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2 dicembre 2013

Mar Sako: il Papa in Iraq, una "necessità" per i cristiani che sperano nel "miracolo" siriano

By Asia News
di Dario Salvi

Per i cristiani irakeni "la visita del Papa è una necessità", perché è sempre più forte il "bisogno della sua solidarietà e del suo sostegno"; come il Pontefice ha compiuto "un miracolo in Siria, può fare un miracolo qui". È quanto racconta sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako, commentando la sua recente visita in Vaticano per la plenaria della Congregazione delle Chiese orientali alla presenza di Papa Francesco. A conclusione dei lavori, i Patriarchi orientali hanno incontrato il papa emerito Benedetto XVI, il quale ha assicurato loro di pregare tutti i giorni "per l'Iraq, la Siria e i cristiani d'Oriente".
Raggiunto al telefono a Baghdad, il Patriarca caldeo ha voluto condividere le speranze della comunità cristiana irakena, l'atmosfera che si respira in questo periodo di Avvento in preparazione al Natale, ma soprattutto il desiderio profondo di un viaggio apostolico del Papa nella terra di Abramo.

Ecco, di seguito, quanto ha raccontato Mar Sako ad AsiaNews:
Beatitudine, come giudica i recenti incontri in Vaticano con Papa Francesco e Benedetto XVI?
Entrambi sono stati molto emozionanti, mi sono commosso moltissimo. Abbiamo trascorso due ore [di lavori per la plenaria] molto intense con il Pontefice. Poi abbiamo incontrato per una mezz'ora Benedetto XVI, una persona semplice e ancora oggi vicina alla nostra situazione. Il Papa emerito è in buona salute, sereno e lucido, dice di essere come un monaco che prega e riposa. Mi ha detto che non può venire in Iraq per l'età avanzata, ma prega sempre per il nostro Paese.
Un Papa in Iraq: quale significato avrebbe per la comunità cristiana e l'intera nazione?
Un viaggio di Papa Francesco in Iraq - il primo nella storia - sarebbe un grande passo, di forte impatto e un sostegno straordinario [per una comunità a lungo oggetto di persecuzioni, ndr]. In passato un Pontefice si è recato in Siria, Giordania, Libano, ma mai qui in Iraq. E, ad oggi, si possono creare le condizioni per un viaggio perché il governo farebbe di tutto per garantirne la sicurezza. Per noi cristiani d'Iraq la sua visita è una necessità, perché abbiamo bisogno della sua solidarietà e del suo sostegno: come ha compiuto un miracolo in Siria [contribuendo a fermare l'escalation militare del conflitto e  il ventilato intervento della comunità internazionale, ndr] può fare un miracolo anche qui.
E il Pontefice come ha risposto?
Prendeva nota. Ha seguito con profonda attenzione tutti i lavori.
Del resto Papa Francesco è apprezzato e gode del rispetto dei musulmani...
I musulmani pensano che il Papa sia molto vicino (anche) a loro. E lo apprezzano per quei gesti simbolici che è solito compiere, la sua semplicità; per le parole che escono dal cuore e non sono solo lettera di carta, ma una testimonianza viva e concreta. Per la comunità islamica è un Pontefice "diverso", un pastore davvero profetico; sono loro a dirlo a noi cristiani. Con questi gesti così umani e profondi, Papa Francesco non manifesta solo una fede speculativa e teologica, ma rende una testimonianza viva, nel concreto, anche senza usare le parole.
È quasi trascorso un anno dalla sua elezione a Patriarca caldeo, nel gennaio 2013. Come descrive oggi la comunità cristiana d'Iraq?
La Chiesa in Iraq può crescere, ma serve un lavoro comune. Per noi cristiani irakeni, in particolare, la testimonianza di un viaggio apostolico nel nostro Paese sarebbe fondamentale, in questo periodo caratterizzato da una fuga dei cristiani. La nostra presenza è minacciata ed è a rischio una storia di duemila anni. Siamo diventati quello che la Bibbia definisce il "piccolo resto", ma dobbiamo sopportare le prove. Detto questo, serve anche l'aiuto della Chiesa universale, che deve pensare al futuro. Un giorno si realizzerà l'obiettivo di una vera libertà di religione e di coscienza [anche in Iraq], ma se non ci sono più cristiani, che racconterà la nostra storia? Siamo noi i responsabili: siamo noi che dobbiamo testimoniare ai musulmani i valori cristiani. Questa presenza è importante anche per loro, siamo una comunione e questa comunione e vicinanza è fonte di crescita e un mezzo per esercitare il nostro ruolo [per la nazione] a livello cristiano, umano e politico.
Sono questi gli elementi al centro del suo intervento alla plenaria?
Certo! Sono proprio questi i due aspetti che mi stanno a cuore e sui quali ho insistito: come mantenere i cristiani in Medio oriente e come preservarne l'identità, la storia, la lingua, la fede e la tradizione. Il Papa non è solo il vescovo di Roma, ma è il Pastore della Chiesa cattolica universale. È il simbolo di unità e comunione. Lui è per tutti... e bisogna capirlo e sostenerlo!
Beatitudine, è il primo Natale in veste di Patriarca dei caldei: come vive il periodo di Avvento?
Finora non vi sono state pressioni contro cristiani. È vero che la sicurezza è molto fragile e debole, ci sono attacchi e violenze, ma sono di natura confessionale e settaria [nel fine settimana tre bombe sono esplose nel nord dell'Iraq, durante i funerali di un leader sunnita, uccidendo almeno 12 persone e ferendone oltre 40, ndr]. Inoltre, la scorsa settimana a Baghdad è stato ordinato un sacerdote e nei prossimi giorni festeggeremo sei nuovi diaconi permanenti. In questo periodo di Avvento, sono simbolo di vita, di una Chiesa che cresce ed è viva. Un tempo vi erano 35 parrocchie nella capitale, ora solo 20 perché non abbiamo abbastanza preti e alcuni quartieri sono problematici; ma vogliamo dare testimonianza di una rinascita della Chiesa irakena. Aggiungo un ultimo punto: nei prossimi giorni in Iraq arriverà un gruppo di pellegrini italiani, che nel contesto delle celebrazioni per l'Anno della Fede compirà un pellegrinaggio a Ur, poi a Bassora e infine a Baghdad, dove celebreremo una messa solenne. Il gruppo sarà composto da sacerdoti e laici e porterà una reliquia del Beato Giovanni Paolo II, che durante il pontificato aveva espresso il desiderio di visitare il nostro Paese.