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2 settembre 2014

Iraq, la Santa Sede all’Onu: “Prima di tutto, proteggere le persone”

Andrea Gagliarducci

Un richiamo alle Nazioni Unite, perché portino aiuto alle popolazioni. Un richiamo ai leaders religiosi, perché si prendano la responsabilità di denunciare quello che sta accadendo in Iraq. E la richiesta fortissima a tutta la comunità internazionale di far rispettare la dignità dell’essere umano. Qualcosa che non è stato fatto, e che è alle origini dell’ascesa della “auto-proclamatasi entità distruttiva, il cosiddetto gruppo dello Stato islamico”. In un breve discorso in otto punti, Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, mette in chiaro la posizione del Vaticano.
È una sessione speciale, ci è voluto un po’ per raccogliere le firme necessarie per convocarla, un terzo dei 47 membri del Consiglio dei Diritti Umani. La Santa Sede ha lavorato alacremente, con diversi incontri bilaterali, e si sperava anche ci fosse il cardinal Fernando Filoni a relazionare come ospite della situazione dei cristiani in Iraq. Lui, che in Iraq ci è andato da inviato papale, avrebbe potuto più di tutti raccontare la terribile situazione che si trovano a vivere non solo i cristiani, ma tutte le minoranze religiose in Iraq, sotto la spinta feroce del cosiddetto Stato Islamico.
“Le persone vengono decapitate a causa della loro fede; le donne sono violate senza pietà e vendute come schiave sul mercato; i bambini sono forzati a combattere; i prigionieri massacrati contro ogni disposizione giuridica”, accusa Tomasi.
Il quale sottolinea che “la responsabilità della protezione internazionale, specialmente quando un governo non è capace di assicurare la sicurezza delle vittime, si applica sicuramente in questo caso”. È l’ingerenza umanitaria, di cui parlava già Giovanni Paolo II, e che Papa Francesco ha ripreso nel suo discorso in aereo. Serve l’intervento delle Nazioni Unite, sotto la cui egida si dovrebbero mettere gli Stati per intervenire nella drammatica situazione che si sta verificando in Iraq.
“Tutti gli attori regionali e internazionali devono condannare esplicitamente il comportamento brutale, barbaro e incivile dei gruppi criminali che combattono nella Siria dell’Est e nel Nord dell’Iraq”, dice il nunzio.
Il quale poi sottolinea che “la responsabilità di proteggere deve essere assunta in buona fede, nella cornice della legge internazionale e della legge umanitaria”. Tomasi afferma che la società civile in generale, e in particolare le comunità etniche e religiose, non “dovrebbero diventare uno strumento di giochi geopolitici regionali e interregionali”, né devono essere visti come “oggetto di indifferenza” a causa della “loro identità religiosa”, o semplicemente perché sono una quantità trascurabile”.
“La protezione, se non è efficace, non è protezione”, afferma Tomasi.
E allora “le agenzie degli Stati Uniti, in collaborazione con le autorità locali, devono portare aiuto umanitario adeguato, cibo, acqua, medicine, un tetto, a quelli che stanno scappando dalla violenza”.
Ma – ammonisce il nunzio – questo aiuto “deve essere una assistenza temporanea. I cristiani, gli yazidi e gli altri gruppi che sono stati costretti con la forza ad andare via hanno il diritto di tornare nelle loro case, ricevere assistenza per la ricostruzione delle loro case e luoghi di culto e vivere in sicurezza”.
Tomasi chiede anche di “fermare il flusso di armi e il mercato nero del petrolio, così come ogni supporto politico indiretto al cosiddetto gruppo dello Stato Islamico, perché questo “può porre una fine alla violenza”.
Secondo gli esperti, circa 3 milioni di dollari arrivano dalle compagnie occidentali al mercato nero del petrolio, soldi che vanno direttamente a finanziare le multinazionali del terrore.
Tomasi chiede poi che “i perpetratori di questi crimini contro l’umanità devono essere perseguiti con determinazione. Non gli deve essere permesso di agire con impunità”, perché questo porterebbe al rischio che le “atrocità commesse dal cosiddetto gruppo dello Stato Islamico si possano ripetere”.
“Quello che sta succedendo oggi in Iraq è successo nel passato e potrebbe succedere ancora domani in altri posti. L’esperienza ci insegna che una risposta insufficiente, o anche peggio l’inazione totale, porta spesso ad una ulteriore escalation di violenza”, afferma Tomasi.
Per questo “fallire nel proteggere tutti i cittadini iracheni, permettendo loro di essere vittime innocenti di questi criminali in un’atmosfera di parole vuole, avrà tragiche conseguenze sull’Iraq, per le sue nazioni vicine e per il resto del mondo”.