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16 novembre 2014

Iraq, cristiani dimenticati dai media. Cona: hanno perso tutto, non la fede

By Radiovaticana

Oramai, sui media, si parla poco o niente della drammatica situazione che continuano a vivere migliaia di profughi iracheni, cristiani ma non solo, cacciati nell’agosto scorso dalla Piana di Ninive dagli estremisti del cosiddetto Stato Islamico.
Papa Francesco ha incontrato ieri mons. Bashar Matte Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, assicurando la vicinanza e l’aiuto concreto della Chiesa. Tanti i cristiani che si sono rifugiati in Giordania. Mons. Roberto Cona, consigliere di nunziatura presso la rappresentanza vaticana ad Amman, li ha incontrati. Romilda Ferrauto lo ha intervistato:
 Per me, innanzi tutto, sono delle impressioni indimenticabili. Ho avuto modo di visitare alcuni centri e sono rimasto veramente impressionato dalla testimonianza di fede che queste persone – uomini e donne – hanno dato. Loro dinanzi alla pressione di convertirsi o di pagare una tassa per poter restare nelle proprie proprietà, hanno scelto invece di restare fedeli a Cristo. E proprio per la loro fedeltà, hanno scelto di accogliere il nemico che voleva scacciarli senza imbracciare le armi, quindi scegliendo la non violenza. Ma, nello stesso tempo, di confidare tanto nella provvidenza di Dio, perché andandosene dalle loro case hanno perso tutto quello che avevano, molti addirittura sono arrivati solo con i vestiti che avevano indosso. Eppure erano capaci di ridere, di accogliere gli ospiti e, nello stesso tempo, di guardare con fiducia al loro futuro.
In che modo la nunziatura apostolica ad Amman può agire in questo contesto tormentato?
Innanzi tutto mantenendo i contatti e mantenendo informata la Santa Sede riguardo tutto quello che succede quaggiù. Poi per quanto mi riguarda, cerco in tutti i modi di mettere al corrente anche i colleghi delle altre ambasciate affinché possano essere sensibilizzate al problema presente in questo Paese e, nello stesso tempo, incoraggiando e aiutando le associazioni che si stanno dedicando all’accoglienza dei rifugiati iracheni.
Lei pensa che sarebbe opportuno che i Paesi occidentali pratichino una politica di accoglienza privilegiata riguardo i cristiani? Sarebbe una soluzione, secondo lei?
Probabilmente sarebbe una soluzione semplicistica. Credo che sarebbe meglio trovare una soluzione in loco, proprio per poter garantire una continuità della presenza cristiana in Medio Oriente: una bimillenaria presenza non può essere messa a rischio così frettolosamente. Probabilmente sarebbe meglio trovare delle soluzioni qui in Medio Oriente per garantire la presenza dei cristiani.
Purtroppo, però, secondo la maggioranza degli osservatori, l’instabilità, le guerre e le violenze attuali dovrebbero durare mesi, se non anni. Nell’immediato andrebbe fatto qualcosa in più secondo lei?
Non sta a me dire cosa si dovrebbe fare. Però di fatto ci sono le condizioni. Intanto, per esempio, il re Abdullah ha dato la sua disponibilità ad accogliere i cristiani qui. Anche lui ha dato la sua disponibilità affinché i cristiani possano rimanere in Medio Oriente perché sono una presenza importante anche per l’islam. Quindi ritengo che sia bene studiare con attenzione il problema e trovare delle soluzioni praticabili probabilmente a breve termine.
Tanto più che qui sul terreno ci sono esempi di fratellanza che vanno al di là delle religioni che lei ha potuto constatare …
Vorrei sottolineare, per esempio, nell’ambito dell’accoglienza di questi profughi iracheni come, oltre alle associazioni cristiane, si siano avvicinate ed abbiano dato degli strumenti e un apporto veramente fondamentale anche delle associazioni islamiche e non solo; anche dei fedeli musulmani si sono presentati a titolo personale per dare il loro aiuto, alcuni di loro hanno addirittura messo a disposizione delle case per accogliere i cristiani iracheni, altri hanno messo a disposizione qualche ora del loro tempo per dedicarsi al volontariato. Quindi è molto bello vedere questa fraternità che nasce attraverso un bisogno, un’emergenza e che supera quelli che possono essere gli steccati confessionali e religiosi. Questa esperienza diventa veramente un segno di speranza.