Pagine

31 marzo 2015

Cristiani in Iran: con Rouhani qualcosa si muove

By Asia News
Bernardo Cervellera

L’Iran è sotto i riflettori mondiali: fra oggi e domani si dovrebbe (come molti sperano) giungere a un accordo o almeno a una bozza di accordo che garantisca la comunità internazionale sul fatto che l’Iran faccia un uso pacifico del suo programma nucleare e alleggerisca Teheran di tutte o una parte delle sanzioni economiche e finanziarie di cui è stata fatta oggetto da quasi 30 anni, cresciuti poi negli ultimi quattro. Le delegazioni e i ministri degli esteri interessati (i 5+1: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania, oltre all’Iran) si stanno incontrando a Losanna.
Non si sa molto sulle discussioni. Dalle poche parole espresse da rappresentanti anonimi o da noti ministri degli esteri, entrambe le parti vorrebbero riuscire a varare un accordo che si può definire “storico”; entrambe le parti però stanno negoziando da una parte il numero delle centrifughe per l’uranio che Teheran potrà usare per scopi medici e pacifici (6, 7mila, 10mila); dall’altra le tappe per la cancellazione delle sanzioni (alcune subito, altre entro quattro mesi, altre dopo 10 anni).
Ho già spiegato alcuni giorni fa perché è importante per la comunità internazionale giungere a una riconciliazione con l’Iran (v. qui). Non tutti sono d’accordo. I più negativi sono il premier Benjamin Netanyahu, che preferisce “nessun accordo” meglio di “un cattivo accordo”, e l’Arabia saudita che accusa Teheran di voler mettere sottosopra il Medio oriente. Entrambi però non confessano tutta la verità: il primo che è leader dell’unica potenza nucleare in Medio oriente e che cerca di non avere concorrenti; la seconda, non dice quanti petrodollari sono usati per diffondere il fondamentalismo wahabita che sta scuotendo l’Asia, l’Africa e il mondo, per non parlare del sostegno economico e militare dato all’Isis, ora autoproclamatosi Stato islamico.
Al di là di tutte le lotte politiche, a noi interessa la vita del popolo iraniano. Per questo lo scorso anno, di questi tempi, vicino a Pasqua, mi sono recato in visita in questo affascinante Paese, a incontrare il suo popolo, i suoi giovani, le sue Chiese. Sulla situazione delle persone colpite dall’embargo, ho già detto in passato. Come pure sull’islam sciita, più aperto e dialogico dell’islam sunnita: ne sono prova le traduzioni di testi religiosi in persiano da parte di diversi autori musulmani, che hanno perfino tradotto il Catechismo della Chiesa cattolica. Resta da comprendere come vivono i circa 350mila cristiani in Iran, appartenenti a diversi riti. Per alcuni essi vivono in una persecuzione soffocante; per altri essi godono una libertà meravigliosa. Tenendo conto che il Paese è musulmano al 98 % (sciiti 86,1%; sunniti 10,1%; altri musulmani 2%) la libertà garantita ai cristiani è senz’altro maggiore rispetto ad altri Paesi della regione, anche se non mancano problemi e violenze.

Il mio viaggio fra i cristiani dell’Iran comincia da una visita al ministero delle minoranze, guidato dall’hojatoleslam Alì Younesi, che gestisce i rapporti con cristiani e ebrei, ma anche con le minoranze etniche, fra cui baluchi e curdi, sempre inquieti verso il governo centrale. Questo ministero, mi dice, è stato voluto proprio dal presidente Hassan Rouhani, che “ha a cuore i diritti di tutti i cittadini, di qualsiasi religione, razza, cultura. Tutto il popolo iraniano deve godere stessi diritti e la stessa dignità”.
Un rappresentante cristiano alla Majlis (parlamento), il sig. Yonathan Betkolia, assiro, è entusiasta di Rouhani e del suo nuovo corso. Mi dice che la comunità assira e caldea sono in Iran da 3mila anni (forse come etnie!); che cristiani e musulmani vivono insieme dall’inizio, da 1400 anni; che a Urmiyeh, nel nord del Paese, dove vi sono le prime tracce cristiane, sono conservate le tombe dei Re magi; che vi sono molte chiese che ora, con l’esodo dei cristiani, sono curate da musulmani.
Gli domando se in questi anni i rappresentanti cristiani al parlamento hanno portato qualche risultato per migliorare la libertà religiosa dei cristiani. Mi racconta un fatto interessante: fino a poco tempo fa vi era una antica legge che garantiva il cosiddetto “prezzo del sangue”: se uno veniva assassinato e l’omicida preso e condannato, questi doveva pagare il prezzo del sangue alla famiglia dell’ucciso. Ma per un musulmano tale prezzo era di 60 milioni di rial; per un cristiano era 3 milioni di rial. I rappresentanti delle minoranze hanno ottenuto che il prezzo del sangue fosse uguale per tutti, cristiani e musulmani, cioè 150 milioni di rial.
Un’altra legge che si sta per cambiare è quella sull’eredità. Tale legge impone che se un membro della famiglia è musulmano, tutta l’eredità vada a lui e non sia suddivisa fra i membri. Questo ha portato spesso a false conversioni all’islam dettate dalla voglia di impossessarsi di tutti i beni di famiglia. Questa legge la vuole cambiare proprio il ministro Younesi.
Quello delle conversioni dall’islam a un’altra religione e viceversa sono un punto che fa paura all’Iran. “Noi – mi dice - non amiamo che i musulmani costringano le minoranze a diventare musulmane. O viceversa che le minoranze facciano proselitismo [lett.: “propaganda al fine di cambiare la tua mente”]… Noi vogliamo che ognuno viva accanto all’altro, che la moschea viva accanto alla chiesa. Ma non desideriamo né il proselitismo, né il cambiamento [la conversione].
L’unità nazionale e la sicurezza del nostro Paese viene minacciata: questo equilibrio che attualmente vive fra di noi è a favore delle minoranze e noi non vogliamo  rompere questo equilibrio”.
La “sicurezza” è dunque il motivo per cui non si accettano conversioni in un senso o nell’altro. Ed è il motivo per cui il proselitismo viene perseguito come un crimine: ne sanno qualcosa le comunità protestanti che spesso diffondono la loro fede in pubblico, spingono alla conversione, mettono a capo delle loro comunità dei musulmani convertiti. Secondo il Christian Today  (pubblicazione anglicana)  del 27 ottobre 2014, vi sono almeno 49 cristiani protestanti in prigione, accusati di “proselitismo”.
Ma se il “proselitismo” - come pressione e manipolazione della coscienza altrui - è da condannare, rimane il fatto che perfino il parlare in pubblico della propria fede cristiana rischia di essere bollato come “proselitismo” e perciò proibito. Questa situazione ha portato le comunità cristiane a rinchiudersi via via nel loro gruppo, impossibilitati a offrire la loro fede all’esterno, assistendo a una crescita solo per via… demografica, con il battesimo dei figli dei cristiani.
Per il nunzio vaticano, mons. Leo Boccardi è vero che ci sono freni alla missione, “ma con tutto questo c’è ancora spazio disponibile per dialoghi fruttuosi con il mondo islamico. E in ogni caso qui le chiese hanno libertà di culto, che è impossibile vedere altrove; sono sicure, nessuno li tocca; non c’è terrorismo”. Il nunzio, molto ottimista, parla  di una “nuova atmosfera” portata da Rouhani e un senso di maggiore libertà.