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31 marzo 2015

L'ulivo della speranza tra i cristiani d'Iraq

By Avvenire

“Allelujah, ah, ah, ah”,
urlano le donne con un suono simile a quello dei bambini quando giocano a fare i pellirossa. “Allelujah”, Jesuah entra a Gerusalemme. All’ora della processione, tra i profughi di Erbil, un ragazzo gira per lo spiazzo con uno scampanio a tutto volume: “Vatican’s bells”, sono le campane del Vaticano, spiega agli stranieri.
Domenica a Erbil, tra i cristiani espulsi a forza dall'Is dall'antica città di Qaraqosh, la Domenica delle palme è stata una festa partecipata eppure nostalgica: il pensiero andava agli anni precedenti, quando nessuno, tra i 50mila siro-cattolici di Qaraqosh, poteva mancare alla processione che dava il via alla Settimana santa.
Per questo padre Jalal Yako nella Domenica degli ulivi ha voluto con tutte le sue forze passare fra i cunicoli stretti dai container di Ashti camp, a Erbil: la tenacia della fede, di chi anche lì, lontano da casa, trova la forza di ricominciare. Sono 233 container che ospitano 265 famiglie: nemmeno uno a testa per circa 15 metri quadrati a nucleo. Durante la processione i fedeli agitano l’ulivo pensando al futuro: torneremo, ma solo se ci sarà una protezione internazionale. Pace, sperando che un giorno ci possa essere giustizia.