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20 marzo 2013

Iraq: 10 anni dopo, non e' qui il 'nuovo MO'

di Alberto Zanconato

Il caos che regna nell'Iraq di oggi, con il rischio di essere risucchiato nel conflitto siriano, e' molto diverso da quell'esempio di democrazia per tutto il Medio Oriente che i 'neocon' americani immaginavano alla vigilia dell'invasione che dieci anni fa fece cadere il regime di Saddam Hussein.
Da quel 20 marzo del 2003 almeno 110mila iracheni - secondo le stime piu' prudenti - sono morti nelle violenze, in gran parte civili. A questi vanno aggiunti i 4.486 militari statunitensi che hanno perso la vita. E 15 mesi dopo la partenza degli ultimi soldati americani, nel dicembre 2011, gli attentati continuano a mietere vittime. Secondo i dati del governo iracheno, nei mesi di gennaio e febbraio di quest'anno 466 persone sono morte nell'esplosione di bombe o a causa di attacchi armati. Al Qaida, che raccoglie miliziani sunniti e rivendica i piu' gravi attacchi terroristici, rimane forte in un Paese di cui ha fatto una delle sue principali basi in seguito alla caduta di Saddam Hussein. Sull'altro fronte l'Iran, grande potenza sciita confinante che in Saddam aveva il suo piu' pericoloso nemico, gode ora di una forte influenza nel Paese. Conseguenze che certo l'ex presidente americano George W. Bush non immaginava quando lancio' i suoi soldati nell'avventura irachena. La voglia di rinascita e' visibile a Baghdad, dove giovani gruppi musicali sono tornati a suonare nelle strade e la gente ricomincia ad andare a concerti o a teatro. La citta', che lo scorso anno ha ospitato il primo vertice della Lega Araba dopo 22 anni, e' stata scelta per il 2013 come 'Capitale della cultura araba'.
Ma, oltre ai pericoli per la sicurezza, pesano sul Paese la difficile situazione economica, la carenza di infrastrutture e la corruzione. Nella stessa capitale l'elettricita' e' disponibile soltanto alcune ore al giorno. Un settore in cui il Paese sta facendo passi da gigante c'e': quello petrolifero. Lo scorso anno l'Iraq ha prodotto una media di tre milioni di barili di greggio al giorno, superando l'Iran come secondo esportatore dell'Opec dopo l'Arabia Saudita. L'Agenzia internazionale dell'energia prevede che la produzione irachena possa raddoppiare, o addirittura triplicare, entro il 2020. Uno sviluppo a cui sta contribuendo l'Eni, che ha gia' investito 4-5 miliardi di dollari, ma su cui pesano ancora difficolta' burocratiche, le scarse infrastrutture per le esportazioni e le incertezze politiche.
Poco noto in Occidente e' il dramma dei cristiani iracheni.
Si calcola che almeno la meta' del milione e mezzo che viveva nel Paese sia partita per sfuggire alle violenze.
Ma lo scontro pericoloso per la stabilita' del Paese e' oggi quello tra sciiti, maggioranza nel Paese, e sunniti, che si inserisce nella guerra sotterranea in corso nella regione. Il premier Maliki appare schierato con l'Iran, che sostiene in Siria il presidente Bashar al Assad, della branca sciita degli Alawiti. I sunniti tendono a sostenere il fronte guidato da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, che sta con l'opposizione siriana. Il presidente del Parlamento, il sunnita Osama al Nujaify, ha visitato recentemente Doha su iniziativa personale e Maliki lo ha attaccato definendolo "un settario che vuole la rivolta". Il segnale piu' inquietante di queste tensioni e' stato l'attacco dei sunniti di Al Qaida del 4 marzo contro il convoglio militare che riportava in Siria soldati governativi riparati in Iraq nel corso di scontri con i ribelli lungo la frontiera. Combattimenti durante i quali due soldati iracheni sono stati uccisi da proiettili da oltre confine e secondo alcune fonti locali l'esercito di Baghdad ha aperto il fuoco contro miliziani dell'Esercito libero siriano.