiamo che l’intera provincia conta circa 700.000 abitanti e se contiamo che il governo centrale non stanzia fondi per aiutarli ed il loro sostegno è affidato alle Nazioni Unite, alle ONG ed alle chiese presenti sul territorio.”
Cosa intende per vecchi e nuovi profughi?

“I vecchi profughi sono ad esempio i circa 45.000 siriani arrivati nella regione a causa del conflitto nel loro paese già da 4 anni a questa parte, i nuovi sono invece tutti coloro che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e le proprie terre dal Daesh, (Isis)e quindi gli yazidi, i cristiani di Mosul e della Piana di Ninive, ma anche musulmani delle province centrali. Ovunque sia arrivato il Daesh ha creato profughi.”

A proposito della Piana di Ninive e dei cristiani che la abitavano. Monsignore, lei che è vescovo in Kurdistan ci spieghi: perché i peshmerga non hanno protetto i villaggi della Piana che controllavano militarmente ed hanno lasciato che in una sola notte, lo scorso agosto, il Daesh scacciasse da essi più di 130.000 cristiani?

“Non potevano farlo. Quando a giugno l’esercito del governo centrale iracheno aveva lasciato Mosul  senza combattere nelle mani dei terroristi del Daesh aveva lasciato anche i carri armati e le armi pesanti. Così armati i terroristi sono avanzati nella Piana di Ninive, come potevano i peshmerga affrontarli e batterli armati solo di armi leggere? Solo successivamente a quei fatti i peshmerga hanno ricevuto armi pesanti dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e solo molto dopo gli stessi Stati Uniti hanno iniziato a sostenere la difesa dei peshmerga con i bombardamenti. Una politica efficace che ha permesso di fermare l’avanzata del Daesh che, per esempio, mirava a consolidare la sua vittoria prendendo la capitale Erbil. ”

Gli americani non sembrano però  disposti ad impiegare migliaia di soldati a terra per combattere contro il Daesh, esiste una soluzione alternativa?

“Si, lasciare fare ai curdi. Gli americani dovrebbero capire e ricordare chi sono i loro veri alleati nella regione. Non la Turchia che ha chiuso tutti e due gli occhi ed ha lasciato e lascia passare i terroristi diretti in Siria ed in Iraq, commercia con loro e non li persegue, ma i curdi che hanno invece interesse a combattere il Daesh. Gli americani, legati a filo doppio con Israele, sanno che l’unico popolo della regione che può essere loro vicino è quello curdo. Armate i curdi, date loro ciò di cui hanno bisogno per combattere il Daesh e lo faranno.” 
Il governo curdo però sta attraversando un periodo di crisi. Il mandato del presidente Massoud Barzani è scaduto ma non sembra intenzionato a lasciare il potere ed ad indire nuove elezioni. Oltre a ciò il boom economico che ha investito il Kurdistan negli ultimi anni e che lo ha fatto definire “L’altro Iraq” sembra essersi fermato o almeno rallentato, e da mesi gli impiegati pubblici sono senza stipendio. E’ una situazione che potrebbe condurre alla guerra le varie fazioni curde come in passato o l’unità della regione autonoma sarà rispettata?

“Per quanto riguarda il presidente Barzani si deve capire che il periodo in cui ci troviamo è eccezionale e molto pericoloso. Quella contro il Daesh è una vera e propria guerra, non una scaramuccia di confine. Cambiare ora il presidente indicendo nuove elezioni sarebbe un rischio troppo alto. Pensate a Churchill, Roosevelt o De Gaulle, cosa sarebbe stato dei loro paesi nella lotta contro il nazismo se fossero stati sostituiti? Quando il problema del Daesh sarà risolto quello sarà il momento di nuove elezioni, e posso assicurare che ci saranno. Ora però non è il momento giusto. Per quanto riguarda la cristi economica è solo una questione momentanea e non grave. Il Kurdistan si riprenderà, in fondo abbiamo pur sempre il petrolio.  La terza questione, quella di un eventuale scontro tra le fazioni curde, è da escludere. I curdi, tutti i curdi, hanno ben capito che solo rimanendo uniti possono mantenere l’autonomia conquistata con il sangue.”        

Insomma, sarebbe auspicabile che a combattere contro il Daesh sul terreno fossero i curdi. Basterebbe?

“Nel mio paese si, nel mondo, invece, è necessario combattere l’ideologia del terrorismo che alimenta il Daesh.”

E come?

“La soluzione potrebbe essere quella di pensare alla religione, qualsiasi religione, come un fatto privato tra la persona e Dio e far si che non interferisca nella vita civile. Il mio sogno è uno stato in cui tutti siano cittadini, a prescindere dalle fede e dall’etnia.”

E’ per questo che nella scuola superiore che lei ha fondato nel 2004 a Dohuk e che è frequentata non da soli cristiani la religione non è insegnata?

“Si. La scuola accoglie in maggioranza studenti musulmani ma ovviamente ci sono anche cristiani e yazidi. Ogni etnia e religione è presente. Dai  75 studenti nel 2004 ora ce ne sono 250 che studiano materie scientifiche per prepararsi all’università. Le materie sono insegnate in inglese ma i ragazzi e le ragazze, tutti, studiano anche francese, arabo, curdo ed aramaico. Dei 12 studenti che hanno terminato i corsi universitari e che, considerando i risultati ottenuti, sono stati scelti dal governo curdo per conseguire le specializzazioni all’estero ben 5 vengono dalla nostra scuola. Oltre a ciò nel 2013 la scuola è stata insignita  in Germania dell’Aachen Peace Prize proprio in virtù della coesistenza pacifica che vi regna. Non elenco tutti questi successi per vantare i risultati ottenuti ma per dimostrare che laddove la religione viene separata dalla vita civile i problemi non sussistono. Questa, a mio parere, è la strada giusta.”