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24 marzo 2014

Vescovo ausiliare: Attraverso l’educazione, rilanciare Baghdad come modello di arte e cultura

Joseph Mahmoud
 
"La Baghdad bella, pulita e aperta che è parte dei miei ricordi [del passato] è molto diversa dalla realtà di oggi". Vi era un tempo in cui la capitale irakena era centro "di arte, musica e divertimento, una Baghdad sicura, umana e libera: questo è il ricordo che abbiamo. Ed è molto diverso dalla situazione attuale, contraddistinta da povertà, miseria, insicurezza, sporcizia e violenza". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Saad Sirop Hanna, vescovo ausiliare di Baghdad, che conferma i risultati emersi in una recente indagine di Mercer consulting group, ente di ricerca statunitense con base a New York. Lo studio prende in esame la qualità della vita in 239 città del mondo, utilizzando parametri quali stabilità politica, crimine, inquinamento; Baghdad si piazza all'ultimo posto, superata persino dalla capitale di Haiti Port-au-Prince e Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana martoriata da tempo da una guerra sanguinosa. 
Considerata fino agli '70 un modello per tutto il mondo arabo, dopo decenni di conflitto si trasformata in una realtà da incubo per la popolazione civile, indifesa di fronte a stragi terroriste e criminalità comune. Una vera e propria caduta in disgrazia per quella che un tempo era a tutti gli effetti un centro culturale, economico e politico per Oriente e Occidente. Attentati quotidiani, assenza cronica di acqua potabile ed elettricità, un sistema fognario al collasso, disoccupazione e corruzione rampante, sequestri a scopo estorsivo sono solo alcuni dei molti fattori di crisi. 
Un tempo era anche un centro multietnico e culturale, capace di garantire accoglienza a musulmani, cristiani, ebrei e molti altri ancora. Ma la realtà è cambiata e secoli di storia, di cultura e di convivenza sembrano solo un ricordo del passato. Nell'illustrare le ragioni della sua decadenza, la riflessione del vescovo ausiliare è tanto lucida, quanto amara e non risparmia nessuno. Il declino di Baghdad, spiega, "è colpa nostra, ma è anche colpa di tutto il mondo. È colpa degli americani, che hanno usato la forza e con essa hanno tolto un regime, ma anche un ordine e una moralità a tanti".
Caduta la dittatura di Saddam Hussein nel 2003, i successori hanno fondato "un Iraq su principi sbagliati: diviso, etnico, disumano".  "È colpa nostra - aggiunge mons. Hanna - perché non eravamo all'altezza delle sfide e non eravamo preparati per questo. Ma è anche colpa di un mondo, in cui la voce del più forte è quella che domina e decide il destino degli altri". E pure la religione ha una sua parte di colpa, perché "non ha saputo dare unità umana al nostro Iraq" oggi diviso per confessioni religiose e gruppi etnici di appartenenza. 
Per l'ausiliare di Baghdad le elezioni del mese prossimo non offrono grandi prospettive, anche se alcuni auspicano "cambiamenti tangibili, perché tutti noi siamo stanti della violenza e dell'insicurezza", mentre altri temono un aumento delle violenze. Secondo il prelato, per rilanciare la vita economica, artistica e culturale è necessario "cambiare le idee, la mentalità" della popolazione. "La democrazia è cultura - aggiunge - per questo si deve partire dall'educazione e dall'istruzione". 
Mons. Saad Sirop Hanna ricorda infine il ruolo dei cristiani, che hanno sempre fornito un "grande contributo alla storia civile dell'Iraq". "Oggi devono concentrarsi sull'educazione ed essere di esempio" ricorda il prelato. "La loro apertura - conclude - deve essere un fattore di ripensamento per l'altro. Devono lavorare con gli altri con coraggio e abnegazione", sperando che questo modello positivo diventi esso stesso fattore di "cambiamento" per gli altri. 
In aprile vi saranno le elezioni legislative e la popolazione teme un incremento degli attentati. Dalla caduta del regime di Saddam, il 2013 per l'Iraq è stato l'anno più cruento, superando anche le violenze del biennio terribile 2006-2007. E le stime del governo confermano che le stragi continuano: nel solo mese di febbraio 2014 sono state assassinate più di mille persone in attacchi che miravano a obiettivi sciiti o governativi. A subire le conseguenze anche la comunità cristiana: prima dell'invasione americana e della cacciata del Raìs i fedeli erano più di un milione mentre oggi, secondo stime recenti, sono circa 300mila.