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29 maggio 2015

Mar Sako: Oltre la guerra, per un futuro di dialogo e riconciliazione fra cristiani e musulmani

By Asia News

Le Chiese orientali “hanno un futuro sia in Iraq, che in Iran”, e quando finiranno i conflitti esso “sarà ancora migliore” perché si potrà davvero avviare un cammino “di dialogo e di riconciliazione” che abbraccerà cristiani e musulmani. “Le guerre hanno sempre una fine e bisogna lavorare per il futuro, per la riconciliazione, con la pazienza e la preghiera”. È questo il messaggio che il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako consegna ad AsiaNews al rientro a Baghdad, dopo aver effettuato una visita di due settimane alle comunità cristiane caldee in Iran. Sua Beatitudine ha voluto analizzare il momento attuale dell’Iraq, teatro di una sanguinosa guerra fra le autorità centrali e i jihadisti dello Stato islamico oggi concentrata attorno a Ramadi e in alcune zone della provincia di Anbar.
Mar Sako racconta che in Iraq - teatro oggi di un doppio attentato nei pressi di due hotel di lusso nella capitale, che hanno causato morti e feriti - la situazione “resta molto tesa” e “la gente è preoccupata per il futuro”. I miliziani dello Stato islamico, aggiunge, “si muovono e hanno occupato una parte molto importante del Paese”. I jihadisti controllano “più del 50% del territorio siriano e anche il 30% del territorio irakeno” sono diventati parte del Califfato e “questo mette paura, la gente vive con ansia e timore”.
Per quanto concerne gli sfollati il numero ha superato i tre milioni e, racconta il patriarca caldeo, “manca loro un po’ di tutto”; essi possono contare sull’aiuto di agenzie internazionali e della Chiesa, “ma è difficile andare avanti e vi è amarezza e sconforto” fra le persone. “Il governo fa ciò che può - aggiunge - ma manca la formazione di soldati, mancano le armi e il quadro generale della regione mediorientale complica ancor più la situazione nel nostro Paese. Bisogna affrontare questa crisi non solo dal punto di vista militare, ma è necessario contrastarne anche l’ideologia. Sono molto pericolosi”.
Se il fronte interno irakeno è fonte di preoccupazione, il patriarca di Baghdad ricorda ancora con fiducia e speranza il recente viaggio pastorale - dal 12 al 24 maggio - fra le comunità caldee iraniane di Teheran e Urmia, in cui vivono “quasi 400mila fedeli”. Incontrandoli, racconta, “ho sentito dentro di me la forza della Chiesa primitiva”, una realtà “che può crescere se ha pazienza e riesce a mantenersi unita”. La mia visita, aggiunge, “ha contribuito a rafforzare la spiritualità e dare loro speranza, incoraggiandoli a rimanere”. Anche perché, osserva, “loro hanno pace e speranza, non hanno paura [a differenza dei fedeli in Iraq] e questa è una benedizione per loro”.
Nel contesto del viaggio in Iran, mar Sako ha incontrato le più alte autorità civili e religiose della Repubblica islamica, sottolineando il ruolo di Teheran nel contesto regionale come forza “di pace e di stabilità”. Bisogna imparare da queste guerre, ha detto il patriarca ai leader iraniani, e “lavorare per la riconciliazione fra sunniti e sciiti, siete tutti musulmani e non ci sono scuse per fratture o divisioni”. “Ho insistito - aggiunge - perché promuovano l’idea di un islam di pace e tolleranza, di mostrare nei fatti che non vi è oppressione nell’islam… e poi ho proposto di fare iniziative in comune nell’Anno della misericordia. Hanno risposto in modo positivo, ma alle parole devono seguire i fatti!”.
Fra le idee emerse dai vari incontri, la possibilità di creare un “comitato misto” di musulmani e cristiani iraniani “per il dialogo sociale e religioso”, per dar vita a legami e rapporto “al di là delle frontiere”. I fedeli, aggiunge, si sono detti “pronti” a dar seguito alla proposta e desiderano davvero “un dialogo sincero”. “In Iran - conferma Sua Beatitudine - c’è una presenza cristiana simbolica ma attiva, e deve essere incoraggiata. Ho cercato di dare loro un impulso, sottolineando che il patriarca è vicino a loro e pensa anche a loro”.
Da ultimo, il patriarca di Baghdad rivolge un invito alla Chiesa cattolica universale perché “pensi di più a questi Paesi poveri in numero, ma forti nella qualità” quando si parla di presenza cristiana. “La Congregazione delle Chiese orientali - avverte - deve essere più vicina a questi ‘piccoli resti’, lavorando per l’unità e la solidarietà, non solo la semplice amministrazione”. Queste Chiese dell’Iran e dell’Iraq, conclude, possono avere un futuro e i cristiani potranno continuare a essere - come è sempre stato in passato - “un ponte fra religioni, fedi e culture” in Medio oriente.