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4 marzo 2014

Patriarca caldeo: Fermare l’esodo per preservare le origini e la storia dei cristiani d’Iraq

di Joseph Mahmoud

"Se abbandoniamo l'Iraq, saremo tagliati fuori per sempre dalle nostre origini e dalla nostra storia", perché il futuro della comunità "è legato al nostro impegno e all'impatto che esso avrà". "Il nostro futuro è qui, non certo nelle nazioni della diaspora". È un richiamo accorato, forte e definitivo quello lanciato da sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako, Patriarca caldeo d'Iraq, durante un incontro con i fedeli alla parrocchia di San Giuseppe a Baghdad. Il simposio, al quale hanno partecipato diverse personalità della Chiesa caldea, si è tenuto lo scorso 26 febbraio e ha affrontato le "crisi" che attraversano la nazione e le "sfide" poste dall'emigrazione. L'esodo senza fine dei cristiani d'Iraq, la cui popolazione si è pressoché dimezzata dall'invasione statunitense nel 2003, è infatti uno dei temi chiave del Patriarca, una sfida attorno alla quale si gioca la sopravvivenza della comunità nel Paese e in tutto il Medio oriente. 
Sua Beatitudine spiega che i cristiani del Medio oriente differiscono dai concittadini musulmani, perché hanno dovuto preservare la fede "a fronte di enormi sacrifici", ed è "disdicevole" che i governi musulmani li trattino alla stregua di "cittadini di serie b" nella loro terra. Le Crociate e il Colonialismo, prosegue, hanno rafforzato questo (presunto) "legame con l'Occidente". Ai problemi legati alla sicurezza, alle persecuzioni e alle violenze, aggiunge ancora, di recente si è unito un altro fenomeno: mafia e criminalità che "incentivano la migrazione" offrendo agevolazioni, in base a un piano politico specifico. 
"Abbandonare il Paese - continua Sua Beatitudine - significa dare un taglio netto alla storia e alla civiltà della nazione, adattandosi a modelli occidentali in termini di linguaggio, costumi, morale, società, famiglia, cultura e istruzione". Per farla breve, chiosa, emigrare significa "strappare le radici ed è una forma particolare di morte". 
"Siamo nati in Iraq - avverte Mar Sako - e [...] siamo qui per rispondere a un piano divino, la responsabilità di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo a quanti vivono accanto a noi". Se i cristiani abbandonano in massa il Paese, si chiede il Patriarca, "chi testimonierà il Cristo?", mentre le chiese verranno "trasformate in musei e pietre morte, se non completamente distrutte". L'emigrazione, rilancia, è un "tradimento" della patria e una "fuga dalle responsabilità". 
Mar Sako parla infine della "presunta felicità" di quanti emigrano, che in realtà nella maggior parte dei casi si rivela essere solo un "miraggio". "La miseria dell'alienazione e il problema occupazionale, il rischio di perdere tutto... Non pensate di trovare lavoro, denaro e prosperità tanto facilmente" continua il Patriarca caldeo. Al contrario, egli propone alcuni punti fermi dai quali partire per rilanciare la presenza cristiana in Iraq e in Medio oriente: rafforzamento dell'istruzione, investimenti e attività economiche, nuove abitazioni e posti di lavoro. Per far questo è necessaria maggiore coesione e unità di intenti fra i vari gruppi politici, creare una Lega caldea e difendere i diritti dei cristiani nelle situazioni di difficoltà. 
Il simposio, al quale hanno partecipato alcuni prelati fra i quali l'ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni, si è concluso con l'invito del Patriarca a intonare l'inno nazionale e a rivolgere le lodi alla Vergine Maria, affidandosi "alla sua protezione".