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24 novembre 2014

Il vescovo di Mosul: "L'Italia ci aiuti a salvare i cristiani"


Amil Nuna è stato costretto alla fuga con i suoi fedeli davanti all'avanzata del Califfo. Prima di partire per Roma, dove incontrerà il Papa, denuncia la memoria corta dell'Occidente
I cristiani cacciati dal Califfato torneranno mai nelle loro case?
«Io sono uno di loro, come vescovo di Mosul. Bisogna tornare, ma anche avere delle garanzie per vivere in sicurezza».
Quali sono le garanzie per il ritorno dei cristiani?
«Prima di tutto liberare la zona dai militanti dell'Isis e fare giustizia dei collaborazionisti locali, i vicini di casa, che hanno cacciato i cristiani e partecipato al saccheggio delle nostre abitazioni. Poi ci vuole una forza irachena o internazionale che garantisca la sicurezza dei cristiani».
Quasi tutti i rifugiati che abbiamo incontrato vogliono emigrare. Solo la Francia, però, concede qualche visto. Ci siamo di nuovo dimenticati di voi?
«Penso che l'Europa, l'Occidente ci hanno un po' dimenticato. Dopo tre mesi di attenzione bisogna "normalizzare". Prima dello Stato islamico era uguale. Convincere un cristiano dell'Iraq a restare nella sua terra sarà molto difficile perché ha perso tutto. L'Europa ha radici cristiane. Per questo motivo dovrebbe avere la responsabilità morale di garantire una vita degna per i fratelli cristiani in Iraq o all'estero».
Dopo mesi la condizione dei rifugiati è ancora difficile per usare un eufemismo.
Come è possibile?
«Nessuno ci ha aiutato. Anche le Nazioni Unite parlano tanto e combinano poco. Non basta portare un po' di viveri e acqua. Il vero problema è l'alloggio».
Sta dicendo che la comunità internazionale non vi aiuta?
«É proprio così. Solo le Chiese stanno lavorando veramente per aiutare i cristiani».
Dall'Italia cosa si aspetta?
«La Chiesa italiana sta facendo molto, ma il governo poco niente. Un rappresentante del vostro consolato ci ha appena portato un po' di viveri, che abbiamo stoccato nel nostro magazzino per distribuirlo. Si tratta di briciole».
Con l'arrivo dell'inverno l'emergenza riguarda gli alloggi…
«Certamente. Si doveva costruire fin dall'inizio delle case prefabricate. Il governo iracheno o i rappresentanti dei paesi occidentali, che sono venuti quando è cominciata la crisi potevano farlo. Lo abbiamo detto subito che con 120mila rifugiati il grosso problema sarà l'alloggio. Nel primo mese dell'emergenza è stato presentato un nostro progetto per la costruzione di 5mila case all'Unione europea, tramite i ministri degli Esteri di tre paesi, rimasto lettera morta».
Che fine hanno fatto le chiese nelle zone sotto controllo dello Stato islamico?
«Tutte le nostre chiese ed i centri di catechismo sono occupati dai militanti islamici soprattutto dal giorno in cui gli aerei americani hanno cominciato a bombardare. Cercano rifugio nelle chiese per non venir colpiti».