Pagine

9 giugno 2014

Kurdistan iracheno: giungono "troppi" fedeli e la chiesa chiede aiuto


 «L’immigrazione massiccia di fedeli costringe la nostra Chiesa ad affrontare sfide importanti». È quanto dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Bashar Matti Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, nel Kurdistan iracheno.
Negli ultimi anni, la maggiore tranquillità e sicurezza della regione autonoma ha spinto oltre 12mila famiglie cristiane a lasciare città pericolose come Bagdad e Mosul a trasferirsi nel territorio dell’arcidiocesi di Erbil. ACS sostiene numerosi progetti in favore dei cristiani del Kurdistan iracheno, tra i quali la costruzione della Chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Ankawa e varie iniziative a sostegno dei rifugiati.
«In molte aree dell’Iraq la gente esce da casa la mattina senza sapere se vi farà ritorno. Chiunque può essere vittima di esplosioni, attentati, omicidi e rapimenti». L’esodo dei cristiani - verso il Kurdistan e verso altri paesi – ha causato la chiusura di numerose parrocchie in tutto il paese. Ad Erbil invece, a causa del gran numero di fedeli, si sono dovute allestire delle tende, perché le Chiese sono ormai divenute troppo piccole. «Non abbiamo le strutture adeguate, ma la gente continua ad arrivare e ci troviamo a gestire sempre più comunità», aggiunge il presule, raccontando come i cristiani iracheni siano abituati a frequentare quotidianamente la parrocchia per la liturgia, la catechesi ed incontri di preghiera. «Anche qui vengono ogni giorno ed è per questo che dobbiamo costruire urgentemente nuove chiese e centri per la catechesi e le altre attività».
Secondo monsignor Warda l’attuale situazione dell’Iraq è causata da un misto di ragioni storiche, politiche, economiche e sociali. «Ma tutto ciò non descrive pienamente quanto stiamo vivendo. E se proviamo oggi a darne una definizione, domani potrebbe essere già diverso». La guerra ha profondamente diviso la società irachena e provocato il riemergere di problemi che sembravano ormai appartenere al passato. «Inoltre l’Iraq è circondato da molte altre terre di conflitti e spesso ha dovuto combattere guerre non proprie».

Roma, 7 giugno 2014