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15 ottobre 2015

Allarme dell’arcivescovo di Mossul dei Siri. Il rischio della diaspora

By L'Osservatore Romano in Il Sismografo blogspot 

«Se continuiamo a disperderci, la nostra comunità scomparirà».
Parole di monsignor Yohanna Petros Moshe, arcivescovo di Mossul dei Siri, che nei giorni scorsi da Parigi, dove è stato ricevuto al Quay d’Orsay, il ministero degli Esteri, ha rilanciato un appello ai Governi occidentali, sollecitando una nuova e più generosa opera di accoglienza nei confronti della popolazione cristiana in fuga dall’Iraq.

In particolare, in una testimonianza affidata al quotidiano «Le Figaro», il presule rileva come l’emergenza sia ormai tale che non serva concedere i visti con il «contagocce». Occorre, invece, che centinaia di famiglie cristiane provenienti dall’Iraq siano «ospitate insieme», in modo che vengano preservate l’unità e l’identità della comunità.
«Da diversi mesi — ricorda il presule — intere famiglie sfollate di cristiani lasciano giornalmente Erbil per l’Europa o gli Stati Uniti. Dopo un anno di esilio, la loro situazione è rimasta estremamente precaria. La prospettiva di ritrovare le loro case si allontana di giorno in giorno e si apprestano a trascorrere il loro secondo inverno nei campi. Le famiglie sono stanche e sono più propense a partire, ma è una perdita inestimabile per noi».
Si tratta, come è noto, di un vero e proprio esodo che i vescovi locali hanno cercato in tutti i modi di evitare, anche nel timore di una scomparsa irreversibile della presenza cristiana in Iraq.
Attualmente, riferisce monsignor Moshe, la diocesi di Mossul dei Siri conta 12.000 famiglie, circa 50.000 persone. «Sono quasi un terzo di tutti i siro-cattolici. Quindi, se continua a disperdersi, il nostro popolo scomparirà», afferma il presule che, per cercare di preservare l’identità culturale di questa comunità, lancia una soluzione radicale.
«Bisogna che i vostri Governi non accolgano più le nostre famiglie con il contagocce. E anche se questo significa lasciare la nostra terra, dovrebbero consentire di partire insieme 400 o 500 famiglie». Infatti, «insieme saranno più forti, i loro figli frequenteranno la scuola insieme, potranno continuare a parlare la loro lingua e vivere la loro fede».
Questo, ovviamente, non significa desistere dall’impegno perché in Iraq siano ripristinate condizioni favorevoli. «Una volta che i loro villaggi saranno stati liberati, essi vorranno fare ritorno a casa», assicura il presule.
Lo stesso intento di limitare lo smarrimento, fisico e morale, della comunità cristiana è alla base dell’esperienza di due religiose, Afnan e Alice, piccole sorelle di Charles de Foucauld, che da alcune settimane hanno scelto di vivere in un accampamento di Ankawa, alla periferia di Erbil, dove hanno trovato precaria sistemazione migliaia di cristiani della Piana di Ninive fuggiti davanti all’offensiva dei jihadisti dello Stato islamico. La scelta delle due religiose, raccontata ai microfoni del network arabo Radio Sawa e ripresa dall’agenzia Fides, intende esprimere in maniera concreta la totale condivisione delle condizioni di difficoltà e di sradicamento vissute dalle migliaia di famiglie costrette a lasciare le proprie case, e che ormai si stanno rassegnando all’idea di dover vivere in tale stato ancora per molto tempo. Le due suore stanno coinvolgendo anche altre religiose nell’assistenza rivolta soprattutto ai bambini e ai giovani che vivono negli accampamenti di tende e container. L’intento è quello di preservare soprattutto l’infanzia e la gioventù dal senso di vuoto e dall’assenza di attività formative che col tempo possono degenerare fino a innescare derive di degrado psicologico e morale. Proprio in questi giorni, alcuni gruppi animati da militanti cristiani hanno indetto una manifestazione di protesta contro il dilagare di fenomeni di degrado urbano — come il moltiplicarsi di bische e locali dove si vendono senza controllo bevande alcoliche — che si registrano ad Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani.