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29 maggio 2015

Patriarca Younan: l'Occidente non dimentichi Siria e Iraq

By Radiovaticana

Continua la situazione tragica in Siria. Secondo fonti dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, i miliziani del Fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda hanno conquistato la città di Ariha nella provincia di Idlib, nel nordovest della Siria. Ariha dove vivevano 40 mila persone prima dell’ inizio del conflitto nel 2011, era l'ultima città in mano al regime di Damasco al confine con la Turchia. E anche per i cristiani la vita nel Paese diventa sempre più difficile. Ascoltiamo la testimonianza del patriarca della Chiesa siro-cattolica, Ignace Youssif III Younan, al microfono di Marina Tomarro:

Iraq e Siria sono Paesi che soffrono una ecatombe molto grave. Questi due Paesi sono sicuramente in uno stato molto critico perché c’è la complessità di confessioni, di etnie. E allora, i potenti hanno sfruttato queste divergenze per mettere l’uno contro l’altro nel nome del cosiddetto sistema democratico basato sul modello occidentale. Era tutta una bugia però. In Siria, c’è una situazione molto tragica. L’Is vuole imporre la suareligione, la sua "sharia", in Paesi che erano piuttosto orientati verso un sistema laico come poteva esserlo in quella regione del Medio Oriente.
Ancora crudeli sono le persecuzioni contro i cristiani. Come vivono?
Da dieci mesi, i cristiani in Iraq sono stati cacciati da Mosul e dalla piana di Ninive, vicino a Mosul. Abbiamo almeno 150 mila cristiani che sono la più grande concentrazione in quel Paese, e che adesso sono profughi. Ancora vivono in carovane, in case non finite, in condizioni molto precarie umanamente. Non si sa se loro potranno tornare a casa o no. La sfida da affrontare è come possiamo convincerli a rimanere radicati nei Paesi dei loro antenati. Poi, in Siria, da più di quattro anni c’è questa guerra civile di cui noi patriarchi avevamo già previsto tutte queste conseguenze orribili. Già quattro anni fa abbiamo detto: “Per favore, badate a non confondere questi Paesi con i vostri Paesi occidentali. Per favore, aiutateci affinché le parti in conflitto possano ritrovarsi e cercare un dialogo di riconciliazione per un futuro migliore per tutti”. Ma questo non è stato mai fatto. E’ vero che il sistema non era democratico come in Occidente, però non si possono avere sistemi democratici in Medio Oriente finché noi separiamo religione e Stato. Quindi, bisogna andare al fondo del problema e dire a questa gente di separare la religione dagli aspetti socio-politici di un Paese affinché tutti potranno sentirsi in sicurezza. Questo è il fondo del problema.
La comunità internazionale in che modo dovrebbe intervenire, secondo lei?
Penso che per questo caos che si è creato in Medio Oriente, la comunità internazionale dovrebbe mettersi al lavoro e dire: “Questi popoli stanno soffrendo, cosa possiamo fare per loro? Dobbiamo dire loro: guardate, siete nel 21.mo secolo, voi monarchi del Golfo e voi dei Paesi del vicino Oriente, come l’Iraq, la Siria, l’Egitto, dovete pensare a riformare il vostro sistema politico per far sentire tutti veri cittadini e noi siamo qui per aiutarvi.
La caduta di Palmira cosa ha causato?
E’ una sconfitta per tutta la civiltà odierna. Nel 21.mo secolo si lascia distruggere tutto da queste bande di terroristi che non rispettano la civilizzazione. Palmira è un gioiello di civiltà in mezzo al deserto. E quindi è una sconfitta per tutti.
 

Mar Sako: Oltre la guerra, per un futuro di dialogo e riconciliazione fra cristiani e musulmani

By Asia News

Le Chiese orientali “hanno un futuro sia in Iraq, che in Iran”, e quando finiranno i conflitti esso “sarà ancora migliore” perché si potrà davvero avviare un cammino “di dialogo e di riconciliazione” che abbraccerà cristiani e musulmani. “Le guerre hanno sempre una fine e bisogna lavorare per il futuro, per la riconciliazione, con la pazienza e la preghiera”. È questo il messaggio che il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako consegna ad AsiaNews al rientro a Baghdad, dopo aver effettuato una visita di due settimane alle comunità cristiane caldee in Iran. Sua Beatitudine ha voluto analizzare il momento attuale dell’Iraq, teatro di una sanguinosa guerra fra le autorità centrali e i jihadisti dello Stato islamico oggi concentrata attorno a Ramadi e in alcune zone della provincia di Anbar.
Mar Sako racconta che in Iraq - teatro oggi di un doppio attentato nei pressi di due hotel di lusso nella capitale, che hanno causato morti e feriti - la situazione “resta molto tesa” e “la gente è preoccupata per il futuro”. I miliziani dello Stato islamico, aggiunge, “si muovono e hanno occupato una parte molto importante del Paese”. I jihadisti controllano “più del 50% del territorio siriano e anche il 30% del territorio irakeno” sono diventati parte del Califfato e “questo mette paura, la gente vive con ansia e timore”.
Per quanto concerne gli sfollati il numero ha superato i tre milioni e, racconta il patriarca caldeo, “manca loro un po’ di tutto”; essi possono contare sull’aiuto di agenzie internazionali e della Chiesa, “ma è difficile andare avanti e vi è amarezza e sconforto” fra le persone. “Il governo fa ciò che può - aggiunge - ma manca la formazione di soldati, mancano le armi e il quadro generale della regione mediorientale complica ancor più la situazione nel nostro Paese. Bisogna affrontare questa crisi non solo dal punto di vista militare, ma è necessario contrastarne anche l’ideologia. Sono molto pericolosi”.
Se il fronte interno irakeno è fonte di preoccupazione, il patriarca di Baghdad ricorda ancora con fiducia e speranza il recente viaggio pastorale - dal 12 al 24 maggio - fra le comunità caldee iraniane di Teheran e Urmia, in cui vivono “quasi 400mila fedeli”. Incontrandoli, racconta, “ho sentito dentro di me la forza della Chiesa primitiva”, una realtà “che può crescere se ha pazienza e riesce a mantenersi unita”. La mia visita, aggiunge, “ha contribuito a rafforzare la spiritualità e dare loro speranza, incoraggiandoli a rimanere”. Anche perché, osserva, “loro hanno pace e speranza, non hanno paura [a differenza dei fedeli in Iraq] e questa è una benedizione per loro”.
Nel contesto del viaggio in Iran, mar Sako ha incontrato le più alte autorità civili e religiose della Repubblica islamica, sottolineando il ruolo di Teheran nel contesto regionale come forza “di pace e di stabilità”. Bisogna imparare da queste guerre, ha detto il patriarca ai leader iraniani, e “lavorare per la riconciliazione fra sunniti e sciiti, siete tutti musulmani e non ci sono scuse per fratture o divisioni”. “Ho insistito - aggiunge - perché promuovano l’idea di un islam di pace e tolleranza, di mostrare nei fatti che non vi è oppressione nell’islam… e poi ho proposto di fare iniziative in comune nell’Anno della misericordia. Hanno risposto in modo positivo, ma alle parole devono seguire i fatti!”.
Fra le idee emerse dai vari incontri, la possibilità di creare un “comitato misto” di musulmani e cristiani iraniani “per il dialogo sociale e religioso”, per dar vita a legami e rapporto “al di là delle frontiere”. I fedeli, aggiunge, si sono detti “pronti” a dar seguito alla proposta e desiderano davvero “un dialogo sincero”. “In Iran - conferma Sua Beatitudine - c’è una presenza cristiana simbolica ma attiva, e deve essere incoraggiata. Ho cercato di dare loro un impulso, sottolineando che il patriarca è vicino a loro e pensa anche a loro”.
Da ultimo, il patriarca di Baghdad rivolge un invito alla Chiesa cattolica universale perché “pensi di più a questi Paesi poveri in numero, ma forti nella qualità” quando si parla di presenza cristiana. “La Congregazione delle Chiese orientali - avverte - deve essere più vicina a questi ‘piccoli resti’, lavorando per l’unità e la solidarietà, non solo la semplice amministrazione”. Queste Chiese dell’Iran e dell’Iraq, conclude, possono avere un futuro e i cristiani potranno continuare a essere - come è sempre stato in passato - “un ponte fra religioni, fedi e culture” in Medio oriente.

28 maggio 2015

Mons. Basel Yaldo (Baghdad): Gli iracheni cristiani "siamo dei resti"

By Baghdadhope*

In visita in Croatia per creare legami tra quella nazione ed i cristiani iracheni il vicario patriarcale caldeo, Mons. Basel Yaldo, ha tenuto un discorso presso il Museo Nazionale croato il cui testo è pervenuto a Baghdahope.
Nel discorso Mons. Yaldo ha sottolineato la difficile situazione che l’Iraq, ed in particolar modo i suoi cittadini cristiani, stanno vivendo.
“Quello che sta accadendo in Iraq da 12 anni fa è una lunga divisione preparata con cura e strategia.
“Credo che tutto si concluderà con la divisione dell'Iraq; il terreno è già pronto, psicologicamente e geograficamente. La divisione è solo una questione di tempo!”
Mancanza di sicurezza, lavoro e servizi, rapimenti, criminalità  sono i problemi che i cittadini devono affrontare da ormai 12 anni tanto che, secondo il vescovo, “la vita per loro si è quasi fermata,” in uno stato il cui governo non è in grado di proteggere neanche il suo personale e quindi: “Come può proteggere il popolo?”
In una tale situazione, continua il vescovo, tutti soffrono “ma i cristiani in particolare perché sono una minoranza nel paese, non hanno alcun potere o autorità” e ciò li sta portando a fuggire smembrando le famiglie in tutto il mondo.
Prima del 2003 la comunità cristiana contava, secondo Mons. Yaldo, più di un milione di persone ora ridotte a circa 400.00: “oggi, purtroppo, siamo dei “resti" dice infatti. Una comunità più che dimezzata per la quale: “Né il governo né la comunità internazionale ha fatto e sta facendo abbastanza.”
La comunità irachena cristiana, erede diretta del “cristianesimo [che] è entrato in Mesopotamia, la 'Terra tra i due fiumi', l'attuale Iraq, entro la fine del primo secolo dell'era cristiana” fa parte di una Chiesa “fin dall'inizio perseguitata dai persiani, arabi, mongoli e ottomani” il cui carisma è il  “martirio” onorato nella liturgia e che, per quanto doloroso: “ci dà la forza di perseverare e rimanere dove siamo.”
La fede profonda e la convinzione che “Dio ha il suo piano per la nostra esistenza in quella terra e ci invita a diffondere il messaggio di amore, fratellanza e tolleranza, come ha fatto Cristo” fanno sì che, nonostante tutto, i cristiani in Iraq abbiano “ancora speranza nell’intervento di Dio che tutto può cambiare” e per questa ragione Mons. Yaldo invita tutti a “pregare per la pace nel mondo, soprattutto per i popoli del Medio Oriente che stanno soffrendo, e anche per il mio paese, l'Iraq.”
Mons. Yaldo  fu il terzo della lunga serie di sacerdoti rapiti in Iraq tra il 2006 ed il 2007 (compreso il vescovo di Mosul, Mons. Faraj P. Raho, ucciso durante la prigionia). Il suo breve ma duro sequestro fu anomalo. All’epoca segretario del Patriarca caldeo, Mar Emmanuel I Delly, a Mons. Yaldo, come lui stesso racconta, furono rivolte molte domande “sul rapporto tra il Papa e il Vaticano ed i cristiani, e come trattare con gli americani” e fu liberato a condizione che riferisse “le loro richieste (5 condizioni) al Patriarca” e di conseguenza al Vaticano. Subito dopo la sua liberazione, infatti, l’allora Padre Basel ed il Patriarca si recarono a Roma “per incontrare in udienza privata Sua Santità (Papa Benedetto) [e] spiegare tutti i dettagli del sequestro.”
Trasferito per ragioni di sicurezza negli Stati Uniti Mons. Yaldo ha lì servito la comunità caldea fino al 2011 per poi tornare a Roma per il dottorato di ricerca fino al suo trasferimento a Baghdad nello scorso febbraio come nuovo vicario patriarcale caldeo.
Nella sua visita in Croazia Mons. Yaldo è stato accompagnato da padre Thomas Benham, segretario del Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, da padre Amir Jaje, OP e da Suor Aman Mariam, delle Suore di Santa Caterina da Siena.   
   

Monks won't leave ancient monastery amid ISIL threat


Yousif Ibrahim paces down the 1,600-year-old chamber room of Saint Matthew's Monastery passing rows of empty polished-wood pews. Ornate crystal chandeliers hang from the arched ceiling above him. The room smells of dust and incense, and its silence is peaceful. Outside of the ancient walls, however, the battle for Iraq is raging.
"We can see the battles and the airstrikes from here in front of us, especially at night. The sky lights up at night, but we of course are not scared. God protects us," Ibrahim, one of three monks who resides in the monastery, says.
Situated on the side of Mount Al-Faf in North Iraq's Nineveh Plains, St. Matthew's Monastery is recognized as one of the oldest Christian monasteries in Iraq. Today, the beige stone structure looks down on the rolling hills of one of Iraq's most active frontlines against the Islamic State, less than four miles away.
The horizon is spotted with pluming towers of white and black smoke from U.S.-led coalition airstrikes and heavy artillery fire. From this frontline, Islamic State territory stretches back to Mosul, the group's largest Iraqi stronghold.
The proximity of the Islamic State to St. Matthew's means the monastery is constantly at risk. The extremist group is known for destroying churches, museums and other culturally and historically significant sites.
Last week, the militants seized the Syrian city of Palmyra and its ruins, described by the United Nations as "one of the most important cultural centers of the ancient world." The city's fall left the world holding its breath in anticipation of the UNESCO World Heritage site's destruction.
St. Matthew's is safely under Kurdish Peshmerga military control for now. But Sahar Karaikos, one of six students at the monastery, fears what could happen if the Islamic State advances closer.
"We are not scared, because our teachers give us a feeling of peace here, but we know we are on the frontlines, and in seconds the Islamic State could be here," Karaikos says. "I don't even want to think or speak about the destruction the Islamic State would cause if they took our monastery."
While monks at the monastery say they are confident God and the Peshmerga forces will protect the site, they have removed their most precious relics, including centuries-old Christian manuscripts. The tomb of the monastery's namesake, St. Matthew, lies empty -- the bones have been moved north into the relatively safe territory of the Kurdish Regional Government.
Most of the residents from the villages below the monastery, including Karaikos's family, also sought refuge in that region after fleeing in August, when the Islamic State advanced on the area. The three monks at the monastery and all six students, however, resolved to stay.
From the monastery's stone terraces, Karaikos can see his village, Bartalla, a Christian town that dates back more than 1,000 years. Today, as he points out his abandoned village from high on the mountainside, thick plumes of smoke billow up from Bartalla's skyline.
"(The Islamic State) does not understand what history means, they just understand the breaking of history," he says. "If a people don't have the history of their past, then they will not have a future because they won't know what their origins are, where they came from."
In its hey-day the monastery boasted 7,000 monks in its ranks. The area surrounding the complex was named Al-Faf, meaning "the thousands," in homage to the legion of monks who worshipped, taught and studied on its steep dry slopes. But just like the Christian population in Iraq, that number has dwindled dramatically over the years.
Extremist groups have systematically targeted Christians over the past century, and the Islamic State is only a continuation of that long history, Ibrahim says. Despite holding fort at the monastery, Ibrahim says St. Matthew's, and Christianity in Iraq, are on their last legs.
Iraq's Christians will eventually abandon the nation, Ibrahim says, leaving their history behind them. Only then will he consider fleeing the war-torn country himself. "The shepherd cannot leave his sheep," he says.
Karaikos, however, says it is critical that Iraq's Christians do not flee. Instead, he hopes they stand resilient to preserve their history.
"Saint Matthew ended up here because he was fleeing persecution, but persecution follows us," Karaikos says. "We can't run from it, we have to stand in front of our history."

Vescovo caldeo, chi sostiene e arma stato islamico si fermi

By MISNA

“A Bagdad la gente comincia ad aver paura e a chiedersi: arriveranno anche qui? Nessuno si sente più al sicuro, e i cristiani sono – inutile dirlo – i più esposti a ritorsioni e violenze”: raggiunto telefonicamente da MISNA il vescovo ausiliare caldeo a Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, descrive così l’atmosfera nella capitale che assiste attonita all’avanzata dello Stato Islamico nella provincia di Al Anbar.
La città, osserva il religioso, “sembra essere ripiombata alla situazione di un anno fa, quando addirittura si arrivò a temere la chiusura dell’aeroporto internazionale e diplomatici e stranieri dormivano con le valigie sotto il letto”. Da Ramadi, dove la scorsa settimana hanno inferto una pesante sconfitta alle truppe regolari, i combattenti del califfato guardano verso Fallujah e potrebbero presto dirigersi verso Bagdad.
“Sarebbe una disgrazia” chiosa il vescovo, scegliendo con cura le parole. “Questa gente dice di agire in nome di Dio, ma quale Dio? Sono uomini senza coscienza e senza fede che uccidono i bambini e aggrediscono le donne. Nessun Dio può volere questo”.
Ieri il governo iracheno ha annunciato l’avvio di un’offensiva cruciale per le sorti del conflitto, volta a riprendere la città di Ramadi, a cui partecipano anche le Unità di mobilitazione popolare sciite e tribù sunnite.
“Aspettiamo e preghiamo che l’offensiva vada a buon fine. Perché in questi ultimi tempi l’avanzata di questi nuovi barbari, dalla Siria all’Iraq, sembrava inarrestabile. Anzi, ci sarebbe da chiedersi come possono pochi uomini sconfiggere gli eserciti più equipaggiati della regione? Le loro conquiste sono rese possibili dalle potenze che li sostengono e gli vendono le armi. È a loro che diciamo: fermatevi!”.

Patriarca di Baghdad: caldei dell’Iran, “luce, sale e lievito” nella Chiesa di Persia

By Asia News
di Louis Raphael I Sako*


Dal 12 al 24 maggio scorso Mar Sako ha compiuto una visita pastorale a Teheran e Urmia, in Iran, incontrando personalità politiche e religiose, cristiane e musulmane. Sua Beatitudine sottolinea la presenza storica dei cristiani in Iran, una presenza che precede l’islam. Egli invita i fedeli a “stare vicini al vostro Paese” e “rafforzarvi per qualità e non per numero”.
"Voi siete iraniani e non i discendenti di una comunità straniera”; per questo “vi invitiamo a stare vicini al vostro Paese”, a quelle terre abitate dai cristiani “ancor prima dell’arrivo dell’islam”. È questo uno dei passaggi della lettera inviata da sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako alle comunità caldee in Iran, a conclusione della recente viaggio pastorale. Nelle due settimane di visita il patriarca caldeo ha incontrato i fedeli delle diocesi di Teheran e Urmia, incontrando fedeli, sacerdoti e suore locali, i vescovi ma anche autorità politiche e personalità religiose musulmane. 
Nella lettera pastorale, inviata ad AsiaNews, egli parla di una visita fonte di “estrema soddisfazione”, perché “da questo viaggio abbiamo imparato moltissimo”. Il patriarca sottolinea la fede, la fermezza e la speranza delle comunità caldee in Iran, capaci anche di salvaguardare valori e tradizioni, fra cui la lingua stessa. Mar Sako non manca inoltre di notare “la pace e la stabilità” di cui i cristiani iraniani possono godere “nel vostro amato Paese” e il “dialogo positivo” con “il governo e le autorità religiose”.
Ecco, di seguito, la lettera indirizzata da Sua Beatitudine ai cristiani caldei in Iran dopo la visita pastorale dal 12 al 24 maggio 2015. 

Cari vescovi, sacerdoti, religiosi, suore e fratelli tutti,
(Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo, Romani 1,7)
La nostra visita presso le vostre comunità, dal 12 al 24 maggio scorso, è stata per noi fonte di estrema soddisfazione. Da questo viaggio abbiamo imparato moltissimo. Voi siete sempre nelle nostre preghiere. E ringraziamo Iddio. Gli incontri a Teheran e Umria hanno colmato i nostri cuori di profonda gioia e gratitudine per la vostra fede, la vostra fermezza, la speranza, per l’amore e per aver saputo mantenere i vostri valori cristiani e le vostre tradizioni, fra cui anche la lingua caldea. Grazie. 
Ringraziamo Dio per la pace e la stabilità di cui voi state godendo nel vostro amato Paese, l’Iran, e ringraziamo anche il governo e le autorità religiose che abbiamo incontrato. Vogliamo ringraziarle in particolare per la loro calda accoglienza e il dialogo positivo che è stato instaurato.  Fratelli e sorelle carissimi, 
vi ricordo che voi siete i discendenti di martiri e santi. Nella cattedrale di Umria vi sono i resti di almeno 4mila martiri, massacrati nel 1918. Essi sono per voi fonte di forza e di benedizione. Quello che scrive san Paolo Apostolo nella sua lettera ai Romani, oggi io lo rivolgo a voi: “E se la primizia è santa, anche la messe è santa! E se la radice è santa, anche i rami sono santi”. Voi siate beati. 
Vi invitiamo anche a stare vicini al vostro Paese; voi siete iraniani e non i discendenti di una comunità straniera proveniente da un altro pianeta. Voi eravate in quelle terre ancor prima dell’arrivo dell’islam, i cristiani erano la maggioranza e la vostra Chiesa era chiamata la Chiesa di Persia. Oggi voi siete una minoranza, ma possiamo ben vedere come tutti vi rispettino. Sebbene voi siate una piccola comunità per numero, voi siete forti come forti erano i fedeli della Chiesa primordiale. Siamo fiduciosi del fatto che voi possiate crescere. Rafforzarvi prima di tutto per qualità e non per numero. Voi siete la luce, il sale e il lievito. Il vostro futuro è un atto di fede quotidiano. Come suole ripetere Gesù nel Vangelo, non abbiate paura!
Carissimi, lasciate che la grazia e la pace colmino i vostri cuori, unitamente alle benedizioni del Signore. 

* Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irakena

27 maggio 2015

La diplomazia pol. corr. di Obama non concede asilo ai cristiani

By Il Foglio

Julian Dobbs
, vescovo di una delle quattro diocesi anglicane del nord America, stava perorando presso il dipartimento di stato americano la causa di un gruppo di cristiani assiri del nord dell’Iraq che tentano di fuggire dai loro persecutori, magari per trovare asilo in America, quando si è sentito dare questa risposta dall’ufficio per i migranti di Foggy Bottom: “Non c’è modo che i cristiani vengano sostenuti per via della loro affiliazione religiosa”.
Il governo americano non riconosce l’affiliazione religiosa dei cristiani iracheni e siriani come motivazione sufficiente per concedere asilo, anche se ogni giorno dal medio oriente arrivano sanguinose testimonianze della persecuzione in odium fidei, mentre l’elemento sociale o etnico è soltanto un aspetto secondario. Da Erbil fino alle coste della Libia, da Garissa alla Siria, i cristiani vengono perseguitati per la loro fede, “anche più che nei primi secoli del cristianesimo”, come ha detto Papa Francesco, invitando a più riprese il mondo a non voltarsi dall’altra parte.
L’arcivescovo di Erbil, Bashar Warda, spiega che i cristiani in Iraq “hanno sperimentato lungo i secoli molte difficoltà e persecuzioni, offrendo carovane di martiri, eppure il 2014 ci ha portato i peggiori atti di genocidio contro di noi nella nostra storia”.
L’inaudita gravità della situazione ha portato a cambiare posizione molti leader cristiani che storicamente invitavano i fedeli a rimanere in medio oriente. Ora invece agevolano le procedure per le richieste di asilo e di visti speciali nei paesi occidentali, ma l’Amministrazione Obama non ha intenzione di concedere uno status speciale per i cristiani e le altre minoranze religiose perseguitate dallo Stato islamico e da altri gruppi della galassia del jihad. Probabilmente Washington teme di finire sotto lo stesso fuoco di fila di critiche che si è abbattuto qualche mese fa sul governo canadese, che in alcuni documenti riservati aveva sollevato la possibilità di dare la precedenza ai rifugiati cristiani dell’Iraq, riconoscendo una minaccia specifica. Dalle agenzie dell’Onu e da organizzazioni non governative è arrivata la protesta sulle presunte sporgenze discriminatorie della proposta, subito abbandonata. L’opinionista Kirsten Powers ha scritto che Obama “non sembra avere alcun interesse per le persecuzioni di massa dei cristiani in medio oriente o per lo sradicamento del cristianesimo nei luoghi in cui è nato”, e la denuncia del vescovo anglicano riduce l’affermazione al rango di eufemismo.
“I dati dicono che non soltanto all’interno dell’Amministrazione non c’è interesse per i cristiani che vivono sotto la minaccia del genocidio da parte dello Stato islamico, ma non c’è posto per loro qui. Punto”, scrive Faith McDonnell, direttrice dell’Institute on Religion and Democracy. Le regole del dipartimento di stato dicono che il rischio della persecuzione dei cristiani iracheni non è un elemento sufficiente per garantire richieste di asilo, e la questione non ha nulla a che fare con il costo dell’operazione sulle spalle del contribuente americano. Anche i cristiani sostenuti dai fondi di organizzazioni umanitarie vedono rifiutarsi le richieste d’asilo, mentre l’America accoglie con più facilità altre categorie di rifugiati. Dall’inizio dell’anno oltre quattromila somali hanno trovato asilo negli Stati Uniti, mentre il Sirian e Iraqi Refugee Program non fa distinzioni religiose nel vagliare le richieste, anche se in questo caso la differenza religiosa coincide con una differenza sostanziale sul piano del rischio per la popolazione. McDonnell sostiene che in questo modo l’America “potrebbe anche avere accolto a sua insaputa elementi dello Stato islamico” che si sono spacciati come rifugiati.
Il caso che spiega meglio di tutti l’ostilità della burocrazia governativa per i cristiani iracheni è quello di Diana Momeka, suora dell’ordine domenicano di Santa Caterina da Siena, invitata dal Congresso a dare una testimonianza sulla condizione dei cristiani in Iraq. Alcune settimane prima della partenza per Washington, Momeka ha ricevuto comunicazione che il dipartimento di stato aveva rifiutato la sua richiesta di un visto, perché “non è stata in grado di dimostrare che le sue attività negli Stati Uniti sono compatibili con il tipo di visto che ha richiesto”.
Nina Shea, direttrice del centro per la libertà religiosa dell’Hudson Institute, nell’occasione ha scritto: “Quelli che hanno bloccato suor Diana fuori da questo paese hanno agito coerentemente con il trend di silenzio dell’Amministrazione per quanto riguarda il profilo religioso dei cristiani. Nello stile omertoso tipico del governo americano, i cristiani perseguitati sono identificati soltanto come ‘cittadini egiziani’ o ‘gente kenyota’, ‘vittime innocenti’ oppure ‘iracheni innocenti’”.
Nessun riferimento all’unico motivo per cui cercano rifugio all’estero, cioè la loro fede. Voci come quella di Shea si sono levate in America in difesa del viaggio di Momeka su invito del Congresso, vicenda kafkiana sbrogliata con una repentina concessione del visto. I termini della richiesta non erano cambiati, era cambiato il clima circostante, che aveva fatto trasparire tutta l’assurdità della posizione di Foggy Bottom. Benché esemplificativo della mentalità che pervade l’Amministrazione, il caso non è tipico. Il medio oriente è pieno di cristiani che non vengono invitati a parlare al Congresso e per i quali non si scateneranno campagne di solidarietà ad hoc. Per loro Washington ha una politica burocratica che non fa distinzioni religiose, come se quello non fosse l’elemento centrale della loro fuga.


20 maggio 2015
Bishop Dobbs: U.S. State Department Denies Visa for Assyrian Christians in Iraq Who Face Imminent Threats from ISIS

17 aprile 2015
Vancouver a safe haven for Christian refugees

26 maggio 2015

Chiesa Assira dell'Est e Chiesa Antica dell'Est: un altro passo verso la riunione?

By Baghdadhope*

Si è svolta a Chicago (USA) un'importante riunione tra vescovi della Chiesa Assira dell'Est e dell'Antica Chiesa dell'Est.
La riunione, all'insegna delle parole: "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Salmi 133:1) e "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17:21) ha affrontato il tema di una possibile riunione delle due chiese separatesi nel 1964 a causa di uno scisma.
La questione sarà discussa separatamente nel corso dei sinodi (1) delle due chiese durante i quali sarà decisa data e luogo di un successivo incontro in cui si valuteranno le reazione dei due sinodi alla proposta di riunione presentata a Chicago.

Lo scisma che portò alla creazione dell'Antica Chiesa dell'Est (2) ebbe inizio nel 1964 quando l'allora Patriarca della Chiesa Assira dell'Est (3) Mar Eshai Shimun XXIII decise di abbandonare il tradizionale uso del Calendario Giuliano a favore di quello Gregoriano.
Questa proposta di cambiamento - a cui si aggiunse la rivalità tribale e politica - fu avversata da alcuni membri della chiesa che si opponevano anche alla tradizione del passaggio ereditario della carica patriarcale da zio a nipote - Natar Kursi (4)- ed auspicavano che la sede patriarcale tornasse ad essere in Iraq dopo che nel 1933 Mar Eshai Shimoun XXIII, a causa della sua precedente politica filo-britannica ed alle sue richieste per l'autonomia assira, era stato privato della nazionalità irachena ed esiliato a Cipro da dove, nel 1940, si era trasferito - e con lui la sede patriarcale - negli Stati Uniti.
Nel 1964 Mar Eshai Shimun XXIII sospese il suo maggiore oppositore, Mar Thoma Darmo, Metropolita della Chiesa Assira dell'Est di Trichur, in India, che nel 1968 si trasferì a Baghdad dove nominò per la Chiesa Antica dell'Est Mar Poulose Poulose vescovo dell'India, Mar Aprem Mooken Metropolita dell'India e Mar Addai Gewargis Metropolita dell'Iraq. I tre vescovi della nuova chiesa a loro volta nominarono Mar Thoma Darmo primo suo patriarca. Nel 1969 però Mar Thoma Darmo morì a Baghdad e fu sostituito dall'attuale patriarca, Mar Addai II Gewargis.

La proposta di riunione elaborata a Chicago potrebbe essere il passo finale di un cammino iniziato da qualche anno con l'adozione nel giugno 2010 del calendario gregoriano per la festività natalizia (ma non per la Pasqua) da parte dell'Antica Chiesa dell'Est, e con diverse dichiarazioni favorevoli alla riunione da ambo le parti.
Resta da vedere cosa intenderanno le chiese per "riunione". Entrambe hanno nel loro Patriarca l'autorità suprema. In caso di una riunione totale chi guiderà la nuova realtà ecclesiastica? E cosa ne sarà dei territori diocesani coincidenti?
Non sono ostacoli da poco, questi, e fanno pensare più ad una riunione di intenti che ad una vera e propria fusione. Una sorta di "alleanza" tra due chiese che in comune hanno molte cose, e tra le altre - tragicamente - il rischio che condividono con le altre chiese - cattoliche e non - in Iraq: quello di vedere giorno dopo giorno sparire i propri fedeli. 


(1)  Il prossimo sinodo della Chiesa Assira dell'Est avrà anche il compito di scegliere il nuovo Patriarca, successore di Mar Dinkha IV deceduto lo scorso marzo.
(2) (Al-Kanisa al-Sharqiya al-Qadima  - الكنيسة الشرقية القديمة)
(3)
(Al-Kanisa al-Mashriq al-Ashuriya -  الكنيسة المشرق الاشورية) 
(4) Lo stesso Mar Shimoun XXIII era stato nominato Patriarca nel 1920 a soli 12 anni succedendo a suo zio Mar Shimun XXII Paulos.



25 maggio 2015

Ennesimo rinvio nella soluzione del problema dei sacerdoti e monaci caldei riparati all'estero senza permesso

By Baghdadhope*

La questione dei sacerdoti e dei monaci caldei che in passato hanno abbandonato le proprie diocesi ed il proprio monastero senza il permesso dei propri superiori in Iraq per rifugiarsi all'estero, sta diventando una vera e propria serie a puntate sempre più difficile da riassumere.
In sintesi sarebbe stata volontà del Patriarca, Mar Louis Raphael I Sako, che questi preti e monaci "fuggiaschi" avessero fatto ritorno in patria già due anni fa, ma soprattutto dallo scorso anno quando il Patriarcato emise un decreto a proposito.
Il rifiuto di molti di essi di obbedire agli ordini patriarcali, e la lentezza con la quale la questione è stata affrontata a Roma da parte della Congregazione delle Chiese Orientali che il Patriarcato non ha mancato di sottolineare, ha fatto sì che essa non sia ancora risolta a nove mesi di distanza dal quel decreto.
Alcuni di quei sacerdoti e monaci nel frattempo hanno deciso di tornare a servire la chiesa ove destinati dal Patriarcato, alcuni hanno promesso di farlo ma ancora non hanno mantenuto la parola data, altri, infine, sono stati sospesi.
Recentemente, era stata stabilita un'ennesima "finestra temporale" per il loro rientro in patria, (dal 4 al 17 maggio) ma al ritorno della sua visita pastorale in Iran il Patriarca ha scoperto che una lettera della Santa Sede ha prolungato tale finestra al 31 di maggio, pena la sospensione, forse questa volta definitiva, dalla vita sacerdotale e monastica.
Sarà la volta buona? Il braccio di ferro tra il Patriarcato e la Diocesi con sede a San Diego (USA) guidata da Mons. Sarhad Jammo che ha accolto la grande maggioranza di questi sacerdoti e monaci si risolverà? E come?
Per adesso, non è dato sapere.

13 maggio 2015

25 febbraio 2015
(Intervista a Mar Louis Raphael I Sako)

How an Iraqi friar saved ancient Christian manuscripts from IS

By Your Middle East

Bullets whistled overhead, a black Islamic State flag flapping in the distance, but all Friar Najeeb Michaeel could think of as he fled the jihadists was how to save hundreds of ancient Iraqi manuscripts in his possession.
"You are going to get us killed with your archives," Michaeel's assistant Watheq Qassab grumbled as he struggled to carry six boxes of the documents dated between the 13th and 19th century across the border from Iraq into Kurdistan in August last year.
The Roman Catholic Dominican Order arrived in Iraq in the 13th century, and set up a permanent church in the second city of Mosul in 1750.
Michaeel first smuggled his precious library out of Mosul to Qaraqosh -- Iraq's largest Christian town -- during an Islamist insurgency in 2008 which saw thousands of Christians flee the city.
Last year, the friar again felt the tide turning as the Islamic State group seized town after town, destroying priceless artefacts and documents in museums and libraries in their rampage across Iraq and Syria.
As IS on Thursday seized the ancient city of Palmyra in Syria, raising fears of further destruction, Michaeel told AFP in Paris how he became obsessed with saving the remnants of Iraq's 2,000-year-old Christian heritage.
"It was imperative that these manuscripts, conserved in the Dominican library in Mosul and then in Qaraqosh, escape the systematic destruction of the non-Muslim cultural heritage," Michaeel told AFP.
'I thought we were going to die'-
So, when IS seized Iraq's second city of Mosul in June, a short distance from Qaraqosh, Michaeel again took action.
"We loaded a large part of the manuscripts in a truck and drove them to Arbil, in Kurdistan, which is 70 kilometres (40 miles) away," he told AFP.
And when the jihadists descended on Qaraqosh on August 7, forcing the last Dominican friars to flee, he stashed the remaining manuscripts in boxes in his car.
"We were engulfed in the massive exodus of Christians and Yazidis who were fleeing to Arbil", the Kurdish capital, said Michaeel.
"We could see the black flag of Daesh (IS) from a distance. We were protected by armed peshmerga (Kurdish fighters) but they wouldn't let our car cross the border.
"So I started to take the boxes of manuscripts out of the car and hand them to passers by," he said.
Watheq Qassab, an Iraqi working for the Dominican order, helped him.
"Bullets were whistling above our heads and I thought we were going to die," he told AFP.
"Children were crying, women too. I was carrying six boxes, it was heavy, I couldn't run."
Luckily, a car was waiting for them on the Kurdish side of the border, and all the boxes arrived safe and sound and are now hidden in Arbil.
Michaeel's collection includes historical and philosophical texts, documents on both Christian and Muslim spirituality, music and literature written in Aramaic, Syriac, Arabic and Armenian.
They bear testament to the long Christian tradition in former Mesopotamia -- seen as the cradle of Western civilisation -- which survived even as most of the region between the Tigris and Euphrates rivers converted to Islam in the 7th century.
Tens of thousands of Christians have been forced to flee what Pope Francis called the "intolerable brutality" being inflicted on them and other minorities in Iraq and Syria by IS group militants.
 'Bridge between civilisations' -
Historian Francoise Briquel-Chatonnet, a researcher at the French National Centre for Scientific Research, said there were about 50 manuscripts written in the ancient Christian language of Syriac, dated "before the arrival of Islam in the same region."
"Most are conserved in the British Library in London. The oldest dates back to 411."
Michaeel's collection is not that old, but "they are a sort of bridge between civilisations, they bear witness to the past and say a lot about the present," said the friar, adding he sees them as his "children."
In Qaraqosh, Michaeel and his staff have been working for years to collect and digitise the ancient manuscripts, photographing them and storing them on a hard drive.
"Since 1990 we have digitised 8,000 manuscripts from the region. Half of the originals no longer exist as they have been destroyed by the Islamic State," he said.
Copies of seven of these documents are currently being displayed at the National Archives in Paris at an exhibition entitled: "Mesopotamia, a crossroads of cultures."

Persecuted Iraqis denied church in diocese ‘overwhelmed by demand’

By The Tablet
Abigail Frymann Rouch

Iraqi Catholics who have fled to Britain are looking for a spiritual home where they can save their language and customs from dying out, the head of their mission said. 
Fr Nadheer Dako, who ministers to the 4,000 Chaldeans across Britain who have escaped increasing hostility in Iraq, said that when the Archbishop of Erbil had visited London, he asked Cardinal Vincent Nichols for a church but had been refused.
“We asked the Catholic bishops for a building when Archbishop Bashar Warda was over in February and Cardinal Nichols said none was available.” England and Wales are home to more than 70 ethnic chaplaincies but Fr Nadheer said the Chaldeans were not “just another ethnic chaplaincy” –“we’re facing genocide”.
Two-thirds of Iraq’s 1.4m Christians left their homeland in the ten years since the US-led invasion of 2003, and thousands fled to semi-autonomous Kurdistan after the fall of Mosul to Islamic State last summer. He added: “Jews have a homeland; we have no other homeland.”
Fr Nadheer, who survived two abduction attempts by Al-Qaeda when he was a parish priest in Baghdad, said that especially since IS’s rapid advances in Iraq and Syria, “[in Britain] nobody’s thinking about going back”.
A spokeswoman for the diocese of Westminster said the needs of the ethnic chaplaincies were greater than it could meet, but noted that the cardinal had urged Maronite Catholics, when he celebrated Mass for them in February, to bring the “richness” of their traditions into the life of the diocese.
What was needed, said Fr Nadheer, is a centre where they could carry out catechism, youth work, cultural events and lessons in the language of Chaldean worship – Aramaic, a form of the language Christ spoke. The mission is run from a modest priest’s house where running children’s catechism led to neighbours complaining about the noise. With a stronger sense of cultural identity, people would feel more confident about integrating into British culture, he said.
“I preach in Aramaic or Arabic but most of the community doesn’t understand it. People want me to preach in Arabic; the younger generation want me to preach in English,” he added.
“The mission’s been here since 1986 but we still haven’t integrated. Our people are afraid of losing their culture and traditions. They have friends through work but not in their daily life. The older generation don’t want to integrate, but the younger one does.”
Asked whether he thought Britain should accept Iraqi and Syrian Christians as refugees, he said they would prefer to stay, but that would require the international community to create a safe haven for them.

21 maggio 2015

Remember Iraqi Christians warns Bishops

By Christian Radio
Hannah Tooley

The Bishop overseeing displaced Christian families in the north of Iraq has called on all Christian groups to work as one to ensure Britain does not forget suffering believers in Iraq. 
Chaldean Archbishop Bashar Warda of Erbil made the plea to UK Christian leaders from Catholic, Oriental Orthodox and Anglican communities who were visiting the conflict zone.
Archbishop Warda said: "The needs are huge - the Church has achieved a lot here, but there is such a lot to do.
"Please remember us and please keep telling the story in churches, in the media and to your politicians - don't let them forget the Christians here and in the Middle East."
The visit was attended by Bishop Angaelos, General Bishop of the Coptic Orthodox Church in the UK, and Bishop William Kenney, Auxiliary Catholic Bishop of Birmingham, joined by the Anglican Bishop of Ebbsfleet Jonathan Goodall and Dr Michael Nazir-Ali, the former Anglican Bishop of Rochester.
Bishop Angaelos is the moderator of Churches Together in Britain and Ireland, and said the trip was a sign of solidarity with those had had been forced to flee their homes:
He said it: "was an opportunity for us to tell them that they were not forgotten, that they are in our hearts and in our prayers; that we are not just praying for them from the comfort of being in Britain, but that we are willing to go and stand side by side with them and pray with them, seeing where they live, listening to their experiences, and pledging to do the best we possibly can to help them."
"I was also inspired by their resilience, seeing that there is a lot of need, but also how much good work is being done for them."
Catholic charity Aid to the Church in Need organised the trip, which included visits to centres for displaced people in Erbil, as well as monasteries.

Card. Sandri: in Iraq ho visto cristiani sofferenti ma pieni di fede

By Radiovaticana
Elvira Ragosta


E' sempre grave la condizione dei cristiani nelle aree di conflitto in Medio Oriente. A questo proposito sentiamo la testimonianza del card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, da poco rientrato da una missione in Iraq.

E’ stato per me un viaggio veramente molto significativo, perché ho potuto avvicinare la realtà della Chiesa cattolica in Iraq e la realtà di tanti cristiani e soprattutto di alcuni vescovi delle altre Chiese che vivono e che operano lì e ho potuto portare una parola di vicinanza e di incoraggiamento. Nonostante tutto quello che sta succedendo non bisogna far morire la speranza: bisogna tenerla sempre viva.

Lei ha incontrato anche molti profughi…
Ho visitato diverse case con profughi e ho potuto non solo portare una parola di conforto, ma soprattutto ho potuto apprendere da loro, vedere come loro - nonostante tante sofferenze - mantengano la serenità e la pace: vivono in condizioni precarie e in condizioni molto elementari, ma piene di fede e di speranza. Vedere certi cattolici, cristiani, siro-cattolici sfollati di Qaraqosh di Mosul che vivono con le loro famiglie, con dignità, con povertà, con austerità è veramente un esempio per tutti noi.
Cosa le chiedevano queste persone come prima cosa?
La loro vita era una parola, una richiesta di aiuto, di solidarietà da parte di tutto il mondo e in particolare del mondo cattolico. 

Mosul: continua la distruzione delle chiese

By Baghdadhope*




Le immagini valgono più delle parole.
Il sito Ankawa.com ha riportato le immagini messe in rete dallo Stato Islamico relative alla sistematica distruzione della croce che adornava la facciata della chiesa siro ortodossa dell'Immacolata nel quartiere Al Shefaa.
Secondo il sito le immagini sarebbero recenti anche se già lo scorso anno lo stesso sito aveva riportato la notizia della distruzione della stessa croce.
In fondo non importa sapere se sia stata distrutta allora o recentemente. Certo è che le immagini affevoliscono la speranza di un eventuale ritorno della popolazione cristiana di Mosul.

«Prego per l'Is, Dio cambi i loro cuori»

By Avvenire
Arturo Celletti

Non c’è emozione negli occhi di monsignor Petros Mouche. Il suo racconto è asciutto. Senza aggettivi. Senza pause. È la cronaca di un martirio. È la fotografia di un genocidio. «A Mosul nel 2003 i cristiani erano 50mila, nel 2014 tremila, oggi non ce n’è più nemmeno uno». Una pausa leggera. Poi Mouche, dal 2011 Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, ripete quell’ultimo dato e lo arricchisce di un’annotazione che fa pensare: «Ufficialmente non ce n’è più nemmeno uno e il mondo non ha ancora capito».
Parla in francese e, di tanto in tanto, stringe il grande crocifisso di ferro che porta al collo legato a una lunga catena. È la storia di una persecuzione. Di donne cristiane che si coprono il capo con il velo per confondersi con le donne musulmane. Di sacerdoti uccisi. Monsignor Mouche li ricorda sottovoce: monsignor Faraj Rahho, Arcivescovo caldeo a Mosul, rapito e ucciso nel 2008; padre Ragheed Ganni ucciso un anno prima perché si era rifiutato di chiudere la chiesa di cui era parroco. La prima domanda al sacerdote è netta, provocatoria: odia i miliziani dell’Is, odia i responsabili di questa persecuzione? «No, non li odio. Prego perché Dio possa cambiare il loro cuore. Il cuore dei miliziani dello Stato islamico».
Un’altra pausa. «E prego anche perché i cristiani iracheni possano perdonare. Possano ritrovare la pace. E possano tornare a vivere e a pregare nelle loro terre».
Siamo a Trastevere, nel cuore di Roma, nella sede italiana di Aiuto alla Chiesa che soffre. Monsignor Mouche è qui perché i cristiani in Iraq «non possono essere abbandonati, perché hanno bisogno di un sostegno morale e materiale. Di donazioni e di media capaci di raccontare».
Per farlo parte da una data: la notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014. Le milizie dell’Is occupano Qaraqosh, una città a nord dell’Iraq. Una città di cristiani. La città dove è nato settantadue anni fa. «Migliaia di famiglie hanno lasciato tutto. Anche io sono scappato portando via solo il passaporto. Abbiamo passato giorni per strada. Molti dormivano nei cortili delle chiese, molti nei palazzi abbandonati. La sofferenza si legava alla preghiera, il dolore alla fede».
E ora? «Sono passati dieci mesi è tutto è terribilmente complicato. La mia comunità soffre. Non ha cibo, non ha denaro, non ha assistenza sanitaria. E soprattutto non ha una terra. Una parte è dispersa in 57 luoghi diversi del Kurdistan. Ci vuole forza per andare avanti. Ci vuole fede».
Parla del suo impegno monsignor Mouche. Dei suoi sacerdoti «coraggiosi». Del suo girovagare tra i villaggi del Kurdistan per «tenere unita la sua comunità sempre più scoraggiata, sempre più senza una prospettiva ». Delle sue “trasferte” in Europa per reclamare attenzione e aiuti. «Tanti, troppi non riescono a immaginare un futuro. Il governo iracheno e quello curdo promettono che libereranno le nostre terre dall’Is. Ma i punti oscuri sono più di quelli chiari e la sfiducia spesso ha la meglio».
Una parola rimbomba nel salone sobrio della sede di Acs: Is. Ancora una volta interroghiamo l’Arcivescovo: che direbbe oggi a un miliziano dello stato islamico? «Nulla. Non gli direi nulla. Hanno fatto troppo male e posso perdonare, pregare per loro, non cercare o accettare un confronto». Il sacerdote racconta l’ultima telefonata con un dirigente dell’Is. «Io lo sfidavo: “Perché ci fate questo?”. Lui era netto, quasi spietato: “Potete convertirvi, potete pagare la jizya (la tassa imposta dalla maggioranza islamica ai non musulmani durante l’impero ottomano e reintrodotta dalle milizie islamiche, ndr) o potete andarvene”. Noi ce ne siamo andati e ora Qaraqosh non c’è più. Non c’è più la sua comunità siro cattolica».
Ancora una pausa questa volta più lunga. Poi con la testa tra le mani monsignor Mouche sussurra una frase: «Se non ci sarà più una Qaraqosh cristiana non ci sarà più il cristianesimo in Iraq».
C’è il perdono verso i misfatti dell’Is. ma c’è anche la voglia di ribellarsi. A febbraio Mouche ha visitato un campo di addestramento dell’Unità di protezione della Piana del Ninive e ha benedetto quei giovani che combattono contro lo Stato islamico. È la risposta? «La fede non ci impedisce di difenderci. Attaccare no, difendersi sì. E se torneremo i nostri ragazzi oggi addestrati dall’armata curda proteggeranno i nostri villaggi».
Tornare. Ripete quella parola quasi sillabandola. E intanto l’ultimo pensiero va a papa Francesco. «Tutti i suoi gesti, le sue parole, le sue scelte ci danno forza. Illuminano la nostra fede. E ci aiutano a credere che Qaraqosh si tornerà a pregare. Senza una Qaraqosh cristiana l’Iraq non ha più valore né per me né per i miei fedeli. E allora potremmo cercare un posto in un angolo di mondo dove vivere liberamente la nostra fede e ritrovare la nostra dignità e i nostri diritti. Un angolo nel mondo, e perché no di Europa». 

Padre Jahola da Mosul: la vostra preghiera ci dà coraggio

By Avvenire
Giorgio Paolucci

n questi mesi decine di migliaia di cristiani iracheni hanno dovuto abbandonare le terre in cui erano nati, a causa delle violenze perpetrate dalle milizie dello Stato Islamico. Molti sono emigrati all’estero, molti altri hanno trovato rifugio in Kurdistan. Georges Jahola, sacerdote siro-cattolico della diocesi di Mosul, testimonia il loro desiderio di fare ritorno nelle case da cui sono stati cacciati. E chiede ai cristiani d’Occidente di avere più coraggio nel testimoniare il tesoro della fede che sostiene la speranza di una vita migliore. Una occasione sarà la Veglia di preghiera indetta dalla Cei per il 23 maggio

Guarda la videointervista

Progetto educativo a favore dei giovani rifugiati cristiani fuggiti dal nord-Iraq

By Fides

Corsi di inglese, informatica e educazione fisica per le ragazze e i ragazzi cristiani iracheni che con le loro famiglie hanno trovato rifugio in Giordania, dopo essere fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive davanti all'avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico (IS). E' l'iniziativa messa in campo presso il Centro Nostra Signora della Pace di Amman, in collaborazione con Caritas Jordan, per rimediare, almeno parzialmente, all'allontanamento forzato dalle normali attività scolastiche che segna la condizione dei giovani rifugiati iracheni e rischia di avere ricadute negative anche sul loro equilibrio psicologico.
Il programma socio-educativo, sponsorizzato dalla Luogotenenza portoghese dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro, rappresenta una delle iniziative assistenziali sostenute dalla Chiesa locale a favore dei rifugiati iracheni.
“I cristiani iracheni che hanno trovato rifugio in Giordania sono circa ottomila - riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme - e molti sono giunti nel Regno Hascemita senza niente, spogliati di tutto. Queste famiglie cristiane devono affrontare ogni giorno bisogni essenziali: acqua, cibo, medicine, abbigliamento. Gran parte di loro pensavano di poter presto emigrare verso altri Paesi dell'Europa o dell'America, ma ciò non sarà possibile se non in tempi molto lunghi. Questa prospettiva, con l'andare del tempo, è destinata a mettere in difficoltà dal punto di vista finanziario Caritas Jordan. E comunque, alla lunga, lo stato di emergenza non può non pesare negativamente anche dal punto di vista morale e spirituale su tanti nostri fratelli che senza un lavoro rischiano di vivere anni di vuoto esistenziale”.
In questo scenario – assicurano le fonti ufficiali del Patriarcato latino - il progetto educativo iniziato per servire i giovani rifugiati iracheni in età scolare sta registrando risultati positivi anche dal punto di vista psicologico, aiutando molti ragazzi e ragazze a riconquistare fiducia nei confronti del futuro.

Monsignor Warduni (Baghdad) "Grati per la veglia di preghiera perchè solo la fede e la preghiera possono aiutarci"

By Baghdadhope*

"Le cose vanno sempre peggio"
Con queste parole Mons. Shleimun Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad ha commentato in un'intervista a Baghdadhope l'attuale situazione irachena.

"C'è molta paura nel paese e nella capitale. Ramadi, la città presa dal Da'ash (Stato Islamico) è vicina a Baghdad più di quanto lo fosse Tikrit e la paura aumenta, complice le notizie a volte vere ed  a volte false o esagerate che si diffondono tra la gente. Arriveranno? Non arriveranno? Nessuno lo sa ma certo la prospettiva terrorizza"
Almeno nella capitale i cittadini si sentono protetti dalle forze governative?
"Il governo fa quello che può ma certo le divisioni al suo interno non aiutano a fare sentire la popolazione protetta."
Qualcuno dice che con la fine dell'anno scolastico tra pochi giorni si assisterà ad un nuovo esodo dei cristiani dal paese. Avete sentore di tale possibilità?
"Ogni anno è così. Ancora non si sa nulla ma certo è già successo che la fine della scuola spinga molti a fuggire. Certo chi decide di farlo non ha vita facile. I visti per l'Occidente non vengono rilasciati e non resta che rifugiarsi nei paesi arabi limitrofi che però hanno molti problemi e non garantiscono nulla o quasi nulla ai profughi."
"Non ci sono dati precisi ma migliaia di cristiani hanno ormai lasciato Baghdad negli anni scorsi. Qui manca ancora l'erogazione continua dell'elettricità, il lavoro, la sicurezza; se ne parla poco ma ci sono ancora i kamikaze che si fanno esplodere uccidendo innocenti, i rapimenti, le bande. Se a tutto ciò si aggiunge la paura del Da'ash, di queste persone senza coscienza, senza religione e senza Dio, si capisce come sia difficile vivere in un tale contesto."
Monsignore, sabato 23 maggio è stata indetta dalla Conferenza Episcopale Italiana una veglia di preghiera per i cristiani perseguitati....
"Tutto ciò che si fa per favorire la pace è buono, specialmente la preghiera perchè solo Dio può aiutarci a questo punto. Solo chiedere a colui che ha detto "Chiedete e vi sarà dato", la grazia della pace e della sicurezza può darci una speranza. Noi ringraziamo il Santo Padre per le sue parole di affetto, vicinanza ed incoraggiamento, ringraziamo la Conferenza Episcopale Italiana e tutte le realtà che si uniranno alla preghiera per noi e per tutti i cristiani perseguitati nel mondo. Cercheremo di organizzare qualcosa anche qui in Iraq ma certo qui è tutto più complicato. Faremo però il possibile perchè la preghiera e la fede sono le nostre armi contro la violenza ed ad esse ci appelliamo."      

20 maggio 2015

Bishop Dobbs: U.S. State Department Denies Visa for Assyrian Christians in Iraq Who Face Imminent Threats from ISIS

Isaiah Narciso

The U.S. State Department may have sent a signal to an Anglican bishop in Iraq that despite persecution and harassment from the terror group known as ISIS, Christians in that country will not find any support from the United States government.
According to Faith J.H. McDonnell of Philos Project, the Rt. Rev. Julian M. Dobbs, bishop of the Diocese of CANA East (Convocation of Anglicans in North America), revealed that part of U.S. foreign policy during an interaction with the State Department's Bureau of Population, Refugees and Migration (PRM). Dobbs made his case to the State Department on behalf of a group of Assyrian Christians who are desperate to leave northern Iraq.
"There is no way that Christians will be supported because of their religious affiliation," the State Department said.
McDonnell reported that the Assyrian Christians received both the permission and blessing from their own bishop to leave Iraq. Until recently, church leaders in the region have urged Christians to stay in the Middle East; now they have concluded that their chances of survival are much better if they left.
"Christianity in Iraq is going through one of its worst and hardest stages of its long history, which dates back to the first century," Archbishop Bashar Warda of Erbil said. "Throughout all these long centuries, we have experienced many hardships and persecutions, offering caravans of martyrs. Yet 2014 brought the worst acts of genocide against us in our history."
Warda added that "Christianity as a religion and as a culture from Mesopotamia [ancient Iraq]" now faced "extinction" due to the ongoing threat posed by ISIS.
McDonnell elaborated on the plight of Christians and other minorities in the region since ISIS took over the Iraqi city of Mosul in June 2014.
"Christians, Yazidis, Mandeans and others were targeted for destruction, and within just the first week of ISIS' occupation, more than 500,000 people fled the city," McDonnell wrote. "The homes of Christians were marked with the Arabic letter 'nun,' standing for Nazarene. Christians were threatened with death if they did not convert to Islam, pay jizya and live as a subjected people - 'dhimmi' - or flee immediately."
According to McDonnell, Christians have even been threatened by some Muslims in the refugee camps run by the UN Refugee Agency, or UNHCR. However, the State Department has refused to resettle affected Assyrian Christians in the United States.
"Donors in the private sector have offered complete funding for the airfare and the resettlement in the United States of these Iraqi Christians that are sleeping in public buildings, on school floors, or worse," McDonnell wrote. "But the State Department - while admitting 4,425 Somalis to the United States in just the first six months of FY2015, and possibly even accepting members of ISIS through the Syrian and Iraqi refugee program, all paid for by tax dollars, told Dobbs that they 'would not support a special category to bring Assyrian Christians into the United States.'"
McDonnell contended that the United States government made it clear religious affiliation does not mean support for Christians in the region in the form of asylum.
"The State Department, the wider administration, some in Congress and much of the media and other liberal elites insist that Christians cannot be given preferential treatment," McDonnell wrote. "Even within the churches, some Christians are so afraid of appearing to give preferential treatment to their fellow Christians that they are reluctant to plead the case of their Iraqi and Syrian brothers and sisters."
Such treatment by the State Department has even extended to Christian leaders in Iraq. According to a report on Fox News, the agency recently reversed a decision that denied a visa for an Iraqi Catholic nun who wanted to inform Americans of the persecution directed by ISIS against Christians.
"Sister Diana Momeka is a leading representative of the Nineveh Christians who have been killed and chased from their homes in and around Mosul by ISIS," Fox News wrote. "Momeka, who has been likened to Mother Teresa for her work with the poor and persecuted, was turned down, she said, because she was 'internally displaced' in Iraq, and deemed a risk to stay in the U.S., where she once lived and studied for six years."
McDonnell reported that the nun was able to testify in a full committee hearing before the House Committee on Foreign Affairs on May 13. However, the State Department refused to comment on the decision.
"All visa applications are adjudicated on a case-by-case basis in accordance with the requirements of the Immigration and Nationality Act and other applicable laws," a State Department spokesman told Fox News.
Johnnie Wolfe
, author of the book "Defying ISIS," told Fox News that he advocated for Sister Diana when her visa was initially denied.
"People across the country raised a voice, including members of Congress and Senators, to put enormous pressure to change the decision. I'm glad she will be able to come and speak to leaders and the press, but it's frustrating that it took thousands of Americans reacting in a significant way to make a sensible thing happen," Wolfe said.
The U.S. State Department may have sent a signal to an Anglican bishop in Iraq that despite persecution and harassment from the terror group known as ISIS, Christians in that country will not find any support from the United States government.
According to Faith J.H. McDonnell of Philos Project, the Rt. Rev. Julian M. Dobbs, bishop of the Diocese of CANA East (Convocation of Anglicans in North America), revealed that part of U.S. foreign policy during an interaction with the State Department's Bureau of Population, Refugees and Migration (PRM). Dobbs made his case to the State Department on behalf of a group of Assyrian Christians who are desperate to leave northern Iraq.
"There is no way that Christians will be supported because of their religious affiliation," the State Department said.
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McDonnell reported that the Assyrian Christians received both the permission and blessing from their own bishop to leave Iraq. Until recently, church leaders in the region have urged Christians to stay in the Middle East; now they have concluded that their chances of survival are much better if they left.
"Christianity in Iraq is going through one of its worst and hardest stages of its long history, which dates back to the first century," Archbishop Bashar Warda of Erbil said. "Throughout all these long centuries, we have experienced many hardships and persecutions, offering caravans of martyrs. Yet 2014 brought the worst acts of genocide against us in our history."
Warda added that "Christianity as a religion and as a culture from Mesopotamia [ancient Iraq]" now faced "extinction" due to the ongoing threat posed by ISIS.
McDonnell elaborated on the plight of Christians and other minorities in the region since ISIS took over the Iraqi city of Mosul in June 2014.
"Christians, Yazidis, Mandeans and others were targeted for destruction, and within just the first week of ISIS' occupation, more than 500,000 people fled the city," McDonnell wrote. "The homes of Christians were marked with the Arabic letter 'nun,' standing for Nazarene. Christians were threatened with death if they did not convert to Islam, pay jizya and live as a subjected people - 'dhimmi' - or flee immediately."
According to McDonnell, Christians have even been threatened by some Muslims in the refugee camps run by the UN Refugee Agency, or UNHCR. However, the State Department has refused to resettle affected Assyrian Christians in the United States.
"Donors in the private sector have offered complete funding for the airfare and the resettlement in the United States of these Iraqi Christians that are sleeping in public buildings, on school floors, or worse," McDonnell wrote. "But the State Department - while admitting 4,425 Somalis to the United States in just the first six months of FY2015, and possibly even accepting members of ISIS through the Syrian and Iraqi refugee program, all paid for by tax dollars, told Dobbs that they 'would not support a special category to bring Assyrian Christians into the United States.'"
McDonnell contended that the United States government made it clear religious affiliation does not mean support for Christians in the region in the form of asylum.
"The State Department, the wider administration, some in Congress and much of the media and other liberal elites insist that Christians cannot be given preferential treatment," McDonnell wrote. "Even within the churches, some Christians are so afraid of appearing to give preferential treatment to their fellow Christians that they are reluctant to plead the case of their Iraqi and Syrian brothers and sisters."
Assyrian Christians
Anna Enwia of Detroit chants ''Save our people. Free our land. Jesus is our savior. Stop ISIS now…'' at a rally Friday afternoon at Daley Plaza where Assyrian Christians are protesting their treatment in Iraq and Syria. Michael Schmidt/Sun-Times
Such treatment by the State Department has even extended to Christian leaders in Iraq. According to a report on Fox News, the agency recently reversed a decision that denied a visa for an Iraqi Catholic nun who wanted to inform Americans of the persecution directed by ISIS against Christians.
"Sister Diana Momeka is a leading representative of the Nineveh Christians who have been killed and chased from their homes in and around Mosul by ISIS," Fox News wrote. "Momeka, who has been likened to Mother Teresa for her work with the poor and persecuted, was turned down, she said, because she was 'internally displaced' in Iraq, and deemed a risk to stay in the U.S., where she once lived and studied for six years."
McDonnell reported that the nun was able to testify in a full committee hearing before the House Committee on Foreign Affairs on May 13. However, the State Department refused to comment on the decision.
"All visa applications are adjudicated on a case-by-case basis in accordance with the requirements of the Immigration and Nationality Act and other applicable laws," a State Department spokesman told Fox News.
Johnnie Wolfe, author of the book "Defying ISIS," told Fox News that he advocated for Sister Diana when her visa was initially denied.
"People across the country raised a voice, including members of Congress and Senators, to put enormous pressure to change the decision. I'm glad she will be able to come and speak to leaders and the press, but it's frustrating that it took thousands of Americans reacting in a significant way to make a sensible thing happen," Wolfe said.
- See more at: http://www.gospelherald.com/articles/55612/20150520/bishop-dobbs-u-s-state-department-denies-visa-for-assyrian-christians-in-iraq-who-face-imminent-threats-from-isis.htm#sthash.YUzbb1vR.dpuf