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18 luglio 2014

Patriarca di Baghdad: a Mosul non ci sono più interlocutori, i cristiani minacciati fuggono

"La situazione a Mosul è tragica". Con queste drammatiche parole il Patriarca della Chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, racconta ad AsiaNews la situazione a Mosul, nella seconda città per importanza dell'Iraq. Sua Beatitudine riferisce che ieri i membri delle "milizie del cosiddetto califfato islamico" hanno pubblicato una lettera, distribuita in città, in cui affermano che "i cristiani devono essere convertiti all'islam o pagare la tassa" (la Jizya, ndr). In alternativa, aggiunge, i cristiani "possono solo abbandonare la città" lasciandosi alle spalle tutti i beni, che vengono requisiti dagli islamisti.
Dalla seconda città per importanza dell'Iraq - Mosul è stata la prima a cadere sotto l'offensiva delle milizie islamiste - sono fuggite almeno 500mila persone, cristiani e musulmani, originando una gravissima crisi umanitaria, economica e politica. La zona è sotto il controllo dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista già legata ad al Qaeda), ora milizia del califfato islamico. E a nulla è valsa finora la risposta del governo centrale, che ha ordinato una serie di raid aerei senza risultato.
Raggiunto da AsiaNews nella sede del Patriarcato caldeo a Baghdad, Mar Sako commenta con tono amaro la chiusura di ogni possibile forma di dialogo con gli islamisti, che ripetono "fra di noi non c'è che la spada". "Ho invitato i vescovi - spiega il Patriarca - a invitare la popolazione cristiana a uscire e andarsene". Da ieri mattina quanti erano rimasti hanno iniziato a sgomberare, ora vi sono solo "pochissime persone, solo i più poveri fra i cristiani" che non hanno i mezzi per fuggire. Quanti abbandonano Mosul "trovano accoglienza nei monasteri, nei villaggi". Questa mattina, continua Mar Sako, "macchine munite di altoparlanti andavano a giro per la città, intimando ai cristiani di fuggire. Inoltre i miliziani, ai punti di controllo, sequestrano macchine, soldi e documenti ai cristiani, prima di lasciarli andare... non lasciano loro nulla!".
In questo contesto drammatico di caccia ai cristiani è anche difficile ipotizzare forme di dialogo o trattativa. "Non c'è un'autorità con cui confrontarsi, non c'è nessuno - sottolinea il Patriarca caldeo - non sappiamo da dove vengano, cosa vogliono davvero... Il governo centrale non ha alcun contatto e ora ha iniziato i bombardamenti aerei". Riferendosi agli islamisti, Mar Sako parla di "un muro" con il quale è impossibile instaurare "una qualsiasi forma di dialogo". E la situazione cambia in modo rapido, giorno dopo giorno, e sempre in peggio: "Di recente ho fatto una dichiarazione, affermando che [l'Isis] non ha nulla contro i cristiani - conclude - ma ora la realtà è diversa. Una situazione che si sta sgretolando fra le mani e la situazione dei profughi è sempre più drammatica: non hanno acqua, elettricità, i bambini non possono andare a scuola e molti padri di famiglia non ricevono il salario da due mesi. Non possiamo fare niente, abbiamo le mani legate".
Nei giorni scorsi il Parlamento ha eletto il nuovo presidente, ma restano ancora vacanti le poltrone di presidente della Repubblica e Primo Ministro, mentre il Paese precipita ogni giorno di più nel caos. Fonti delle Nazioni Unite riferiscono che, nel solo mese di giugno, almeno 2417 irakeni, fra cui 1513 civili, sono morti "in atti di violenza o terrorismo". Oltre un milione di persone hanno abbandonato le proprie abitazioni a causa dei combattimenti fra esercito e milizie islamiste. Si tratta del punto più alto di crisi a partire dal dicembre 2011, quando le truppe statunitensi hanno abbandonato il Paese;  nel computo totale non vi sono i morti della provincia di Anbar, nelle mani dei miliziani sunniti.