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17 settembre 2015

L'arcivescovo caldeo di Aleppo: «La Turchia aiuta i gruppi armati»

By Avvenire
Luca Liverani

«Aleppo è nella situazione più drammatica oggi, perché è a 40 chilometri dalla Turchia: e tutti gli attacchi vengono da lì. La Turchia accoglie tutti i gruppi armati, dà loro formazione, armi e aiuti».
Monsignor Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo in Siria, racconta di una città allo stremo, senza acqua ed elettricità da quasi due mesi. «E all’orizzonte non si intravede alcuna soluzione. La comunità internazionale non si muove, ci sono interessi economici e strategici internazionali. E dopo secoli di convivenza con i musulmani, due terzi della comunità cristiana è fuggita».
A portare in Italia la testimonianza del presule è “Aiuto alla Chiesa che soffre', la fondazione di diritto pontificio che dal 2011 ha donato oltre 8 milioni di euro per progetti a sostegno della popolazione siriana. «Aleppo è divisa in due: una parte è controllata dall’esercito governativo – spiega monsignor Audo – mentre la città vecchia, a occidente, è sotto i gruppi armati. Non è il Daesh (l’acronimo arabo dello Stato islamico, ndr), c’è soprattutto al-Nusra». Aleppo, spiega l’arcivescovo, «è attaccata almeno da cinque fronti, ogni giorno, la notte ci sono bombardamenti, entrano, escono. Sotto Assad i cristiani vivevano tranquillamente, questi gruppi estremisti hanno come missione il terrore per affermare la loro potenza».
La comunità cristiana è allo stremo: «Ad Aleppo vivevano 150mila cristiani, oggi ce ne sono 50mila a dir tanto. In Siria noi cristiani abbiamo sempre convissuto con i musulmani. Non vuol dire che non ci siano state difficoltà, ma siamo stati un esempio di convivenza molto positivo».
La situazione socio-economica è tragica: «L’80% della gente è senza lavoro, sono diventati tutti poveri, anche medici e ingegneri vanno alla Caritas per chiedere cibo e aiuto sanitario. I ricchi sono già partiti, la classe media è diventata povera e i poveri sono in miseria». Mancano elettricità e acqua: «In una città di due milioni e mezzo di abitanti è una cosa terribile. Nella chiesa in cui vivo abbiamo un pozzo per noi e per i vicini. Nelle strade i ragazzini gira con le bottiglie vuote in cerca di acqua».
Soprattutto nella comunità cristiana, però, c’è la volontà di continuare a organizzare la vita quotidiana: «Abbiamo programmato l’apertura di sette scuole con borse per tutti gli studenti, grazie anche alla Conferenza episcopale italiana che con 100mila euro ha aiutato 2.500 alunni. I nostri vicini sono soprattutto sunniti, coi quali lavoriamo costantemente: il 70% dei beneficiari della nostre attività e sono musulmani, il resto cristiani. Siamo tutti in pericolo».
Chi può scappa: «Soprattutto i giovani, per evitare l’arruolamento militare. Lo scopo di questa guerra è la distruzione. Fanno di tutto per trovare un po’ di soldi, andare in Turchia e da lì pagare per andare per mare. Sappiamo di morti terribili in mare. Questa è una guerra tra gruppi estremisti contro il regime che ha una qualificazione particolare all’interno dell’islam. E i giovani cristiani si dicono: per quale causa dovremmo combattere? Non c’è un orizzonte di soluzione».
L’arcivescovo è da 25 anni in Medio Oriente, prima in Iraq: «Capisco chi vuole partire anche se per noi è la morte, la fine della nostra presenza. Non abbiamo davanti un’altra scelta. La nostra grande paura è che Aleppo possa diventare un giorno come Mosul ». L’arcivescovo ha notizie frammentarie dei tanti cristiani rapiti: «Dei 230 cristiani in mano all’Is, che vengono da 36 villaggi assiri nel Nord-est, ne sono stati rilasciati una paio di settimane fa una dozzina, non so se perché anziani e malati o perché qualcuno ha pagato: ma vogliono 100mila dollari a persona, quasi 25 milioni di dollari». Nulla sui due vescovi rapiti alla frontiera tra Aleppo e Antiochia: «È una questione strana e complicata, non so nulla da due anni e mezzo ». E padre Paolo Dall’Oglio? «Non posso fare dichiarazioni ufficiali, ho solo una mia opinione personale che tengo per me».