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6 ottobre 2015

«Non basta pregare per noi cristiani perseguitati in Iraq. È importante, ma poi dovete anche agire»

By Tempi
Leone Grotti

«Se la casa del mio vicino sta bruciando, non posso limitarmi a guardare e dire: pregherò per lui. La preghiera è importante ma devo anche fare qualcosa per spegnere il fuoco. Altrimenti, il fuoco avvolgerà anche la mia casa».

È questa la metafora scelta da padre Rebwar Basa, sacerdote iracheno, per criticare l’atteggiamento dei paesi occidentali nei confronti dei cristiani perseguitati.
 Il seminario nel quale studiava padre Rebwar è stato distrutto e trasferito ad Erbil, dove l’anno scorso decine di migliaia di cristiani perseguitati dall’Isis e cacciati dalle loro case hanno trovato rifugio. Da qui, il sacerdote parla a Romereports:
«Pregare per noi cristiani perseguitati è importante, ma bisogna anche agire», fa notare. «Siamo felici di ricevere aiuti umanitari ma questa non è una soluzione. Vogliamo indietro le nostre vecchie vite».Padre Rebwar ricorda poi il paradosso che stanno vivendo i cristiani iracheni oggi: «Oggi [i terroristi] ci accusano in quanto cristiani di stare con l’Occidente, con l’America. Ma se andiamo in Europa, ci guardano con sospetto perché in quanto iracheni pensano che siamo terroristi».
Da oltre un anno lo Stato islamico si è impossessato delle case e dei territori dei cristiani. Nonostante i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti, l’Isis non sembra essere in difficoltà. «Alcuni politici americani hanno detto che ci vorranno tra i 10 e i 20 anni [per sconfiggere l’Isis]. Noi non ci aspettiamo che il problema sia risolto al 100% adesso. Ma bisogna prendere una decisione. Noi dobbiamo liberare le aree occupate dall’Isis. Altrimenti, questi terroristi diventeranno sempre più forti».

Romereports