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6 luglio 2015

Arcivescovo di Baghdad: Persecuzione dei cristiani, frutto del fondamentalismo e del calcolo politico internazionale

By Asia News
Jean Benjamin Sleiman* 

La persecuzione che i cristiani subiscono in Iraq è frutto del fondamentalismo islamico, giunto al suo acme con lo Stato islamico, ma risponde anche a calcoli politici e a progetti di disgregazione del Medio oriente che datano dagli anni ’50. E’ quanto l’arcivescovo dei Latini a Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, ha sottolineato in un incontro tenutosi nella sede del Parlamento europeo lo scorso primo luglio.
Il raduno dal titolo “Persecuzione dei cristiani nel mondo” era stato preparato dal gruppo interculturale del Partito popolare europeo vincendo alcune resistenze di settori secolaristi (e anti-cristiani) del parlamento europeo. Fra i parlamentari che più hanno voluto questo incontro vi sono Teresa Jiménez-Becerril Barrio (Spagna); György Hölvényi (Ungheria);  Jan Olbrycht  (Polonia). Fra i relatori vi sono stati anche Hocine Drouiche, vice-presidente della Conferenza degli imam di Francia; il rabbino Avi Tawil, direttore dello European Jewish Community Centre di Bruxelles; p. Andrzej Halemba di Aiuto alla Chiesa che soffre; il direttore di AsiaNews, p. Bernardo Cervellera.
Qui sotto pubblichiamo l’intervento di mons. Sleiman (traduzione dal francese di AsiaNews) Nei prossimi giorni presenteremo alcuni altri interventi.

La persecuzione dei cristiani in Iraq è giunta al suo apogeo con l’invasione di una parte del Paese da parte dello Stato islamico. La lunga catena di autobombe contro i luoghi di culto cristiani, i rapimenti, gli assassinii, gli espropri, i furti a mano armata, le minacce per abbatterli, le discriminazioni per scoraggiarli, le pressioni psicologiche per esacerbarli, le prediche piene di odio per spingerli all’esilio, ecc. Così, fra il primo agosto 2004, quando diverse chiese sono state attaccate con delle bombe, e l’invasione dello Stato islamico,i cristiani d’Iraq sono stati l’obbiettivo di tre grandi ondate di persecuzione: Dora, un quartiere periferico della capitale, nel 2006-2007 è stato svuotato dei cristiani; nell’ottobre 2008 Mosul e la provincia di Ninive; i villaggi cristiani con Mosul di nuovo nel giugno, luglio e agosto 2014. In tutti i casi, gli estremisti hanno intimato ai cristiani di diventare musulmani o di pagare la jiziah, la tassa per i Dhimmi per la loro sopravvivenza, o di partire senza portarsi dietro nulla. L’imposta poteva essere sostituita dal reclutamento dei giovani cristiani per la guerra o dalle ragazze per il « nikah el jihad » [le spose del jihad, ossia per unirsi ai miliziani e fare figli per educarli al combattimento – ndr]. Altrimenti, i cristiani dovevano andare in esilio lasciando tutto. Se fossero restati, sarebbe stato legittimo ucciderli, giustificato da Dio seguendo la sharia, il codice di leggi e di giurisprudenza islamici.
La persecuzione sarebbe dunque il frutto del fanatismo religioso musulmano che infuria in Iraq. Ma la persecuzione non mi sembra una creazione spontanea. Essa mi appare come la punta di un grande iceberg. Per questo è necessario sondare questa montagna per scoprire una diagnosi migliore e trovare un rimedio efficace. Perciò io mi propongo di rispondere a tre domande: da dove nascono le persecuzioni? Chi le sponsorizza? Come arrestarle?
1. Da dove nascono le persecuzioni?
Una delle essenziali caratteristiche della persecuzione è che essa non si produce per caso. Essa è organizzata in modo volontario, talvolta in modo premeditato. Essa è il prodotto di una storia, di un processo, di una evoluzione, in un contesto culturale determinato. Le persecuzioni dei cristiani d’Iraq che ritmano l’evoluzione di questo Paese dal 2003, vengono da molto lontano.
Nel 2003 cade la dittatura [di Saddm Hussein – ndr], la società è lasciata a se stessa. I suoi conflitti, i suoi numerosi problemi congelati per tanto tempo, tutto esplode. Privata dello Stato, essa soccombe all’anarchia, regredisce in modo inesorabile, senza alcun riparo. Il tribalismo ha il posto d’onore. La religione, quella dominante, si “fondamentalizza”, si “confesionalizza” e legittima in questo modo le persecuzioni.
Invece di salvare la cultura e le mentalità dalla regressione, la religione non affronta più la violenza per regolarla. Tale violenza viene a insediarsi così nella cultura e nelle strutture che non hanno mai perso il loro fondo tribale, nel senso etnologico.
Invece di fondare l’alterità, di accogliere la differenza, di ricreare il rapporto fra unità e pluralità, essa si è lasciata monopolizzare dai fanatici, dagli ignoranti, dagli opportunisti, dai leader in cerca di legittimità, dagli uomini di religione affamati di potere, La religione dell’estremismo musulmano si riproduce ogni giorno come leggittimatrice di eccessi, di discriminazioni, di persecuzioni. Le nuove strutture politiche –fra cui la costituzione – malgrado la loro apertura alla modernità, malgrado seri progressi in favore delle libertà, si sono lasciate infiltrare da questa religione, e se ne sono serviti per strumentalizzarla. Su questo punto, l’articolo 2 della costituzione la dice lunga [l’art.2 della costituzione irakena afferma che l’islam è la religione dello Stato; il paragrafo A afferma che non può essere varata nessuna legge che contraddica l’islam. Secondo diversi studiosi, questo paragrafo rischia di essere utilizzato per andare contro le altre libertà – che pure la costituzione difende – ndr].
2 . Chi sponsorizza le persecuzioni ?
La persecuzione è un fenomeno complesso. La nostra storia in Medio Oriente ci insegna che essa può essere evidente o sottile, sistematica o occasionale, come un torrente in piena o a balbettii. Essa può implicare diversi attori sociali o politici. Può essere l’opera di un gruppo o un’azione individuale. Il nazionalismo arabo, giunto al potere in alcuni Paesi, è ricorso alla violenza e ha perseguitato. Il fondamentalismo religioso che vuole sostituirsi ad esso non sarà meno ardente nel ricorrere alla violenza e alla persecuzione. La politica internazionale, che si sfibra per garantire i propri interessi nella regione, contribuisce con larghezza all’instabilità e spinge alle azioni estremiste e alla persecuzione.
Naturalmente noi vediamo gli esecutori e non i loro sponsor. Vediamo le tragedie e non siamo mai sicuri su a cosa o a chi essi potranno servire.
Anche guardando in modo superficiale l’Iraq non si può non accorgersi delle “pulizie etnico-confessionali”. E dietro i protagonisti visibili non vi sono forse i facitori e i disfacitori della storia dei popoli?
Fin dagli anni ’50 si sente parlare di un nuovo Medio Oriente, esteso, grande, ecc. Questo progetto di rifondare le società, di omogenizzare i gruppi umani, trasferirli, eliminarli, esiliarne altri, non prepara la via alle persecuzioni?
Perseguitare i cristiani in Iraq e spingerli all’esilio taglierà i ponti fra le etnie e le confessioni che ricostruivano sempre i cristiani; eliminerà i mediatori e i moderatori che erano i cristiani; spingerà le differenti comunità, che si allontaneranno le une dalle altre verso un narcisismo socio-politico-culturale. La violenza sarà – come dice la Bibbia a Caino - questa bestia selvaggia alle porte di uno e dell’altro, perché le lotte non si arrestino più: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo” (Gen. 4, 6-7)
3. Come arrestare le persecuzioni?
Mi sembra evidente che si dovrà lottare su due fronti. All’interno, è indispensabile rivisitare la cultura e le strutture. Occorre lavorare molto sull’educazione, la formazione continua ai valori e al comportamenti civili… E resta un grande lavoro da fare anche a livello delle leggi per eliminare ogni discriminazione. Ma anche per rifondare la cittadinanza per stabilire “l’uguaglianza, la fraternità e la libertà”.
Sul fronte esterno, è indispensabile a livello regionale e internazionale, di fermare le politiche di destabilizzazione, di guerreggiare mediante terzi, ricordando che la pace è il mezzo migliore per fare i propri interessi e per coesistere nella sicurezza.
Ritornando all’Iraq, è necessario aiutare lo Stato a divenire di nuovo l’istituzione fondamentale della società, che anima, regola, dà rifugio e la salva dalla sua stessa violenza. Lo Stato, malgrado tutti i limiti possibili, sarà la migliore garanzia per una coesistenza fra cittadini.

*Arcivescovo di Baghdad dei Latini