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16 settembre 2013

Iraq, il patriarca Sako: la violenza nel Paese legata alla crisi in Siria


Non si ferma l’ondata di attentati in Iraq. Altre sette persone sono rimaste uccise oggi e 20 ferite in diverse azioni alla periferia di Baghdad, dopo che ieri almeno 17 esplosioni con autobomba avevano causato una cinquantina di vittime nella capitale e nella parte meridionale del Paese, in particolare nella città a maggioranza sciita di Hilla. Non sono al momento arrivate rivendicazioni agli attacchi, ma le violenze sembrano inquadrarsi nelle sanguinose tensioni in corso tra sunniti e sciiti. Per una testimonianza sulla situazione, Giada Aquilino ha intervistato l’arcivescovo Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei:
 
Tutto ciò serve a creare confusione, mantenendo questi conflitti sempre accesi contro un’iniziativa di riconciliazione che sembra molto difficile e molto complicata. Tutto è collegato alla situazione regionale in Siria ed in Egitto. E sembra purtroppo esserci un conflitto “confessionale”.
Più di quattromila morti dall’inizio di aprile: 800 soltanto ad agosto. In generale, qual è la situazione oggi in Iraq?
C’è una tensione molto forte e la gente ha paura. Prima il sud era tranquillo, invece ieri è stata colpita proprio quella parte del Paese, in una zona sciita. Talvolta le tensioni avvengono tra gli sciiti, altre volte tra i sunniti.
Com’è possibile arginare tanta violenza?
E’ molto complicato perché ci sono Paesi che non vogliono la cosiddetta “Primavera araba”, la democrazia, la libertà: è un pericolo per loro. Quindi è nel loro interesse mantenere tali conflitti. Forse poi c’è una strategia per dividere il Medio Oriente in Paesi “confessionali”.
La comunità cristiana come vive queste ore?
La comunità ha paura e non sa dove andare. Non ci sono segnali di sicurezza né per i cristiani, né per tutti gli altri.
Lei ha detto che la situazione in Iraq è legata a ciò che sta succedendo in Siria ed in altri Paesi vicini. Papa Francesco, anche recentemente, ha pregato per l’Iraq affinché la violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione. Secondo lei a questo punto cosa può succedere?
La gente ed anche i politici sono coscienti che l’intervento militare o la guerra non aiutano. La guerra è sempre portatrice di morte e distruzione. Dunque, non c’è altra scelta se non il dialogo e la pace. L’accordo tra americani e russi (sulle armi chimiche siriane, ndr) penso sia un successo e tutti hanno apprezzato questa iniziativa non militare.
 Sull’esempio della veglia di preghiera e di digiuno voluta dal Papa, ci sono anche delle iniziative particolari della Chiesa di Iraq per la pace?
Anche noi, nelle nostre Chiese, abbiamo digiunato e pregato, celebrando Messe in tutto il Paese. Pure i musulmani hanno pregato per la pace, perché è un’esigenza di tutti. Sono convinto che il dialogo sia possibile. Senza dialogo non c’è vita, non c’è convivenza; anche la maggioranza dei musulmani è aperta al dialogo. Ne sono pienamente convinto. Ci sono i fondamentalisti, per cui tutto è politicizzato, ma ci sono anche capi religiosi aperti al dialogo. Penso inoltre che cristiani e musulmani debbano cercare un linguaggio più comprensibile per esprimere la loro fede, per dire che noi crediamo in un solo Dio, che è Creatore, che è Padre, che è misericordioso.