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15 gennaio 2015

Dalla missione Shalom in Iraq

By Movimento Shalom
Nuria Buzzi

“La situazione è molto più critica di quello che immaginavo. Il lavoro che fino ad ora è stato fatto per dare assistenza ai rifugiati è immane, ma tanti sono ancora i bisogni”.
Queste le parole di Don Donato Agostinelli, partito per l’Iraq lo scorso lunedì, con una delegazione di volontari del Movimento Shalom.
Il gruppo ha già visitato ad Ankawa, nella regione autonoma del Kurdistan, alcuni campi dove vivono i profughi cristiani fuggiti, ad agosto, dai villaggi della Piana di Ninive (tra cui Qaragosh, Bartella, Batnaya e Karemlesh, oggi occupati dai miliziani dello Stato Islamico).
Nella sola cittadina di Ankawa si contano 70mila sfollati, distribuiti in diversi campi. Nel più grande, ricavato in un centro commerciale mai inaugurato e ora ribattezzato Ankawa Mall, vivono 420 famiglie, in container di quattro metri per cinque forniti dall’UNHCR. 1700 persone che condividono i servizi igienici e che aspettano soltanto di poter tornare nelle loro case. A pochi chilometri di distanza, nei pressi dei campi Asthy 128 e 189, padre Firas Behnam Benoka, referente locale del Movimento Shalom, ha allestito la clinica Mart-Shmony per dare assistenza sanitaria ai profughi. La farmacia del piccolo dispensario non riesce, però, a far fronte alla crescente richiesta di medicinali. “Abbiamo portato con noi generi di prima necessità, vestiti e medicine  - precisa Don Agostinelli – ma ci sarebbe bisogno che gli aiuti umanitari arrivassero in maniera massiccia”.
In prima linea con Padre Firas Behnam Benoka anche molte suore e sacerdoti di ogni ordine religioso. In molti casi profughi loro stessi, protagonisti dell’esodo forzato di 500mila iracheni verso il Kurdistan. Uomini, donne e bambini per i quali, in una notte, tutto è finito. “In questi giorni abbiamo vissuto momenti molto intensi -spiega Claudio Agostini di Castelfiorentino, membro della delegazione e storico volontario del Movimento Shalom. – In particolare, nel campo profughi di Gasnazan, abbiamo avuto modo di parlare con Suor Rahma Yacob, una suora domenicana irachena dell’ordine di Santa Caterina da Siena. Il suo racconto della fuga e delle traversie patite dai rifugiati ci ha permesso di comprendere il loro dramma e di interiorizzare la loro sofferenza. Una sofferenza di cui vogliamo essere testimonianza”.

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