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12 giugno 2014

Emergenza in Iraq: proteggere le minoranze in fuga


L’Iraq è in piena emergenza. Un ponte per… avvia l’acquisto di beni di prima necessità per le le comunità di Qara Qosh e Bashiqa, dove sono fuggite le minoranze.
Oltre 500.000 sfollati, centinaia (non è possibile essere più precisi dato il continuo evolversi degli eventi) sono i morti tra civili e combattenti, checkpoint e strade bloccate: sono soltanto alcuni numeri delle drammatiche conseguenze dell’occupazione delle città irachene di Mosul e Tikrit da parte delle forze dell’ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante).
Un ponte per… ha attivi diversi progetti nell’area per tutelare le molte minoranze religiose tra cui cristiani, shabak, yazidi, turcomanni e kaka’i. Il progetto in corso a Mosul per i giovani è stato temporaneamente sospeso. Mentre le attività per le scuole della zona stanno andando avanti a rilento.
La priorità è ora rispondere all’emergenza umanitaria in corso. Secondo i nostri operatori nell’area e  le Nazioni Unite la situazione umanitaria è infatti gravissima. Con 1,5 milioni di abitanti la città di Mosul si sta letteralmente svuotando di ora in ora. La gente sta fuggendo in qualsiasi modo, in macchina, a piedi, in autobus, sui carri, portandosi dietro spesso soltanto lo stretto necessario. E di istinto si riversa verso l’area dei kurdi, considerate aree più sicure, e dato che i combattimenti continuano in direzione di Baghdad, a sud (Tikrit dista soltanto 140 km dalla capitale).
Nel Kurdistan iracheno, già risiedono circa  220mila siriani in fuga dalla guerra nel loro paese. Un ponte per… è al lavoro da tempo per loro, e sta discutendo con l’UNHCR la possibilità di destinare alcuni aiuti anche agli sfollati iracheni.
Nella giornata di ieri erano circa 1000 le persone ad attraversare i checkpoint verso Erbil ogni ora. Il giorno prima, il 10 giugno, almeno 100mila persone sono riuscite ad entrare nell’area del capoluogo curdo. Oltre alla città di Erbil si tenta di arrivare anche a Kirkuk. Più a nord, nelle stesse ore, gli iracheni che hanno raggiunto la provincia del Kurdistan iracheno di Dohuk sono stati almeno il doppio: 200.000. Numeri impressionanti e che purtroppo non possono essere che parziali e che non tengono conto, al momento, delle persone che rimangono al confine in attesa di un permesso, perché privi di uno sponsor o una lettera d’invito (necessari per risiedere in Kurdistan).
Altri invece sono rientrate a Mosul (circa 4mila famiglie), anche nella parte occidentale (200 famiglie) sotto il totale controllo dell’ISIL. In parte perché costrette da operazioni militari, in parte perché hanno saputo del ripristino dei servizi idrici ed elettrici nei loro quartieri.  Solo le minoranze cristiane e yazide non rientrano per paura di essere perseguitate.
A Barttella e Qara Qosh, cittadine alle porte di Mosul, rispettivamente ad est e nord della città, vivono circa 400.000 tra cristiani, shabak, yazidi, turcomanni, kaka’i ed altre minoranze, prese particolarmente di mira in queste ore. Lì si sono rifugiate circa 10.000 famiglie accolte in  7 centri provvisori.
Gli sforzi umanitari si stanno moltiplicando. A Dohuk sono stati aperti due campi rifugiati temporanei, nei pressi dei checkpoint di Shekhan e Badrike, della capienza di circa 2000 tende ciascuno. Attivati immediatamente i fondi centrali di risposta emergenziale (CERFs), gli interventi si stanno basando su protezione, distribuzione di somme di denaro per ogni famiglia e supporto psico-sociale.
Anche i nostri operatori sono al lavoro, offrendo orientamento e assistenza immediata ai checkpoint nell’area di Dohuk dove arrivano gli sfollati. A breve si procederà all’acquisto di beni di prima necessità per le comunità dove sono fuggite le minoranze.
Tuttavia con la situazione in continua evoluzione intervenire con efficacia risulta estremamente complesso, ancora di più date le precarie condizioni operative in cui riversano associazioni e organizzazioni umanitarie.
Per mesi, le Organizzazioni non governative e le agenzie delle Nazioni Unite che operano in diverse parti dell’Iraq hanno cercato di richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla immensa dimensione dei bisogni umanitari nel paese. Invano. Quanto tempo dovrà passare ancora?
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