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31 maggio 2013

Iniziato il “ritorno” dei caldei emigrati in Europa

By Fides

Dopo una serie di negoziati condotti in Francia e in Belgio, 27 famiglie di cristiani caldei originarie della Turchia si apprestano a tornare nelle aree da dove erano emigrate negli anni Novanta anche per sottrarsi agli scontri tra esercito turco e guerriglieri curdi del PKK. Il programma di contro-esodo, caldeggiato dalle autorità turche, punta a ripopolare alcuni villaggi nel distretto di Silopi, nella Provincia sud-orientale di Şırnak.
Da lì – in particolare dal villaggio di Aksu - nei decenni scorsi più di 4mila cristiani caldei e siri erano fuggiti per trovare accoglienza in diversi Paesi europei.
Il cristiano caldeo Petrus Karatay, responsabile del Comitato di coordinamento dell'operazione-ritorno, ha dichiarato che essa potrebbe coinvolgere un numero crescente di cristiani, se a chi ritorna saranno garantite condizioni di vita decenti e stabili dal punto di vista economico e della sicurezza sociale.
“Noi”
ha dichiarato Kataray “consideriamo positivi gli inviti al ritorno rivolti dalle autorità ai cittadini non musulmani che vivono all'estero". Karatay ha anche ribaadito che i caldei sostengono il processo di pacificazione in atto tra Ankara e gli indipendentisti curdi.
In tempi recenti, in linea con il “neo-ottomanesimo” che ispira l'attuale leadership turca, si moltiplicano i segnali d'attenzione e di disponibilità del governo di Recep Tayyip Erdogan nei confronti di diverse minoranze cristiane. La Turchia tende a proporsi come “homeland” per i tanti cristiani siriaci (caldei, siri, assiri) ora residenti in Siria e in Europa, i cui avi vivevano in territorio turco. Lo stesso primo Ministro Erdogan ha invitato i cristiani siriaci emigrati a far ritorno in Turchia. Mentre il Ministro degli esteri Ahmet Davutoglu ha più volte ribadito la sua disponibilità a aiutare i cristiani siriaci coinvolti dalla guerra civile siriana.

28 maggio 2013

Il Patriarcato Caldeo suggerisce ai cristiani iracheni in diaspora di registrare i propri figli nelle ambasciate irachene

By Baghdadhope*

Il Patriarcato di Babilonia dei Caldei ha emesso un comunicato con il quale si incoraggiano gli iracheni che vivono in diaspora a registrare i propri figli presso le ambasciate dei paesi in cui vivono. Un ennesimo tentativo da parte del patriarca Mar Louis Raphael I Sako di favorire il ritorno delle migliaia di cristiani che negli ultimi 13 anni hanno lasciato l'Iraq, e di farli ancora sentire parte integrante del processo  di ricostruzine della loro patria.  
 
"La presenza cristiana in Iraq" si legge nel comunicato fatto pervenire da Padre Albert Husham Zarazeer, responsabile delle comunicazioni sociali del Patriarcato, "è religiosa, culturale, sociale e politica" ed è "vera testimonianza della libertà, della dignità e del pluralismo".
"I cristiani iracheni e mediorentali sono membri attivi della storia antica e moderna della loro patria e come tali compiono la loro missione con la loro stessa vita e con il lavoro" svolto, si legge, "con onestà".    
I cristiani iracheni però stanno diminuendo continua il comunicato - un argomento, quello dell'emigrazione, molto sentito da Mar Louis Raphael I Sako - e ciò "influenza le decisioni politiche" come nel caso delle elezioni e delle eventuali modifiche alla Costituzione.
"Per il futuro della Nostra Patria e per preservare la nostra eredità" si legge ancora "suggeriamo che tutti i cristiani iracheni che vivono in diaspora registrino i loro figli nelle proprie ambasciate perchè ottengano la cittadinanza irachena."
"In questo modo essi avranno il diritto di votare e partecipare nel prendere le decisioni" che riguardano l'Iraq ed oltre a ciò questa mossa potrebbe rappresentare per loro "un incoraggiamento a tornare in Patria."
Per queste ragioni il Patriarcato chiede al governo iracheno in quanto responsabile dei propri concittadini in patria ed all'estero di fare pressioni sulle proprie ambasciate nel mondo perchè "facilitino tali procedure".

Arab Spring Nations Still Lack Freedom and Democracy, Says Iraqi Christian Leader


Countries involved in the Arab Spring have not changed, according to Iraq's Chaldean Catholic Church Patriarch Louis Raphael Sako I.

"Where are democracy and freedom?"
Sako asked. "Change does not come suddenly or by force."

The patriarch stressed that it was unfortunate to lose the citizenship program in which all citizens are involved in the formation of their nations. This phenomenon began in the beginning of the last century and resulted in the growth of political Islam.

The remarks were delivered in Sako's speech on Friday at the International Ecumenical Conference. The conference is organized by the Middle East Council of Churches in cooperation with the World Council of Churches.

"We suffered several wars in Iraq such as the war with Iran, the occupation of Kuwait and the fall of the regime. Everyone suffered, but the Christian victims numbered more than a thousand and about 60 churches were attacked. At the same time, there are hundreds of Sunnis and Shiites who have been targeted,"
Sako added.

The patriarch said that religious extremism leads citizens to disregard others, whether they be Muslims, non-Muslims or of other beliefs.

"Iraqi Muslims, in my belief, are more open than other Muslims. Lebanon is an exception, but even here political conflict and many politicized bombings occur,"
he added.

Sako suggested that churches should work as a team rather than in isolation. Churches should form a team of specialists to help secularists analyze the situation and provide various suggestions and solutions.

"We need a very strong media and information office that can facilitate all of these activities,
" the patriarch added. "We have a responsibility towards our fellow Muslims; we love them as God, the Father of all, loves them."

Patriarch Sako called for a new understanding of the Christian teachings and explained that "our preaching and speeches are still archaic and delivered in an incomprehensible language to this day, not only for Christians but to anyone else."

Archbishop Avak Asaduryan
, representative of the Armenian Orthodox community in Iraq, delivered a speech saying: "We came as citizens and are always ready to carry out the duties citizenship to our country, our land, our history and our common heritage."

"In the modern nation state, it is not acceptable to use of the term 'minority' to describe citizens with national, religious or sectarian characteristics. This violates the principle of equal citizenship,"
Archbishop Asaduryan added.

26 maggio 2013

Ogni divisione è un peccato

By Osservatore Romano

Il tema dell’identità etnica e culturale caldea è al centro del dibattito della Chiesa cattolica in Iraq. Si avverte, infatti, il pericolo che le conseguenze di un risorgente nazionalismo si sommino alla violenza — in particolare l’ultima sanguinosa raffica di attentati — che divide il Paese. A pochi giorni dall’inizio del sinodo della Chiesa caldea, previsto per il 5 giugno, il Patriarca, Louis Raphaël I Sako, ha indirizzato al suo clero una lettera di chiarimenti sulla questione del nazionalismo caldeo, sulla quale si confrontano il patriarcato — a favore dell‘unità con le altre Chiese presenti in Iraq — e le due diocesi caldee degli Stati Uniti da tempo a favore di una netta divisione in base alla diversa identità nazionale: quella erede dell’impero caldeo con base a Babilonia e quella erede dell’imp ero assiro con base a Ninive.
Nel documento, riportato dal sito in rete Baghdadhope, il Patriarca di Babilonia dei Caldei invita il suo clero a «una seria pausa contemplativa che ci permetta di riflettere sulla nostra attuale situazione e di lavorare insieme come una squadra e servire la nostra gente con spirito evangelico senza eccezione». Infatti, «l‘unità è una grande sfida, senza di essa non c’è futuro. Lavoriamo tutti per l’unità della Chiesa d’O riente, perché ogni divisione è un peccato». Il Patriarca descrive la Chiesa caldea come una realtà «ferita» e «dispersa», delineando tra le cause di questa condizione anche la destabilizzazione seguita alla caduta del regime di Saddam, l’esodo dei cristiani e la fuga di alcuni sacerdoti in Occidente.
Quanto ai richiami al nazionalismo caldeo, che a volte suscitano controversie, il Patriarca sottolinea che «non è un difetto amare la propria nazione e esserne orgoglioso. Il difetto consiste nel considerare essa come superiore alle altre, peggio ancora quando qualcuno insulta chi non appartiene alla sua identità nazionale. È successo qualcosa del genere negli ultimi tempi». Si tratta di una deriva nazionalista, che non manca di coinvolgere alcuni siti internet e gruppi di militanti politici, che secondo il Patriarca rischia a volte di oscurare persino la stessa cattolicità della Chiesa caldea. «La Chiesa caldea cattolica è stata e sarà sempre aperta a tutte le nazioni e le lingue perché Cristo l’ha mandata per proclamare il Vangelo ovunque nel mondo. In essa oggi convivono assiri, arabi e curdi, dovremmo trasformarli tutti in caldei? Siamo la Chiesa caldea cattolica, aperta ai cristiani ma anche ai nostri fratelli musulmani e a tutti. Crediamo nell’unità e nel pluralismo, che l’amicizia sia nel cuore della vita divina e che la nostra vita cristiana debba esserne segnata. Noi, clero, non abbandoniamo la nostra missione evangelica per trasformarci in sostenitori di politiche nazionalistiche». Secondo il Patriarca, le diverse sensibilità ecclesiali riguardo alla cosiddetta «caldeità» non vanno interpretate come contrapposizioni tra una «minoranza» e una «maggioranza». Infatti, parlare di queste dinamiche in termini di «vittoria, come se fossimo in guerra» rappresenta «una vergogna».
In questo senso, nella lettera, Sako ribadisce che l’impegno diretto in politica è una prerogativa propria dei laici e che i sacerdoti non possono proporsi come militanti o aderenti delle diverse sigle partitiche. «La politica è affare dei laici competenti. Noi li incoraggiamo ad aprire scuole per insegnare la lingua caldea, centri culturali e sociali che si occupino della cultura e dell’arte, partiti politici che difendano i diritti, ma non possiamo inserirci in essa attivamente o esserne sostenitori. Questo è una linea rossa: un chierico non puo diventare un politico o un predicatore di nazionalismo. Restiamo fedeli alla nostra vocazione sacerdotale e al servizio di tutta la gente senza eccezione».
In particolare, «come persone consacrate, il nostro ruolo principale rimane sempre quello di proclamare il Vangelo e di trasmettere la fede con la forza dello Spirito Santo e con amore e fraternità tra tutti gli uomini. La nostra vocazione non accetta compromessi né sfruttamenti ma è sempre rivolta all’immagine di Cristo perché la Sua bellezza ci illumini».
Inoltre, «è ora di comprendere che la nostra Chiesa caldea cattolica è invitata nella sua coscienza a trasformare la sua realtà alla luce della risurrezione». Un’impresa che «richiede gli sforzi di tutti ed è questo l’impegno del prossimo sinodo caldeo».

22 maggio 2013

Cristianos en el infierno iraquí

by Carlos Zurutuza

Luis Shabi
recuerda con nostalgia sus nueve años de noviciado en Roma y un viaje en automóvil por toda Europa antes de volver a Iraq en 1969. “Eran otros tiempos”, suspira el arzobispo caldeo de Bagdad en un búnker en el corazón de la capital iraquí.
Su oficina se encuentra en el sótano de la iglesia de Santa María del Rosario, en el este de la ciudad. Es un templo humilde, pero protegido por muros de hormigón, alambre de púas y soldados en guardia junto a un vehículo blindado.
“Hemos sido siempre un pueblo pacífico y trabajador, con una reputación de contribuir a la cultura iraquí con numerosos escritores, poetas, filósofos…”, apunta el prelado cristiano caldeo, vestido con una sotana inmaculada y tocado con un bonete rosa.
“Pero desde 2003 los extremistas han reforzado la imagen de que somos una especie de ‘recién llegados’, algo así como una ‘extensión de Occidente’ en Medio Oriente”, añade Shabi, pasando del inglés al italiano sin transición. El hecho de que hubiera algunos ministros cristianos durante el régimen de Saddam Hussein (1979-2003) “no hace sino empeorar las cosas”, subraya.
“¿Qué ha hecho Europa para ayudarnos? ¿Y Roma? Ni las autoridades civiles ni las religiosas en Europa han movido un dedo por nosotros en el peor momento de nuestra historia”, lamenta.
Tras la diezmada comunidad mandea de Iraq –nueve de cada 10 miembros de esa antigua religión del mundo mediterráneo murieron o huyeron desde 2003–, la cristiana fue la más castigada durante la última década.
El Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Refugiados sostiene que aproximadamente la mitad de la población cristiana abandonó el país a partir de 2003, cuando comenzó la ocupación estadounidense.
Por otra parte, el Consejo Asirio de Europa señala a la propia Constitución iraquí como una de las culpables de la marginación que sufren las minorías.
“El Islam es la religión del Estado y fundamento básico de su legislación”, estipula el artículo 2.1 de la carta magna iraquí de 2005.
“No somos árabes sino semitas. Hablamos arameo y llevamos en Mesopotamia desde los tiempos de Hamurabi. Somos hijos de Abraham y de Nabucodonosor, pero nuestro futuro en Iraq no pasa de mañana”, exclama el arzobispo Shabi bajo toneladas de piedra y hormigón.
A 10 minutos a pie de ese lugar se alza majestuosa la espigada y vanguardista fachada de la iglesia de Nuestra Señora del Perpetuo Socorro. Tras pasar un laberinto de charcos, fango y cemento, agentes uniformados en camuflaje gris del Ministerio del Interior gestionan el acceso al templo. El edificio fue reformado el año pasado, pero aquí nadie olvida.
Imad Yokhana Yago: "Una región autónoma cristiana en Nínive protegería a nuestra comunidad y haría las veces de zona de amortiguación entre los grupos enfrentados”.
“Eran cinco. Saltaron por encima de los muros de hormigón y entraron a tiros en la iglesia gritando ‘Dios es grande’. Decían que pertenecían al Estado Islámico de Iraq (grupo sunita vinculado a Al Qaeda). Fue el 31 de octubre de 2011. Estábamos en misa”.
El trágico episodio permanece imborrable en la memoria de Aysur Said, el actual párroco. Su antecesor, el padre Wasim Tabih, fue uno de los 50 asesinados en el peor ataque que ha sufrido esta comunidad desde 2003. “Algunos murieron por los disparos y otros asfixiados. A varios los encerraron en una habitación que usamos para vestirnos. No tiene ventanas y el aire se acabó enseguida”, relata Said a IPS.
Después del atentado, los cristianos de Iraq reclamaron una región autónoma propia en las llanuras de la región de Nínive, en el noroeste del país.
Se trata del lugar en el que la Biblia sitúa el jardín del Edén, pero hoy también es zona en litigio entre kurdos y árabes. A 350 kilómetros al noroeste de Bagdad, Mosul es su capital administrativa, escenario desde diciembre de multitudinarias protestas antigubernamentales.
Bashiqa, a 30 kilómetros de Mosul, es una de las ciudades que muchos cristianos reclaman para su proyecto autonomista. Desde la iglesia asiria ortodoxa de Mart Shmouni, el párroco Daniel toma distancia del reclamo, recordando “la importancia de la unidad entre los iraquíes”. Pero este religioso de 23 años reconoce que no es fácil.
“La nueva autoridad en Bagdad no es capaz de protegernos, por lo que nuestro pueblo sigue huyendo en masa”, describe.
“No obstante, durante los últimos meses hemos acogido a muchísimas familias cristianas llegadas desde Siria que piden refugio en nuestros monasterios e iglesias. Muchas han huido precipitadamente y llegan casi sin nada”, añade sobre la guerra en el vecino país este joven que presume de ser el sacerdote más joven ordenado en Iraq.
A pesar de su cercanía con la inestable Mosul, Bashiqa disfruta de una relativa estabilidad, algo que el sacerdote atribuye al despliegue de soldados kurdos en la zona.
“Para muchos, Bashiqa es un alto en el camino en su huida hacia la Región Autónoma Kurda, donde la seguridad es completa”, explica el párroco.
Kirkuk –230 kilómetros al noroeste de Bagdad– también languidece en una suerte de limbo legal entre la capital del país y el gobierno regional kurdo.
Desde allí, Imad Yokhana Yago, diputado por el Movimiento Democrático Asirio, denuncia el “genocidio a manos de islamistas” y la “huida en masa” de su pueblo a la vez que aboga por un proyecto a la medida de su menguante comunidad.
“Tenemos miedo a una nueva guerra por las tensiones entre kurdos y árabes sunitas y chiitas”, dice Yago a IPS. “Una región autónoma cristiana en Nínive protegería a nuestra comunidad y haría las veces de zona de amortiguación entre los grupos enfrentados”, añade el parlamentario.
Pero es un proyecto controvertido y hay quienes temen que dicha región se convierta en una especie de gueto al que desplazar al pueblo cristiano.
Desde la dirección del Movimiento Cristiano Asirio, Yousif Eisho discrepa: “La represión que estamos sufriendo no llega únicamente desde los árabes de Iraq”.
“Irán, Arabia Saudita, son muchos los agentes extranjeros involucrados en la limpieza étnica de nuestro pueblo”, asegura este hombre de profundos ojos azules. “Ese gueto acabará siendo una realidad si se sigue permitiendo la injerencia desde el exterior”.

Sinodo caldeo di giugno: si agitano le acque

By Baghdadhope*

E' un dato di fatto che i sinodi della chiesa caldea che si svolgono in Iraq non sempre hanno uno svolgimento tranquillo. Successe nel 2003 quando ai vescovi riuniti a Baghdad per eleggere il nuovo patriarca non furono sufficienti 15 giorni e dovettero risolvere la questione a Roma dove un altro sinodo fu convocato d'ufficio dopo tre mesi e dove, improvvisamente, le tensioni che avevano infuocato gli animi a Baghdad si risolsero in due soli giorni con la nomina di Monsignor Emmanuel Delly, ora patriarca emerito.

Nel 2007 fu la volta di Alqosh, nel nord dell'Iraq, dove non solo un gruppo di vescovi - tra i quali l'allora Arcivescovo di Kirkuk ed ora patriarca, Mons. Louis Sako - non parteciparono alle riunioni in aperta contestazione con la linea di condotta patriarcale, quanto una fuga di notizie silurò, a causa del  tradimento del segreto sinodale, i due candidati a diventare vescovi dell'Europa e di Erbil, rispettivamente il corepiscopo Mons. Philip Najim ed il monaco Fadi Isho
Il prossimo 5 di giugno si terrà un altro sinodo a Baghdad.
Il primo presieduto dal nuovo patriarca Mar Louis Raphael I Sako scelto a Roma nel gennaio 2013 ed anche questa volta non si preannunciano tempi facili.

La questione che potrebbe questa volta creare dissapori si può riassumere con una frase pronunciata l'11 maggio scorso nel corso di una riunione tra le associazioni caldee che operano nel territorio di San Diego (CA) e Monsignor Sarhad Y. Jammo, vescovo caldeo degli Stati Uniti occidentali e strenuo difensore della teoria secondo la quale l'identità caldea non è riferita solo all'identità religiosa della più consistente parte dei cristiani di origine irachena, ma anche a quella nazionalista che li vede - secondo il prelato - ben distinti etnicamente dagli assiri. Una identità che quindi distingue nettamente tra il popolo/chiesa caldea ed il popolo/chiesa assira.
Ebbene nel corso di quella riunione Monsignor Jammo, con la veemenza che gli è propria, ha pronunciato una frase che sa di ultimatum, o almeno di prossimi disaccordi. Sebbene riferendosi agli uomini di chiesa, ai fedeli ed ai laici "in San Diego" Monsignor Jammo ha parlato della "identità nazionale caldea" come di una "linea rossa sulla quale non è possibile trattare" usando addirittura un termine arabo forte come "musa:uama" letteralmente "compromesso, mercanteggiamento" e sottolineando come i caldei di San Diego, (leggi: Stati Uniti)  rappresentando il più numeroso gruppo di caldei al mondo hanno maggior potere decisionale e saranno quindi in grado di "far pendere la bilancia a proprio favore."
Tre giorni dopo la riunione di Monsignor Jammo a San Diego il sito ufficiale delle sua diocesi, Kaldaya.net, ha pubblicato con gran risalto l'annuncio della presenza di Mar Bawai Soro al Congresso Generale Nazionale Caldeo che si sarebbe aperto il giorno successivo a Detroit.
Perchè tanto risalto a quella presenza?
Mar Bawai Soro fino al 2005 era un vescovo della chiesa Assira dell'Est, colui che più di tutti aveva perorato la causa dell'unione delle due chiese - caldea ed assira - in nome della comune discendenza dalla Chiesa dell'Est. Quando fu chiaro che non si sarebbe passati dalla seconda alla terza fase del processo di unione, quella che avrebbe dovuto portare, secondo Mar Bawai, al riconoscimento dell'autorità papale da parte della Chiesa Assira - chiesa autocefala con patriarca Mar Dinkha IV - i rapporti tra egli e la chiesa madre si ruppero e sfociarono in una sospensione sinodale ed in una causa presso la Corte Suprema di Santa Clara in California che impose all'ormai ex vescovo di restituire alla chiesa madre tutte le proprietà da egli gestite. Nel 2008 Mar Baway entrò in piena comunione con la chiesa caldea e fu accolto come vescovo nella diocesi di Monsignor Jammo.
Ma in che veste? Da allora molti sinodi della chiesa caldea si sono svolti, ma in nessuno di essi è stata presa una decisione riguardo a Mar Bawai ed al suo possibile accoglimento nella chiesa caldea come vescovo a pieno titolo. E' indubbio però che Mar Bawai sia una figura centrale nella contrapposizione tra la chiesa caldea e quella assira negli Stati Uniti e chi, meglio di un vescovo passato dall'una all'altra può rappresentare la causa della caldeità tanto cara a Monsignor Jammo e Monsignor Ibrahim Ibrahim, vescovo caldeo degli Stati Uniti orientali? Non è forse vero che è stato lo stesso Mar Bawai che nel discorso di apertura del congresso di Detroit ha chiaramente espresso la sua (e degli altri due vescovi) opinione dicendo: "noi (caldei) siamo fieri della nostra etnicità?"  Se Monsignor Jammo, assente al congresso, voleva trovare un portavoce per le sue idee indubbiamente c'è riuscito.
A sostenere l'idea della caldeità in quel congresso Mar Bawai non è comunque rimasto solo. Alle sue parole hanno fatto infatti eco quelle del monaco Noel Khorkhis, molto vicino a Monsignor Jammo,  che ha parlato di "rinascimento della casa, del corpo e della lingua caldea" e soprattutto quelle di 
Monsignor Ibrahim N. Ibrahim che ha ribadito con forza nel discorso di apertura del congresso la differenza tra le "nazionalità" caldea, assira, araba e curda e la volontà dei caldei di rivendicare i propri diritti nazionalistici, proprio come, ha ricordato, fecero i vescovi riuniti a Baghdad nel 2003 * quando inviarono a Paul Bremer, l'allora amministratore americano dell'Iraq, un documento in cui chiedeva di "garantire il diritti di tutti i cristiani dell'Iraq ... primi tra loro i caldei" che "secondo i numeri e la loro percentuale rispetto alla popolazione totale... rappresentano la terza comunità etnica dell'Iraq, subito dopo quella araba e quella curda"

Tutte queste dichiarazioni, queste rigide prese di posizione su linee da non varcare, non promettono bene per la riuscita del sinodo presieduto da Mar Louis Raphael I Sako che da sempre si è dichiarato a favore dell'unità "nella" chiesa e "delle" chiese tanto da scegliere il termine stesso insieme ad autenticità e rinnovamento come suo motto patriarcale. 
A pochissimi giorni dalla sua nomina a patriarca Mar Sako alla domanda: 'Beatitudine, Lei ha parlato di unità. Come si concilia questo desiderio con le spinte nazionalistiche che soprattutto negli ultimi dieci anni hanno lacerato la chiesa dal suo interno? Mi riferisco alla nascità di un atteggiamento che vuole i Caldei diversi dai fedeli delle altre chiese in Iraq non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello etnico' rispondeva infatti: "E' un argomento che dovrebbe essere studiato approfonditamente su basi storiche, scientifiche e linguistiche ed in ciò la Chiesa ed i laici possono dare un gran contributo. La nostra chiesa è allo stesso tempo locale ed universale e termini come 'Caldeo' o 'Assiro' sono retaggi del colonialismo che mirava a dividere una comunità con origini comuni. Stabilire se gli antenati di ogni iracheno cristiano provengano da Babilonia o da Ninive non è facile. Per l'armonia ed il dialogo - basi di partenza della collaborazione e quindi della crescita -  è necessario che le due parti in causa non cadano nella trappola del cieco nazionalismo. Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace."
Non bastassero queste parole a chiarire la posizione del Patriarcato valgono i fatti.
Durante la recente visita pastorale in Australia e Nuova Zelanda infatti Mar Sako, accompagnato dal suo seguito - tutti i vescovi iracheni tranne Mons. Jacques Isaac - ha visitato la cattedrale di Rabban Hormizd a Sidney appartenente alla Chiesa Assira dell'Est dove è stato accolto con calore dai fedeli e dal vescovo di quella chiesa per l'Australia e la Nuova Zelanda, Mar Meelis Zaia.
In quell'occasione Mar Zaia ha portato i saluti del Patriarca Mar Dinkha IV rivolti ai vescovi ospiti ed "ai figli della Chiesa di Cristo nel nome dell'unità e della fratellanza" ed ha parlato "dell'antico comune denominatore che unisce" (letteralmente, n.d.r) la "Chiesa dell'Est Caldea Assira" (Kanisa al-Sharqiya al-Kaldaniya al-Ashuriya).
A queste parole Mar Louis Raphael I Sako ha risposto ricordando l'importanza dell'unità perchè "noi siamo una sola chiesa" e che la presenza a quell'incontro di tanta gente dimostrava come l'unità della chiesa fosse desiderata.
Una unità tanto sentita dal Patriarca da rimarcarne l'importanza nel messaggio inviato ai fedeli della diocesi australiana e neozelandese appena visitata in cui essa è definità "la più grossa sfida per la nostra sopravvivenza, per la nostra continuità nella madre patria e nei paesi della diaspora" ed in cui si dice chiaramente che "chi non agisce per l'unità non è un cristiano"

Resterà da vedere quanto e come queste polemiche e posizioni apparentemente inconciliabili, anche e soprattutto alla luce della lettera che il Patriarca Sako ha indizirizzato al clero caldeo nel mondo, influenzeranno il prossimo sinodo, tenendo presente che uno dei due vescovi degli Stati Uniti, Monsignor Ibrahim N. Ibrahim, ha già raggiunto la soglia del 75° anno di età e che quindi se non in tempi brevissimi è ragionevole pensare ad una sua prossima sostituzione alla guida della diocesi.
Come sempre i sinodi della Chiesa Caldea sono fonti di sorprese. 

* All'epoca della stesura del documento indirizzato a Paul Bremer (3 settembre 2003) degli attuali vescovi caldei 3 non avevano ancora carica episcopale: l'attuale patriarca Mar Louis Raphael I Sako e gli arcivescovi di Erbil e Mosul, rispettivamente Mons. Bashar M. Warda ed Emile S. Nona

21 maggio 2013

Chaldean patriarch warns surge in Iraqi violence will divide country

By Catholic News Service
by Doreen Abi Raad

The patriarch of the Chaldean Catholic Church in Baghdad denounced a recent series of car bombings and shootings in Iraqi cities that left at least 54 people dead and dozens more injured.
Patriarch Louis Sako, told Catholic News Service in an email May 20 that the current violence is between minority Sunni and majority Shiite Muslims, who also run the Iraqi government. Christians are not being directly targeted, he said.
"But they are afraid and their exodus continues nevertheless," Patriarch Sako said of Iraq's Christian population.
"The morale of Christians in the area is down," the patriarch said.
Iraq has witnessed the emigration of more than half of its native Christians since the American-led invasion of the country in 2003.
Attacks have escalated in recent months, with some of the worst violence occurring May 20 in Baghdad, where nine explosions rocked bus stations and markets in mainly Shiite areas. Police said nearly 200 people were injured. Eight Iranian pilgrims were identified among the dead, the BBC reported.
No group claimed responsibility for the attacks.
Car bombings also rocked Basra May 20, leaving nine dead and at least 37 injured, police said.
In Haditha, about 155 miles west of Baghdad, gunmen ambushed two police checkpoints May 20, killing eight officers.
Ten police officers kidnapped May 18 in western Anbar province were found dead.
"It is terrible," Patriarch Sako said of the latest violence. "It seems a step aimed at the division of Iraq."
People across the country feel that the situation is deteriorating "and they are afraid especially when it takes a sectarian line -- for the moment it is (between) Sunni and Shiites," the patriarch said.
"People are worried about the future," he said.
The patriarch questioned "the motive and the reasoning behind changing regimes (of countries) with wars," citing rising violence in Egypt and Libya, where newly installed government leaders have been challenged by opposing groups, as well as the deteriorating situation in Syria, where a civil war has raged for more than two years.
Instilling democracy and a culture of freedom, he said, requires education and a sound strategy for the long term. But toppling a totalitarian regime with one that is fundamentalist (Islam) "is even worse," Patriarch Sako cautioned.
Instead of being equal citizens, he warned that Christians "will be considered second class because of their religion in a country in which Islam is the only standard."
"I think moderate Muslims should be aware and assure Christians that they, indeed, will be respected as equal citizens," the patriarch said.

Lettera del patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, al clero della Sua Chiesa

By Baghdadhope*

A 15 giorni dall'inizio del primo sinodo della chiesa caldea da lui presieduto il Patriarca Mar Louis Raphael I Sako ha indirizzato al suo clero nel mondo una lettera di chiarimenti sulla questione del nazionalismo caldeo che sta contrapponendo il Patriarcato - a favore dell'unità con le altre chiese presenti in Iraq e che tracciano la loro comune origine nella Chiesa dell'Est diffusasi in Mesopotamia ai tempi della predicazione di San Tommaso - e le due diocesi caldee degli Stati Uniti da tempo a favore di una netta divisione delle suddette chiese in base alla diversa identità nazionale: quella caldea erede dell'impero caldeo con base a Babilonia e quella assira erede dell'impero assiro con base a Ninive. 
A contrapporsi ed a scatenare recentemente un vero e proprio "botta e risposta" tra il Patriarcato Caldeo e le diocesi americane sono state da una parte le dichiarazioni dei vescovi degli USA, Monsignor Sarhad Y. Jammo e Monsignor Ibrahim N. Ibrahim, che hanno ribadito anche ultimamente nell'ambito del Congresso Nazionale Caldeo tenutosi la scorsa settimana a Detroit la loro ferma intenzione di non fare marcia indietro per quanto riguarda le proprie posizioni a favore della "caldeità" non solo religiosa ma anche etnica/nazionalistica, e dall'altra i  recenti incontri avvenuti in Australia tra Mar Louis Sako ed i massimi rappresentanti in quel continente della Chiesa Assira dell'Est e dell'Antica Chiesa Assira dell'Est e le intenzioni di unità espresse in quelle occasioni da tutte le parti. 

Che le rivendicazioni nazionalistiche caldee avrebbero rappresentato un motivo di attrito era chiaro già dal momento stesso della nomina a  Patriarca di Mar Louis Sako. Quando, in una delle primissime interviste rilasciate in qualità di  patriarca, alla domanda su come avrebbe potuto far conciliare il suo desiderio di unità con le spinte nazionalistiche che avevano lacerato la Chiesa dal suo interno e che presentavano i caldei come diversi dai fedeli delle altre chiese in Iraq dal punto di vista religioso ed etnico la sua risposta fu:
"E' un argomento che dovrebbe essere studiato approfonditamente su basi storiche, scientifiche e linguistiche ed in ciò la Chiesa ed i laici possono dare un gran contributo.
La nostra chiesa è allo stesso tempo locale ed universale e termini come "Caldeo" o "Assiro" sono retaggi del colonialismo che mirava a dividere una comunità con origini comuni. Stabilire se gli antenati di ogni iracheno cristiano provengono da Babilonia o da Ninive non è facile. Per l'armonia ed il dialogo - basi di partenza della collaborazione e quindi della crescita - è necessario che le due parti in causa non cadano nella trappola del cieco nazionalismo. Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace."    

Allora era febbraio, ora sono passati quasi 4 mesi.
La questione deve essere risolta, e la lettera di Mar Louis Raphael I Sako che Baghdadhope pubblica integralmente dimostra come sia desiderio del Patriarca farlo al più presto.
In attesa del Sinodo. 

Lettera del patriarca caldeo
al clero della Sua Chiesa


Cari confratelli vescovi, sacerdoti, religiosi,
"Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e al Signore Gesù Cristo" (Rom 1/7)

La Chiesa Caldea è invitata a raccogliere sé stessa
La nostra Chiesa è ferita, dispersa e sofferente per diversi motivi tra i quali la destabilizzazione nel Paese da quando è caduto il regime di Saddam nel 2003; la mancanza della visione sulla realtà e sul futuro; l'esodo dei cristiani; la fuga di alcuni sacerdoti in Occidente e verso altre  chiese; l'assenza di autorità interna; il non rispetto dei canoni che sovraintendono i rapporti verso l’esterno e gli affari.
L'eredità che ho ricevuto è un’eredità pesante e per questa ragione sento il dovere di scrivervi, come padre di tutta la Chiesa Caldea, per condividere con voi le preoccupazioni, le speranze ed il dovere di assumere, ognuno, le proprie  responsabilità.
Ciò a cui vi invito è una seria pausa contemplativa che ci permetta di riflettere sulla nostra attuale situazione, di raccoglierci in preghiera per la crescita della nostra chiesa e  di riaffermare il suo ruolo così come indicato dal Signore Gesù.
Questa pausa sarà l’occasione giusta per lavorare insieme come una squadra e servire la nostra gente con spirito evangelico senza eccezione.
Non bisogna perdere tempo.
La campagna nazionalistica caldea e la posizione del Patriarcato
Non è un difetto amare la propria nazione ed esserne orgogliosi, ma lo è il considerarla migliore delle altre ed ad esse superiore, ed insultare coloro che non riconoscono questa stessa identità nazionale.
Così è successo recentemente tanto che è stato chiesto un chiarimento sulla posizione  del Patriarcato per quanto riguarda il nazionalismo caldeo e le sue implicazioni politiche. Alcune voci hanno provato a distruggere l'identità della nostra Chiesa Caldea Cattolica, della quale siamo orgogliosi, attraverso i media appellandosi alla "libertà di espressione". Sfortunatamente un sito web della Chiesa ha sposato queste idee: sono persone che vedono le cose con un occhio solo e cercano di indirizzare il cammino della Chiesa per soddisfare i propri interessi. Non succederà mai! Siamo una Chiesa e guardiamo alle cose con occhi ben aperti, con una visione globale e  senso di responsabilità. Quelle persone non potranno farci dimenticare i nostri principi cristiani, ed il nostro cammino verso l'autenticità è nel ritorno alle origini e nel rinnovamento.
L'unità è una grande sfida perché senza di essa non c'è futuro.
Insisto su essa e chiedo a tutti di assumersi la responsabilità di realizzarla al di fuori delle polemiche e delle divisioni, e che specialmente le dichiarazioni comuni tra le diverse chiese mostrino la realtà dell'unica fede a prescindere dalla diversità delle sue espressioni.
Lavoriamo tutti per l'unità della Chiesa d'Oriente, perché ogni divisione è un peccato. Nel corso della nostra recente visita pastorale alla diocesi di Australia (2-16 maggio) abbiamo vissuto importanti incontri all’insegna dell’unità con la Chiesa Assira d'Oriente, incontri che rimarranno impressi nella nostra memoria e nel nostro cuore e che ci hanno dato ulteriore impulso ad andare avanti con fiducia per questa strada.

Nella Chiesa non c'è maggioranza e minoranza
La forza della Chiesa sta nella sua missione, non nei suoi soldi, né nel numero dei suoi fedeli. Tante persone hanno recentemente espresso la propria opinione sulla maggioranza e sulla minoranza nella Chiesa, sui ricchi e poveri, i potenti e deboli, e sulla "vittoria" come se fossimo in guerra. Questa è una vergogna. Se ritorniamo al Vangelo vedremo che la forza è nelle piccole cose come il sale e la luce, il lievito, il piccolo gregge! Il nostro essere e rimanere in Iraq e nel Medio Oriente è un segno di speranza e di convivenza nonostante le minacce di morte!
Accettiamo le critiche come fenomeno di civiltà che contribuisce alla crescita, allo sviluppo ed alla prosperità della nostra chiesa, ma devono essere critiche obiettive.

La Chiesa Caldea è ecumenica e aperta a tutti
La Chiesa Caldea Cattolica è stata e sarà sempre aperta a tutte le nazioni e le lingue perché Cristo l'ha mandata per proclamare il Vangelo ovunque nel mondo. In essa oggi convivono assiri, arabi e curdi, dovremmo trasformarli tutti in caldei?  Siamo la Chiesa Caldea Cattolica, aperta ai cristiani ma anche ai nostri fratelli musulmani ed a tutti. Crediamo nell'unità e nel pluralismo, che l'amicizia sia nel cuore della vita divina e che la nostra vita cristiana debba esserne segnata. Noi, il clero, in tutte le nostre posizioni, non abbandoniamo la nostra missione evangelica per trasformarci in sostenitori di politiche nazionalistiche.

La politica e il nazionalismo sono competenza dei laici
Affermiamo che la politica è affare dei laici competenti. Noi li incoraggiamo ad aprire scuole per insegnare la lingua caldea, centri culturali e sociali che si occupino della cultura e dell'arte, partiti politici che difendano i diritti, ma non possiamo inserirci in essa attivamente o esserne sostenitori. Questo è una linea rossa: un clerico non puo diventare un politico o un predicatore di nazionalismo. Restiamo fedeli alla nostra vocazione sacerdotale e al servizio di tutta la gente senza eccezione.

La Chiesa è Madre e Maestra
 La Chiesa è Madre e Maestra e non c'è un conflitto tra le due. L'insegnamento è un'attività che entra nel profondo della maternità. La madre presenta ed aiuta il figlio ad inserirsi nella comunità umana con amore e pazienza, e nella Chiesa con fede, fiducia e speranza. La Chiesa è una madre piena di bontà e di perdono, insegna ai suoi figli la verità e li orienta verso la via giusta, illumina con la luce del Vangelo, lo spirito d'amore e la saggezza tutta la loro vita! Il  Codice Canonico delle Chiese Orientali afferma chiaramente: "I fedeli cristiani, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad accogliere con cristiana obbedienza ciò che i Pastori della Chiesa,che rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede
oppure stabiliscono come guide della Chiesa. I fedeli cristiani hanno pieno diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità soprattutto spirituali e i propri desideri. In ragione della scienza, della competenza e del prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta il dovere, di manifestare ai Pastori della Chiesa il loro parere su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto a tutti gli altri fedeli cristiani, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso gli stessi Pastori e tenendo conto dell’utilità comune e della dignità delle persone" (Can 15 §1,2,3).

Cari amici
Come persone consacrate, il nostro ruolo principale rimane sempre quello di proclamare il Vangelo e di trasmettere la fede con la forza dello Spirito Santo e con amore e fraternità tra tutti gli uomini. In tutte le ordinazioni all'ordinato viene consegnato il libro delle letture, sia le lettere di San Paolo sia il Vangelo. Nell'ordinazione del vescovo il Vangelo gli viene posto sul dorso per fargli ricordare il dovere di “portarlo” con fedeltà fino alla fine della sua vita. La nostra vocazione non accetta compromessi né sfruttamenti ma è sempre rivolta all'immagine di Cristo perché la Sua bellezza ci illumini.
Invito quindi tutto il clero a leggere con particolare attenzione la Costituzione dogmatica sulla Chiesa "Lumen Gentium" ed il decreto sul ministero e la vita dei presbiteri "Presbyterorum Ordinis" del Concilio Vaticano II, ed ad impegnarsi nella sua divina vocazione. Invito anche i monaci a vivere la vita monastica e i voti monastici (castità, povertà e obbedienza) con generosità assoluta in una vita comune sostenuta dalla preghiera, la meditazione, l'ascolto e la libertà, ma pronti ad andare ovunque la Chiesa li chiami perché non devono dimenticare di essere membri attivi della sua rinascita e della diffusione della sua missione.

Cari amici,

È ora di comprendere che la nostra Chiesa Caldea Cattolica è invitata nella sua coscienza a trasformare la sua realtà alla luce della risurrezione, della vita e del rinnovamento con impegno generoso, ed a far contribuire i suoi figli, uomini e donne, nel dipingere il suo futuro con linee chiare, non con le parole né le critiche, ma con le azioni ed i suggerimenti, con metodologia scientifica che potrà trasformarsi in una forza attiva nella società. Tale impresa richiede gli sforzi di tutti ed è questo l’impegno del prossimo sinodo caldeo.
Questi suggerimenti sono a mio parere uno dei modi per costruire la nostra Chiesa con amore e generosità, evitando le trappole dell'individualismo, dell’egoismo e della divisione. Concludo con le parole di San Paolo: "Per il resto, fratelli, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi" (2 Corinzi 13/11).

Louis Raphael I Sako
Patriarca della Chiesa Caldea

20 maggio 2013

Il pensiero e l'amore del Papa per l'Iraq in un abbraccio ed un bacio

By Baghdadhope*



Il sito Ankawa.com ha pubblicato ieri le commoventi e sorprendenti foto delll'incontro in Vaticano di Papa Francesco con Padre Raphael Kutaimi, l'anziano sacerdote siro cattolico sopravvissuto alla strage compiuta il 31 ottobre 2010 nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad.
Padre Kutaimi, rimasto chiuso nella sacrestia con altri fedeli per sfuggire alla furia cieca degli assassini che avevano fatto irruzione al momento della messa pomeridiana e che prima di morire avevano tenuto in ostaggio per ore i fedeli uccidendone decine, era rimasto gravemente ferito nell'assalto e per questo era stato trasferito in Francia con altri sopravvissuti bisognosi di cure mediche.
E proprio dalla Francia Padre Kutaimi è arrivato in Vaticano per concelebrare con il Papa il 2 maggio la messa mattutina nella cappella della Domus
Sanctae Martha, occasione in cui Papa Francesco non si è limitato ad abbracciarlo fraternamente ma gli ha baciato le mani in segno di grande rispetto ed amore.
Padre Kutaimi, ora parroco emerito, è nato a Mosul nel 1943 ed ha servito la conunità siro cattolica di Baghdad per 35 anni.

14 maggio 2013

Iraq: continua l’esodo dei cristiani

By Radio Vaticana

Dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, circa l’80% dei cristiani iracheni hanno lasciato Paese.
Ad affermarlo all’agenzia Apic è padre Paul Sati, religioso redentorista caldeo originario di Mossul e da poco responsabile della comunità caldea di Anversa, in Belgio.
Ospite in questi giorni dell’annuale pellegrinaggio della sezione svizzera dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre all’Abbazia benedettina di Einsiedeln, il religioso non ha esitato a parlare di un vero e proprio “inverno arabo” in Iraq. Dalla fine del regime circa un migliaio di cristiani sono stati assassinati e una sessantina di chiese sono state bersaglio degli attacchi degli estremisti: “Quelle che una volta era la culla della civiltà e del cristianesimo - ha osservato - è oggi un luogo dove i cristiani sono minacciati, perseguitati o cacciati, e devono nascondersi”.
Padre Sati ha ricordato, tra l’altro, il sanguinoso attentato del 31 ottobre 2010 contro la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad, costato la vita a una cinquantina di fedeli, la lunga lista di assassinii di leader religiosi, tra cui quelli dell’arcivescovo di Mossul Paulos Faraj Rahho, di padre Rajhid Ganni, rettore della chiesa caldea del santo Spirito ucciso insieme a tre diaconi all’uscita della messa e quello del prete ortodosso Paulos Amer Iskandar, sgozzato dagli islamisti.
Il sacerdote ha puntualizzato che i cristiani non sono l’unico bersaglio degli islamisti che colpiscono anche tanti musulmani o esponenti di altre minoranze religiose.
Resta tuttavia il fatto - ha sottolineato - che la vita dei cristiani in Iraq è molto meno sicura adesso che durante il regime di Saddam Hussein e questo spiega perché si sia registrato il più grande esodo di cristiani dall’Iraq in questi ultimi decenni. Nel corso di quest’ultimo secolo si calcola che circa tre milioni di cristiani abbiano lasciato il Paese, ma nell’ultimo decennio questo movimento ha subito una brusca accelerata. Da rilevare che prima della prima guerra mondiale, quando la regione era sotto il dominio ottomano, i cristiani rappresentavano circa un quarto della popolazione irachena.

10 maggio 2013

Il Patriarca caldeo ribadisce la volontà di invitare Papa Francesco a visitare l'Iraq.

By Baghdadhope*

Il patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, non accantona l'idea di una visita papale in Iraq. 
Il progetto di "guidare una delegazione che si rechi a Roma per chiedere al Santo Padre di visitare l’Iraq, e questa volta ufficialmente," già espresso in un'intervista a Baghdadhope a metà dello scorso mese, è stato ribadito in un'intervista rilasciata ad Iraqhurr.org nel corso della visita pastorale che il patriarca sta compiendo in Australia.
Nell'intervista si legge infatti che il patriarca ha descritto come "vicina" la formazione di una delegazione cristiana, sunnita e sciita che si recherà in Vaticano ad invitare ufficialmente Papa Francesco a visitare l'Iraq.  

8 maggio 2013

Deceduto l'Arcivescovo Emerito caldeo di Kirkuk: Mons. Andreas Sana

By Baghdadhope*

Si è spento a Kirkuk l’Arcivescovo Emerito Caldeo Monsignor Andreas Sana da tempo in non buone condizioni di salute tanto che gli era stato impossibile partecipare al sinodo della chiesa tenutosi a Roma alla fine dello scorso gennaio che ha portato alla nomina patriarcale di Mons. Louis Raphael I Sako, che lo aveva sostituito alla guida dell’arcidiocesi di Kirkuk nel 2003.
Nato ad Araden, nel territorio diocesano di Amadiya, il 20 dicembre del 1920 Mons. Sana aveva compiuto gli studi primari nella sua città per poi trasferirsi nel Seminario di San Giovanni a Mosul. Ordinato sacerdote nel 1945 aveva servito nella sua diocesi fino al 1957 quando era stato nominato vescovo di Aqra (Attualmente sede diocesana vacante) .
Erudito, famoso per la sua bella voce, molto importante in un rito salmodiato come quello caldeo, e conoscitore di molte lingue nel 1972 entrò come membro nell’Accademia Siriaca di Baghdad di cui  divenne successivamente presidente; nel 1978 fu nominato arcivescovo di Kirkuk e nel 1979 entrò a far parte dell’Accademia Irachena della cui sezione di lingua siriaca divenne presidente nel 1989.
Tra le sue opere ricordiamo: “Il martirio del  Patriarca Shimoun Bar Sabbai durante il regno persiano si Sapore nel IV secolo d.c. “; “Il Martirio di San Giorgio”; “La conversione di San Paolo Apostolo” “La vita di Santa Teresina” tradotta dal francese; “Il pensiero cristiano”; “Il Vaticano Secondo”  ed altri testi di studio sulla lingua siriaca e la sua grammatica.  
Non sono ancora pervenute dichiarazioni sulla scomparsa di Mons. Sana da parte del patriarca Mar Louis Raphael I Sako impegnato nella sua prima visita pastorale in Australia e Nuova Zelanda e non si sa quindi ancora quando si terrà la cerimonia funebre. 
Se si dovesse tenere prima del ritorno del Patriarca previsto per il 12 maggio a celebrarla dovrebbe essere Mons. Jacques Isaac, l'unico vescovo caldeo presente per ora in Iraq visto che tutti gli altri alti prelati fanno parte della delegazione patriarcale in visita pastorale.         

3 maggio 2013

I giovani cristiani organizzano mercatini per pagarsi il viaggio alla prossima Gmg

By Fides

E' stato inaugurato mercoledì 1 maggio presso la chiesa caldea di San Giuseppe a Baghdad il mercatino fai-da te organizzato da giovani cristiani iracheni allo scopo di travare fondi per sostenere le spese del viaggio a Rio de Janeiro, dove loro stessi hanno intenzione di recarsi alla fine di luglio per partecipare alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg). L'originale iniziativa di fund raising dura per alcuni giorni e potrebbe rappresentare una esperienza pilota da rilanciare in altre chiese disseminate nel Paese. Sui banconi della piccola fiera, che ha visto fin dall'inizio una forte affluenza di acquirenti e curiosi, si trovano generi alimentari, vestiti, prodotti elettronici.
Le difficoltà economiche, le fatiche e le sofferenze che segnano la vita delle comunità cristiane in Iraq rendono ancora più vivo il desiderio dei giovani battezzati di vivere un'esperienza gioiosa di preghiera e di incontro con Papa Francesco e con nuovi amici provenienti da ogni parte del mondo. La raccolta di fondi attraverso il mercatino ha visto il coinvolgimento e la partecipazione di di giovani cristiani appartenenti a confessioni diverse, che in tal modo hanno testimoniato in maniera semplice e concreta la loro unità di discepoli di Gesù Cristo.
Secondo i dati forniti dall'agenzia Ankawa, al momento si prevede che alla Gmg di Rio de Janeiro prenderanno parte almeno 170 giovani cristiani iracheni provenienti dalle province di Baghdad, Kirkuk e Dohuk.  

2 maggio 2013

Prima visita pastorale del Patriarca Caldeo: Australia e Nuova Zelanda. I temi e la preghiera per il prossimo sinodo.

By Baghdadhope*

Alle 18.00 di oggi pomeriggio il Patriarca della Chiesa Caldea, Mar Louis Raphael I Sako atterrerà a Sydney per la sua prima visita pastorale che si svolgerà in Australia e Nuova Zelanda e che durerà 10 giorni, dopo i quali il patriarca farà ritorno a Baghdad per preparare il primo sinodo della chiesa dopo la sua elezione che si terrà a Baghdad a partire dal 5 di giugno.
I temi che il Sinodo tratterà sono le nomine episcopali per le diocesi vacanti (attualmente sei: Cairo –Egitto; Diarbakir – Turchia; Aqra, Bassora e Zakho – Iraq; Ahwaz –Iran) e l’eventuale creazione di nuove diocesi; la formazione del clero presso il Seminario Maggiore ed il Babel College; l’attualizzazione del rito e la sua applicazione conforme in tutte le diocesi; il completamento del diritto particolare della Chiesa Caldea e la sua approvazione da parte della Santa Sede; lo studio del fenomeno della emigrazione, le sue ragioni ed i modi per incoraggiare i cristiani a tornare in Iraq creando per essi l’atmosfera giusta che li spinga a farlo; ed infine  l’organizzazione delle curie patriarcali e vescovili. 

Mar Sako non si è però limitato a rendere noti anticipatamente gli argomenti del prossimo sinodo – atto che segna un evidente passo avanti rispetto al passato quando essi si conoscevano “ufficialmente e non completamente” solo a sinodo avvenuto – quanto ha anche pubblicato il testo di una preghiera per il suo successo da recitare in tutte le chiese ed i monasteri caldei del mondo dopo la preghiera dei fedeli nelle messe domenicali.
Il testo della preghiera fatto pervenire da Padre Husham Zarazeer, responsabile della comunicazione sociale del patriarcato caldeo ed adattato da Baghdadhope  è il seguente:

Padre Santo, aiutaci ad amare la nostra Chiesa Caldea come è, in tutte le sue varietà e differenze, nella sua grandezza  e nella sua debolezza. 
Signore, resta con noi, il futuro dei cristiani sembra insicuro in Medio Oriente  perché le tempeste soffiano sulla nave su cui navighiamo.
Signore,  invochiamo la potenza del tuo Spirito Santo perché ci aiuti a riscoprire la tua presenza nella nostra realtà quotidiana ed a inspirare in noi le vocazioni necessarie a costruire la tua Chiesa.
 Signore, fa’ che l'incontro dei nostri vescovi dia luce e pace a tutti, che essi siano felici di prendersi  cura di noi, i loro figli, con sentimento paterno, e che ascoltino le tue richieste.
Signore,  rafforza l'unità tra i figli della tua Chiesa perché il Sinodo che avrà luogo prossimamente sia per essa una nuova speranza nel segno dell'autenticità, dell'unità e del rinnovamento per predicare  il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo che è la via, la verità e la vita.
Amen.