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17 ottobre 2014

Lettera da un amico cristiano in Iraq

Zainab Salbi
Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Quando ero bambina i miei genitori mi diedero una piccola radio rossa come regalo da Babbo Natale ed io ne fui confusa. Non sapevo chi fosse Babbo Natale e non avevo idea del perché l'occasione meritasse un dono. A quanto pare i miei genitori erano preoccupati che io potessi essere gelosa dei nostri vicini cristiani quando facevamo loro visita e ci univamo a loro per celebrare il Natale. Questi erano i ricordi felici dell’Iraq nel quale sono cresciuta.
Mi ricordo che mi piaceva moltissimo l'albero di Natale decorato, il cioccolato che ci offrivano e l'umore di festa dei nostri vicini cristiani. I regali a sorpresa di Babbo Natale alla fine cessarono quando i miei genitori si resero conto che non ero gelosa, ma ciò che continuò fu l’atmosfera di amicizia reciproca tra cristiani e musulmani in Iraq. Come famiglia musulmana  abbiamo sempre festeggiato con i nostri amici cristiani le loro ricorrenze ed a loro volta essi si univano a noi per celebrare le feste musulmane. Nessuno pensava alla differenza di religione. Eravamo tutti iracheni e l'Iraq si distingueva per la diversità di religione e di etnia della la sua gente. Questo però non è l'Iraq di oggi.
I cristiani iracheni sono stati uccisi e rapiti sin dall’inizio dell'invasione del paese nel 2003. Inizialmente si ritrovarono intrappolati nelle tensioni e negli scontri tra sunniti e sciiti, ma con il passare del tempo furono colpiti direttamente dalla maggior parte dei gruppi estremisti religiosi, a partire da al Qaeda in Iraq. Gli attacchi brutali iniziarono a colpire singoli cristiani per poi culminare con attacchi esplosivi alle comunità riunite in chiesa per le funzioni. Ci furono anche discriminazioni sui posti di lavoro e molestie per le strade. Per tutto quel tempo i sacerdoti continuarono a premere perché i cristiani rimanessero nelle loro case e non fuggissero dal proprio paese.
"Questo è il nostro paese. Siamo il popolo originario di questo paese e la più antica comunità cristiana nel mondo. Non dobbiamo lasciare l'Iraq. Questa è la nostra casa," sosteneva un sacerdote in un sermone nella stessa chiesa di Baghdad che fu bombardata qualche anno fa. I cristiani non sono soli a comprendere l'importanza di rimanere nella loro patria nonostante le minacce. I musulmani moderati che sanno che la comunità cristiana è parte del tessuto sociale dell'Iraq hanno lo stesso atteggiamento nei riguardi della necessità di mantenere il paese unito nella sua diversità. Ma con il diffondersi della paura a causa dell’ISIS le cose sono cambiate per tutti.
Al momento, tutti quelli che conosco in Iraq hanno paura. Se sei un musulmano, sunnita o sciita, sai almeno che ci sono milizie o eserciti di ambo le parti a difenderti. Molti sunniti moderati e sciiti sostengono le milizie della propria setta non per credenze o valori ma per pura paura, sapendo che l'altra parte vuole ucciderli. Così sostengono le milizie che combatteranno. Al momento è semplicemente il bisogno di sopravvivere che guida le decisioni delle persone, e non l'ideologia, ma non ne vien fuori nulla di buono quando le motivazioni sono dettate dalla paura. Eppure i musulmani terrorizzati all'interno delle loro comunità e dall’ISIS, gli sciiti, e quei sunniti che non sono d'accordo con l’Islam proposto dall’ISIS, sono in una posizione migliore rispetto ai cristiani che vivono in tutto il paese: da Bassora a Baghdad, da Mosul alla parte più lontana del Kurdistan, se sei un cristiano non c'è nessuno a cui rivolgerti - e nell’Iraq di oggi nemmeno al governo.
Le recenti comunicazioni con i miei amici cristiani iracheni negli ultimi mesi si sono evolute da "siamo preoccupati," a "abbiamo paura," a "siamo minacciati," a "abbiamo bisogno di aiuto" fino alla lettera inviatami da un carissimo giovane uomo iracheno con cui ho avuto il privilegio di lavorare in passato: George, che come nessun altro si è dedicato all'Iraq ed ai diritti delle donne:
Ecco cosa scrive:

Cara Zainab,
sono felice  di avere tue notizie.
 La comunità cristiana si sta riducendo giorno dopo giorno a Baghdad ed in Iraq in generale, anche quella che vive in Kurdistan. Mia sorella e mia cugino erano gli ultimi membri della famiglia che avevo in Iraq e sono entrambe partiti. Mia sorella, che aveva un buon lavoro, e suo marito, che lavora in una agenzia delle Nazioni Unite, hanno deciso di partire per gli Stati Uniti. Mio cugino che viveva a Baghdad con la moglie ed i tre figli sono partiti tre mesi fa per la Giordania per chiedere asilo.
Non ho più nessuno in Iraq. Molte persone che conoscevo,  gente della chiesa o amici, sono andati in Turchia, Libano o Giordania. Ci sono circa 1200 famiglie cristiane oggi in Libano dopo gli ultimi eventi, famiglie che  provenivano da diverse parti dell'Iraq. Personalmente sono stato attaccato da 2 ragazzini armati. Uno di loro mi ha puntato la pistola alla testa chiedendomi di dargli il mio cellulare e il portafoglio. Non ha parlato molto ma io non dimenticherò le sue poche parole: «Sembri un cristiano, ecco perché non ti uccideremo ma ti prenderemo solo il cellulare ed il portafoglio.» Tutto questo è accaduto proprio di fronte a casa mia.
Quando sono entrato in casa ero senza parole. Ero felice perché ero al sicuro e vivo, ma allo stesso tempo ho provato sentimenti contrastanti di rabbia e tristezza. Voglio indietro il mio iPhone perché mi appartiene  e non è giusto che perché sono cristiano possano rubare le mie cose. Quando sono andato alla stazione di polizia per fare la denuncia - dato che usano i telefoni cellulari per causare esplosioni alcuni amici mi hanno spinto ad andare il giorno stesso a farla – i poliziotti erano rilassati e mi sorridevano in faccia senza neanche ascoltarmi. La mattina dopo sono andato a riferire i fatti al tribunale penale e finalmente sono riuscito a sporgere denuncia. Nessuno però ha fatto il minimo commento e questo, devo ammettere, mi ha infastidito molto.
Ai cristiani ricchi di Baghdad le bande telefonano chiedendo loro di pagare 60.000 dollari americani o più perché i figli non vengano rapiti. E lo fanno dicendo “siete cristiani, non vogliamo farvi del male ma dateci i soldi”.
 Molti sono fuggiti da Baghdad per andare al nord ma ora queste famiglie vivono nelle chiese senza un minimo di privacy. A causa delle chiese affollate di tanti ragazzi e ragazze le stesse chiese, d’accordo con i genitori, stanno organizzando perché i ragazzi si sposino tra di loro in modo da creare ordine sociale e evitare le tensioni sessuali.
Un fenomeno di cui non si parla ma che sta accadendo.
In generale i cristiani non sentono di essere ben accolti o di avere ancora spazio in Iraq. Personalmente non mi sembra che ci sia un sistema o una legge che tuteli me o la mia famiglia dalla violenza ogni volta che qualcuno ha bisogno di soldi o agisca per vendetta o per qualsiasi altra ragione. La mia ed altre famiglie che non hanno molti modi per partire sono in attesa di un miracolo per farlo. Se avessi abbastanza soldi o risparmi vorrei portare i miei genitori anziani, la mia famiglia, mia sorella e mio fratello in un posto più sicuro dove potremmo far richiesta di emigrare in qualsiasi posto del mondo in cui la dignità degli esseri umani è rispettata.... penso di avere un problema di depressione e di sicuro avrò bisogno di guarire dal trauma, ma la mia priorità adesso è la sicurezza della mia famiglia perché vedo immagini dei visi di mia sorella o di mio fratello quando qualcuno bussa alla porta dopo le  8 di sera. In tutti i momenti della giornata le porte sono chiuse a chiave.
Il mio unico sollievo è il mio lavoro anche se sono meno produttivo ora e soffoco la tensione e la depressione fumando. Sì, ho iniziato a fumare e per ora è il mio modo di rilassarmi. 
Saluti, George


E' davvero difficile - molto difficile - chiedere alle persone di sacrificare il benessere proprio e delle loro famiglie quando le loro vite sono in pericolo. A meno che il governo iracheno non dia priorità alla protezione delle popolazioni di minoranza in Iraq, e faccia sentire ognuno al sicuro e benvenuto nel paese, questo governo sarà responsabile del cambiamento del DNA sociale del paese se la comunità cristiana, in quanto la più numerosa comunità di minoranza, finirà per lasciare l'Iraq.
Scrivo ciò come musulmana che crede che un paese sia bello solo in misura della sua accettazione e protezione del suo diverso tessuto sociale. Dalla seconda guerra del Golfo l'Iraq ha assistito alla diminuzione della sua popolazione cristiana dall'8 per cento al 5 per cento, ovvero da circa 1,5 milioni di persone in tutto il paese alla cifra attuale stimata tra 200.000 e 450.000. Un paese è un “buon”  paese soltanto quando c’è un “buon” trattamento delle sue popolazioni e minoranze più emarginate.
Se il governo iracheno non considererà prioritario la protezione della sua popolazione cristiana, così come delle altre minoranze, attraverso la sensibilizzazione politica, la protezione e il rispetto, noi perderemo l’Iraq di una volta. E l’ISIS avrà vinto anche se il loro esercito sarà infine sconfitto.