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28 febbraio 2013

What Is the Future for Iraq's Last Christians?

By Zenit

Patriarch Louis Raphaël I Sako of the Chaldean Church, the archbishop of Baghdad, told Catholic charity Aid to the Church in Need that Christians are continuing to leave Iraq for a number of reasons, but the key factor is the lack of security.
The patriarch, who was elected Jan. 31, said: "They are leaving the country because there is no stability. Another reason is the rise of fundamentalism."
"Christians have lost their trust in the future. They are disappointed."
Patriarch Raphaël added that "security and freedom" were the most important issues for the survival of the Church in Iraq.
"When they feel secure, free and equal with the others, they will stay, otherwise they will leave."
According to Church sources, Christians in Iraq have plummeted from 1.4 million in 1987 to perhaps fewer than 250,000 today.
Many Christians who fled initially to the north of Iraq have since departed there as well, unable to find jobs or housing or because they have been reluctant to settle in a region that continues to experience sporadic acts of violence.
Bomb attacks in Kirkuk and Tuz Khurmatu last month left at least 30 people dead and more than 200 wounded. The violence was politically motivated.
The leader of Iraq’s Chaldeans said: "Security is also needed for non-Christians, but they are the majority and normally they belong to tribes, giving them more protection."
Even in the north, Christians have been targeted by Islamists – although events such as the mass torching of Christian-owned business in Zakho in December 2011 are rare.
Patriarch Raphaël said: "Fundamentalism does not accept Christians. ... Extremists think that the reason for their predicament is the West, i.e. Christians."
He added: "The whole situation is bad. There is tension between the government and the opposition, also between the central government and the Kurdish regional government."
"Everyone is waiting for an improvement. We hope for a real reconciliation between the partners."
Patriarch Raphaël said that Christians are important in helping to provide cohesion in an unstable region.
Speaking to Catholic media agency AsiaNews earlier this month, he said: "The Pope appealed to me so that we remain, as in the past, a bridge for all, between Christians and Muslims and between Iraqi citizens."
"Among other things, I brought the greetings of two imams, a Shiite and a Sunni, and he was pleasantly surprised and thanked them."
The new Chaldean leader described to ACN how Pope Benedict XVI welcomed him: "He said: ‘My congratulations and my prayers. I am happy that the fathers of the synod were united. I hope you can stimulate the dialogue in your country.’"
"Please pray for the unity of churches and Christian politicians," the patriarch said, "that we can work together as one team and devise a concrete strategy to keep Christians in their homes and hoping."

27 febbraio 2013

Sacerdote irakeno: Paese unito e dialogo con l’islam, nel solco di Benedetto XVI


Benedetto XVI ha sempre "guardato con molta attenzione alle Chiese del Medio Oriente", a conferma dell'importanza di una minoranza religiosa che resta un "fattore di unità" in un contesto frammentato e diviso. Così un sacerdote irakeno, accordo in piazza San Pietro per assistere all'ultima udienza generale di papa Ratzinger, ha voluto sottolineare l'estrema attenzione riservata a un'area del mondo particolare, teatro di violenze e guerre, ma allo stesso tempo foriera di grandi esempi di fede e testimonianza. Un'attenzione e una sensibilità confermati anche dal fatto che il Pontefice "ha voluto introdurre la lingua araba nelle udienze".  
P. Basel Yaldo, sacerdote caldeo del Pontificio Collegio di Sant'Efrem, nativo di Baghdad, ha partecipato all'udienza in compagnia di p. Samer e p. Nehad, entrambi di Mosul, nel nord dell'Iraq, confermando idealmente il progetto di unità di cui sono protagonisti i cristiani irakeni.
"Siamo molto grati al Papa
- sottolinea p. Basel - per quanto ha fatto per la Chiesa in Iraq e nella regione mediorientale, a cominciare dall'ultimo viaggio apostolico compiuto proprio in uno dei Paesi della regione, il Libano". La nostra presenza, aggiunge anche a nome degli altri due sacerdoti, è un "atto di ringraziamento a Sua Santità".

Il sacerdote ricorda l'attenzione di papa Ratzinger che ha promosso un Sinodo delle Chiese del Medio oriente e ha riaffermato, in più occasioni, la centralità dei cristiani nella regione.
"Siamo un fattore di unità del Paese, sin dall'antichità" racconta p. Basel, "fin dal primo secolo dopo Cristo quando San Tommaso ha gettato le basi per la fondazione della prima Chiesa. Siamo fieri di essere cristiani del Medio oriente e vogliamo essere di esempio agli altri". E aggiunge: "Non è questione di minoranza e maggioranza, ma soprattutto di qualità della nostra presenza nel Paese".
Per il futuro dell'Iraq, p. Basel è speranzoso e intravede "buone prospettive" partendo dall'elezione del nuovo Patriarca, sua Beatitudine Mar Louis Raphael I, che saprà continuare il lavoro di dialogo e collaborazione con la maggioranza musulmana, come indicato da Benedetto XVI. "Il Papa nel rapporto con l'islam - conclude il sacerdote irakeno - ha cercato un dialogo schietto e sincero. Egli ha compiuto molti passi nel cammino di dialogo con il mondo islamico, ma è una strada ancora lunga da percorrere."

Nuovo gruppo militante sciita minaccia sunniti e cristiani

By Fides

Quello che tutti temono è un ritorno della violenza settaria che per anni ha insanguinato il paese: famiglie di un quartiere sunnita di Baghdad hanno ricevuto nelle scorse settimane avvertimenti e minacce dall’Esercito di Mukhtar, nuovo gruppo militante musulmano sciita che sta terrorizzando la popolazione civile con slogan del tipo: “Andatevene o inizierà la vostra grande agonia”.
Secondo gli osservatori, il gruppo, che avrebbe contatti con la Guardia Rivoluzionaria iraniana, intende riaccendere nel paese tensioni settarie che esplosero all’domani dell’arrivo delle truppe americane, poi lentamente diminuite a partire dal 2008, e vuole colpire, in particolare, i sunniti e le altre minoranze religiose. Una simile ondata di violenza potrebbe facilmente annullare i fragili passi avanti che l’Iraq ha compiuto negli ultimi anni, a livello politico, economico e sociale.
La minoranza sunnita in Iraq ha più volte indetto manifestazioni pubbliche, lamentando “una discriminazione da parte del governo in carica”, mentre gruppi estremisti sunniti hanno aumentato attacchi su larga scala contro obiettivi prevalentemente sciiti. Le forze di sicurezza irachene, presenti in diversi quartieri di Baghdad, cercano di garantire maggiore sicurezza alla popolazione civile, ma molti temono l’insorgere di un autentico conflitto confessionale.
In questa situazione, i cristiani iracheni restano l’anello debole della società: stretti nel conflitto fra sciiti e sunniti, vittime di gruppi terroristi che considerano le minoranze religiose “ospiti indesiderate” nel paese. Consci della criticità del momento e delle sfide future, i leader cristiani, e in particolare il nuovo Patriarca Caldeo, S. Ecc. Mons Luis Sako, chiedono a tutti i cittadini di “abbandonare interessi personali, partigiani, anche religiosi e confessionali” e si appellano ai rappresentanti della politica, della società e delle comunità religiose “ perché lavorino per il bene dell’Iraq e per la pace del popolo iracheno”.

Le attese dell'Iraq

By Baghdadhope*

Nel giorno dell'ultima udienza generale di Papa Benedetto XVI pubblichiamo l'intervista rilasciata al SIR da Mar Louis Raphael I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei a Daniele Rocchi

“Il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui l’ho fatto fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Con queste parole Benedetto XVI ha spiegato la sua scelta di rinunciare al Pontificato. Lo ha fatto domenica 24 febbraio, nel corso del suo ultimo Angelus, davanti a oltre 200mila persone, accorse a salutarlo in piazza San Pietro. Rinunciare al ministero petrino, dunque, non significa abbandonare la Chiesa. Commentando l’episodio evangelico della Trasfigurazione, il Pontefice ha detto di sentire “questa parola in modo particolare rivolta a me in questo momento della mia vita” e ha ricordato “il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo”. “La preghiera - ha aggiunto - non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni”.
Sull’impatto che queste parole hanno avuto sulle Chiese mediorientali, sulle voci incontrollate di intrighi e di lotte di potere, nonché sulle loro attese per il prossimo Pontefice, Daniele Rocchi, per il Sir, ha posto alcune domande al neo-patriarca di Babilonia dei caldei (Baghdad), Louis Raphael I Sako.
Ascoltando le parole del Papa, pronunciate durante il suo ultimo Angelus, cosa ha pensato?

“Ammiro questo gesto profetico, ricco di un’umiltà molto profonda. Il Papa non fugge dalla responsabilità ma è consapevole che, nelle sue condizioni fisiche, non può continuare la sua missione. Quindi lascia il suo posto a un altro che il Signore indicherà per guidare la Chiesa in questo momento critico. Benedetto XVI è per noi tutti, cardinali, vescovi, patriarchi, religiosi, laici un modello da seguire. Egli ci ricorda che dobbiamo servire la Chiesa e non il contrario”

In questi giorni i media parlano di lotte e intrighi di potere all’interno della Curia Romana. La Segreteria di Stato è intervenuta con una nota per smentire e per denunciare il tentativo di condizionare il prossimo Conclave. Come sono state accolte queste notizie dai cristiani mediorientali?

“Siamo tutti sotto shock nel leggere sui giornali notizie che parlano di lotte di potere all’interno della Chiesa, di prelati che non hanno una condotta di vita pura e morale, di guerre intestine. Io credo che Benedetto XVI sia stato molto coraggioso nell’assumere gravi decisioni relativamente alla pedofilia, come in Irlanda e altrove. Ha avuto anche il coraggio di confessare che rappresentanti della Chiesa avevano sbagliato. Anche in questo ha mostrato tutta la sua grandezza”.

Tutte queste storie che impatto hanno sull’immagine e sulla testimonianza della Chiesa nel mondo islamico?

“Credo ci voglia un supplemento di credibilità. Purtroppo abbiamo un poco perduto la nostra credibilità e le persone non si accontentano più delle parole ma vogliono gesti coerenti di vita. La gente cerca esempi concreti da seguire nella vita quotidiana. Il Sinodo per il Medio Oriente, del 2010, non a caso s’incentrava sulla comunione e sulla testimonianza da vivere, come Chiese orientali, ma anche fra cristiani. Non dobbiamo vivere nei formalismi. Dal futuro Papa mi attendo un grande sostegno per stimolare l’unità tra le Chiese cristiane e il dialogo con l’Islam. Non siamo mandati solo per il gregge ma per tutti, perché tutti attendono l’annuncio della Parola di Dio. Il mondo si attende qualcosa dalla Chiesa e noi pastori, in primis, lo sentiamo, lo avvertiamo. Ho ricevuto poco fa due gruppi di leader islamici che mi hanno confermato che si attendono qualcosa di diverso da noi”.

Che Pontefice si augura esca dal Conclave?

“Aspettiamo un Papa che sia un padre e un uomo coraggioso. Una persona che conosca bene la situazione e che sappia guidare la Chiesa con chiarezza e senza compromessi. Prego per un Pontefice che pensi a una nuova pastorale per la Chiesa, che rinnovi la disciplina, che l’avvicini ancora di più ai giovani, per esempio, che sappia comunicare il Vangelo, con un linguaggio ancora più comprensibile, a questo mondo assetato di speranza. Recentemente, come Chiesa caldea, abbiamo vissuto il nostro Sinodo e, in quell’occasione, noi vescovi abbiamo potuto verificare che, quando è il divino a guidare l’uomo, allora si va verso il bene. Al contrario, quando l’uomo vuole sopravanzare il divino, allora c’è lo stallo. Io credo che lo Spirito Santo donerà alla sua Chiesa un ottimo Papa”

Avete organizzato liturgie e preghiere per accompagnare Benedetto XVI in questi suoi ultimi giorni da Papa e sostenere i cardinali che entreranno in Conclave?

“Il prossimo 28 febbraio avremo, nella cattedrale di Baghdad, una liturgia ecumenica per tutti i martiri iracheni, mons. Paulos Faraj Raho, padre Ragheed Ganni e tanti altri. Nello stesso tempo, pregheremo per Benedetto XVI, perché aiuti con la sua presenza e preghiera la Chiesa. Domenica 3 marzo, poi, celebreremo una messa per tutti i cardinali che entreranno in Conclave affinché lo Spirito Santo possa suscitare in loro la giusta scelta. In tutte le parrocchie pregheremo per Benedetto XVI e i cardinali”

Patriarca, prima parlava di speranza: c’è ancora speranza per l’Iraq?

“L’Iraq vive nell’incertezza, oggi potrebbe essere una giornata tranquilla, ma domani chissà. Non abbiamo stabilità, la situazione è precaria sotto ogni profilo, sociale, economico, politico, ma non dobbiamo perdere la fiducia e la speranza di ricostruire il nostro Paese. In Iraq ci sono tantissime persone di buona volontà con cui è possibile lavorare e collaborare per un futuro migliore non solo per i cristiani ma per tutti”.

25 febbraio 2013

Iraqis, foreign teams work together to excavate ancient sites

by Khalid al-Taie

The Iraqi Ministry of Tourism and Antiquities on Monday (February 18th) announced it has authorised six foreign teams to start archaeological excavations at a number of ancient sites.
"As part of its work programme for the current year, the ministry has reached agreements with six archaeological teams from Italy, the United Kingdom and the Czech Republic," Hakim al-Shammary, director of the tourism minister's media office, told Mawtani.
The teams will begin excavations at a number of sites, particularly in the south, he said.
"Among the sites to be excavated are ancient hills such as Tal Abu Tuwaira in the city of al-Nasiriya, Tal al-Baqarat in al-Kut and Tal Abu Shathar in Maysan province, as well as other sites in al-Dalmaj marshes," he said.
Iraqi archaeologists and excavators will work alongside these teams to acquire additional skills, using advanced equipment to salvage relics and identify historical periods, and learning how to preserve the pieces, al-Shammary said.
"The return of foreign archaeology teams to the country, as a result of the stable security situation, will give great momentum to ministry efforts and plans for the excavation of archaeological treasures," he said.
Geographic surveys indicate that more than 40,000 archaeological sites throughout Iraq have yet to be excavated and studied, al-Shammary said.
The ministry hopes to increase the number of foreign excavation teams, not only so they can support officials through excavation, "but also to help us undertake the special projects of maintaining and rehabilitating archaeological and heritage sites, with their expertise and advanced technologies", he said.

Working together

New agreements with these teams "come as part of the ministry's opening up to all the countries that in the past worked alongside Iraq to return stolen pieces" and helped safeguard the country's archaeological treasures and maintain and develop its museums, said Abbas al-Quraishi, director of the ministry's artefact recovery department.
"Italy, the United States and the United Kingdom were among the first countries to send archaeological teams to Iraq, and helped enrol many Iraqi excavators and archaeologists in training courses to develop their skills," he told Mawtani.
"We look forward to increasing their presence on our various archaeological projects," he said.
Al-Quraishi said local excavation teams today "have considerable skills in the search and extraction of archaeological pieces, and were able in the past to uncover numerous relics at various sites."

One of their most important discoveries involve finding the oldest church in Iraq, whose construction dates to about 120 years before the appearance of Islam, at al-Uqaiser archaeological site in Karbala province,
he said.

Meanwhile, Hussein al-Sharifi, a member of parliament's tourism and archaeology committee, told Mawtani it is important to give Iraqi archaeologists the opportunity to take part in exploration and maintenance courses outside the country.
"Local archaeological capacities, particularly those in the field of excavation, are considered good," but offering Iraqis the opportunity to train on world-class equipment and devices would be advantageous, he said.

21 febbraio 2013

Caritas summit in Amman, help for Syrian refugees

By Misna

“This morning we had the opportunity to speak with King Abdullah about the situation of Syrian refugees. Jordan is facing an unprecedented influx of people with few resources: thus did say to MISNA Bishop Giorgio Bertin, Bishop of Djibouti and President of Caritas Somalia, who has been visiting Amman for the meeting of Caritas Middle East and North Africa.
“People fleeing conflict and violence are hungry. We are talking about 380,000 people including many women and children in Jordan alone, in addition to many in Lebanon and 15,000 in Turkey. These days we are discussing how to coordinate aid and projects to provide support for the refugee camps that have sprung up near the country’s borders,” said the Bishop, pointing out that for those who remain in Syria the situation is equally, if not more, difficult. ”
“The families have difficulty finding enough food,” said the Chaldean Bishop of Aleppo and president of Caritas Syria, Bishop Antoine Audo, who was also in the Jordanian capital for the international Caritas meeting. Apart from the most vulnerable, even people, once members of the  middle class are suffering, who have trouble and feel shame at having to seek help from charitable institutions,” observed the Bishop of Syria’s second largest city, the scene of violent clashes that led to the closure of more than 80% of the jobs that existed before the conflict.
For this reason, the Jordanian king has called for the opening of humanitarian corridors in the country to improve the living conditions of the Syrian population and to reduce the influx of refugees headed for the Hashemite Kingdom.
This year, the summit in Amman is being attended by more than 40 bishops, priests and heads of the various national structures. The meeting was also attended by auxiliary Chaldean bishop of Baghdad Shlemon Wardouni, President of Caritas Iraq, and Cardinal Robert Sarah, and the Pontifical Council Cor Unum.

20 febbraio 2013

Mar Louis Raphael I Sako: il rapimento è un peccato grave agli occhi di Dio

By Baghdadhope*

Con un comunicato ufficiale il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Louis Raphael I Sako, si è appellato ai rapitori di Yousef Sha'ya, rapito due giorni fa a Kirkuk, la città di cui Mar Sako è stato arcivescovo fino alla sua recente nomina a patriarca. 
Yousef Sha'ya, si legge nell'appello, è un uomo di ottanta anni che non ha nessun rapporto con la politica e che ama la sua città tanto da esservi tornato per trascorrervi il resto della sua vita dopo aver vissuto all'estero. 
Il rapimento, continua il comunicato, è un peccato grave per ogni religione e di esso si dovrà rendere conto a Dio. La speranza è che questa pratica inaccettabile per l'essere umano possa avere fine.
Inizia così il compito del nuovo patriarca che non dovrà solo riorganizzare la chiesa caldea passata attraverso anni difficilissimi, quanto occuparsi della situazione tutt'altro che stabile del paese. Dei rapimenti, ad esempio, che sebbene diminuiti rispetto a qualche anno fa continuano a fare vittime, molte delle quali innocenti. Degli attentati che ancora provocano morte e distruzione. Della fuga verso l'estero di cittadini che non sopportano più di vivere nel pericolo e nell'incertezza del futuro. Di tutte quelle cose, insomma, di cui i media non parlano più come se l'Iraq fosse improvvisamente diventato un paese "normale".Tra un mese, quando ricorrerà il decimo anniversario dell'ultima guerra all'Iraq, quei media ricorderanno Baghdad sotto le bombe e probabilmente valuteranno se era o meno il caso di scatenarvi l'inferno, se non sarebbe stato il caso di valutare altre ipotesi, o di pensare prima a cosa sarebbe successo alla caduta del regime.
Resterà da vedere da che punto di vista lo faranno. Valuteranno i costi della guerra dal punto di vista dei soldati della coalizione morti in battaglia? O di quelli di cui non si conosce il numero che in quella guerra sono rimasti feriti o mutilati? Ci diranno quanti sono i soldati che vi hanno perso la testa?
Ma soprattutto: parleranno degli iracheni? Di quelli morti e di quelli profughi in patria o all'estero? Di quelli che non saranno mai curati per la Sindrome Post Traumatica da Stress perchè non ci sono abbastanza psicologi ed esperti in Iraq? Dei bambini che ancora oggi nascono deformi per l'uso di armi vietate nel 1991 ed ancora nel 2003?
Ci racconteranno le storie di chi in tutti questi anni ha resistito al terrore, alle minacce, alla violenza?
Forse si. Per adesso però gli iracheni sono soli a combattere.
E se non hanno altre armi lo fanno con le parole.
Proprio come il patriarca caldeo con il suo appello ai rapitori dell'anziano di Kirkuk.

19 febbraio 2013

Arriva la rivendicazione della serie di sanguinosi attacchi ieri in Iraq: gruppo affiliato a al Qaeda


Lo Stato Islamico dell'Iraq, gruppo affiliato ad al-Qaeda, ha rivendicato gli ultimi attentati contro la comunita' sciita a Baghdad e costati la vita ad almeno 28 persone. 13 le autobomba esplose in 6 diversi quartieri lunedì. Ieri anche l’attacco contro un oleodotto nella raffineria di Baji. Nell'intervista di Cecilia Seppia, la preoccupazione di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:

La situazione non è facile. E’ una situazione molto dolente, terribile, perché ormai non c’è alcuna sicurezza da noi.
Tredici autobombe esplose solo a Baghdad, in quartieri a maggioranza sciita. Quindi, ancora una volta, dietro a queste azioni c’è la faida perenne, la lotta per il potere tra sunniti e sciiti…
Bisogna allontanarsi dagli interessi personali, partigiani, anche religiosi e confessionali. Questo solo il Signore lo potrebbe fare: dare la grazia, affinché possano vedere solo il bene dell’Iraq e la tranquillità del popolo iracheno.
I sopravvissuti a queste esplosioni, avvenute per lo più in mercati e quindi in zone molto frequentate, hanno riferito di uno scenario di guerra. Come stanno reagendo le autorità e soprattutto la Chiesa, anche nei confronti dei fedeli: cosa si dice loro per incoraggiarli, per tranquillizzarli?
Certamente il governo è a disagio: tutto questo non è certo buono per la sua stabilità, per il suo operato. Questa cosa non finirà! Bisogna avere uno spirito di sacrificio, bisogna avere uno spirito capace di allontanarsi dagli interessi personali: tutti vogliono solo il bene personale… Questo è egoismo! D’altra parte siamo in Quaresima e noi preghiamo per la pace. Non abbiamo nient’altro: i nostri fedeli soffrono; i nostri cittadini soffrono; i nostri bambini soffrono; gli anziani, i malati e i giovani soffrano. Perciò chiediamo la grazia del Signore. Io dico solo: noi vogliamo la pace, allora preghiamo e cerchiamo la pace. Adesso specialmente, in questo periodo di Quaresima, noi diciamo ai nostri fedeli di pregare, di andare avanti con fiducia nel Signore.
Come stanno vivendo i cristiani questo momento in Iraq: qual è la situazione, la condizione dei cristiani, che sappiamo essere una minoranza nel Paese?
Non ci sono azioni particolari contro i cristiani. Certamente tutto questo influisce sull’ambiente generale del Paese. Purtroppo il fenomeno dell’emigrazione è ancora in atto, perché vedendo queste disgrazie, si domandano: chi garantisce la nostra vita? Chi garantisce la sicurezza della nostra famiglia?

Giordania. Il direttore della Caritas: La visita del cardinale Sarah mostra la sollecitudine di tutta la Chiesa per i profughi siriani”

By Fides

“Solo in Giordania, i profughi fuggiti dalla Siria sono 380mila, e continuano a aumentare di giorno in giorno. La visita del cardinale Robert Sarah testimonia la sollecitudine di tutta la Chiesa davanti a questa emergenza umanitaria immane, che non possiamo affrontare solo con le nostre forze”.
Così dichiara all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania, commentando la trasferta nel Regno Hashemita del cardinale Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Nella giornata di oggi il cardinale Sarah incontra duecento famiglie di profughi siriani presso la parrocchia cattolica latina di Zarqa. Domani il Porporato aprirà ad Amman i lavori dell'assemblea annuale dell'organismo regionale di collegamento tra le 17 agenzie nazionali Caritas del Medio Oriente e del Nord Africa (Caritas MONA), proponendo alcune riflessioni relative al Motu Proprio Intima Ecclesiae natura, il documento pontificio sul servizio della carità pubblicato lo scorso 1° dicembre.
Quest'anno, al summit delle Caritas del Medio Oriente e del Nord Africa saranno presenti più di 40 tra vescovi, sacerdoti e responsabili laici e religiosi delle diverse strutture nazionali. All'incontro è annunciata la partecipazione del vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, e del vescovo caldeo ausiliare di Baghdad Shlemon Wardouni, presidente di Caritas Iraq. Domani pomeriggio i lavori dell'Assemblea punteranno l'attenzione sull'emergenza siriana, cercando di definire strategie coordinate davanti alle urgenze umanitarie e assistenziali collegate al conflitto. Domani è previsto anche un incontro di tutti i partecipanti al summit con il Re Abdallah II di Giordania.

15 febbraio 2013

A Baghdad il nuovo patriarca caldeo. S.B. Louis Raphael I Sako

By Baghdadhope*

Accolto all'aeroporto dal Nunzio Apostolico Mons. Giorgio Lingua e dai due vicari patriarcali, Mons. Shleimun Warduni e Mons. Jacques Isaac il nuovo patriarca della chiesa caldea, S. B. Louis Raphael I Sako è giunto ieri a Baghdad.  
Dopo il pranzo consumato nella sede del patriarcato il patriarca si è trasferito nella chiesa di San Giuseppe nel quartiere centrale di Karrada dove si è svolta la cerimonia di benvenuto cui hanno partecipato diverse personalità del mondo politico, civile e religioso cristiano e musulmano.
Tra i prelati presenti oltre al già citato Nunzio Apostolico ed ai due Vicari Patriarcali c'erano, il Patriarca Emerito della chiesa caldea, Cardinale Emmanuel Delly; Mons. Bashar M. Warda, arcivescovo caldeo di Erbil; Mons. Emmanuel Dabaghian, vescovo armeno cattolico di Baghdad; Mons. Ephrem Yousef Abba vescovo siro cattolico di Baghdad, Mons. Athanase Matti Matoka, vescovo emerito siro cattolico di Baghdad e diversi esponenti delle altre chiese presenti in Iraq.
Secondo quanto riportato da Ankawa.com nel discorso di benvenuto Mons. Giorgio Lingua ha sottolineato come il compito del neo patriarca sia una "grossa sfida"; sfida alla quale S.B. Sako ha risposto affermando di voler lavorare "per il bene della chiesa, dei cristiani e dell'Iraq"
Lavorerà, ha aggiunto il patriarca, con tutti i cristiani rimasti in Iraq, componente viva del paese a dispetto del loro numero, con i sacerdoti per rinnovare la chiesa, con le chiese sorelle così come con i sunniti, gli sciiti e gli esponenti delle altre religioni in nome della coesistenza e dell'essere non concittadini ma fratelli.

14 febbraio 2013

Il neo patriarca caldeo si rivolge a tutti gli iracheni: dialogo fondamentale

By Baghdadhope*


Ai miei amati fratelli: i vescovi, i sacerdoti, i  monaci, le suore, le figlie ed i figli della chiesa caldea, i capi delle chiese cristiane in Iraq, i fratelli musulmani ed i fratelli sabei e yazidi, così come ai cari fratelli iracheni:
“As Salamu makum” “La pace sia con voi”
Con queste parole che nella loro brevità già contengono l'invito al dialogo ed alla riconciliazione inizia il primo messaggio di
S.B. Mar Louis Raphael I Sako in qualità di nuovo Patriarca della chiesa caldea.
Un messaggio che contiene, nei suoi punti numerati, l’agenda del suo patriarcato già anticipata in alcune delle interviste rilasciate subito dopo la sua nomina a Roma lo scorso 1 febbraio ma che ora, pubblicata in arabo, sarà davvero accessibile a tutti i fedeli della chiesa caldea ed agli iracheni in generale.
Il primo punto è quello relativo alla necessaria riorganizzazione della chiesa caldea sulle basi dei canoni ecclesiastici che sarà discusso durante il Sinodo che si terrà a giugno a Baghdad.
Il secondo punto è l’apertura verso  le chiese sorelle ed in special modo nei confronti della chiesa Assira dell’Est attraverso il dialogo a favore dell’unità.  
Non meno importante il dialogo interreligioso trattato al punto tre che si basa sull’appartenere – cristiani e musulmani – alla stessa terra, alla stessa cultura ed alla stessa storia. Cristiani e musulmani che devono collaborare per consolidare la coesistenza ed i valori della pace, della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza sulla base della comune cittadinanza e dei diritti umani perché “Religione e patria sono per tutti” e perché “Noi cristiani vogliamo vivere nel nostro paese senza discriminazioni”.
Alla classe politica è indirizzato il quarto punto dell’agenda del patriarca caldeo. L’appello è infatti ai politici arabi, curdi e turcomanni perché collaborino a favore della nazione, della sua unità e sovranità e lo facciano attraverso il dialogo e la negoziazione. Un punto, il quarto, che si conclude con parole certamente nel cuore di molti se non di tutti gli iracheni:  Basta sangue.. basta distruzione.
Altri appelli di S.B. Sako sono contenuti in un’intervista ad Almadapress, come quello perchè le proteste contro il governo delle ultime settimane siano pacifiche in nome dei dieci anni di terrore e di uccisioni in cui si spera di non ripiombare, quello agli studiosi e religiosi musulmani perché parlino con una sola voce in cui prevalga il messaggio di pace, di tolleranza e di perdono, ed infine quello ai politici iracheni perché non provochino discordia ed odio affidandosi al dialogo per preservare l’unità del paese. 
Ciò che sta accadendo in Iraq, ha detto il patriarca caldeo riferendosi agli scontri tra governo e popolazione che in queste ultime settimane hanno infiammato parecchie regioni del paese “è molto triste perché l’Iraq è terra di civilizzazione, tolleranza e dialogo e non di autobomba, uccisioni e bombardamenti.”
Non c'è stato giorno, da quando il 7 febbraio il Patriarca ha fatto ritorno in Iraq dopo la sua nomina,
in cui non siano risuonate nei suoi discorsi le parole tolleranza e dialogo. Ad Erbil dove è stato accolto, ad Ankawa nella chiesa dove i fedeli lo hanno salutato, nel Seminario Maggiore caldeo ed al Babel College che ha visitato, a Kirkuk ed a Sulemanya  da dove si è congedato dopo dieci anni come arcivescovo prima di trasferirsi, proprio oggi, nella sede patriarcale di Baghdad dove alle 17.00 ora locale si terrà una grande celebrazione in suo onore nella chiesa di San Giuseppe, in attesa della cerimonia di intronizzazione che, come confermato da Monsignor Shleimun Warduni, vicario patriarcale, si terrà il giorno 6 di marzo. In tempo per permettere a S. B. Sako di partecipare alla messa a Roma per l'inizio del pontificato del Papa che verrà eletto dal prossimo conclave.

Il dramma senza fine dei cristiani iracheni


«A dieci anni dall’inizio della guerra, quasi nulla è cambiato». Queste le parole di monsignor Amel Shimon Nona ad Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’arcivescovo caldeo di Mosul, città nel Nord dell’Iraq, si fa portavoce della completa perdita di speranza dei suoi fedeli, stanchi del perpetuarsi di tensioni, instabilità e insicurezza.
In questo decennio le divisioni tra i vari gruppi etnici e religiosi si sono acutizzate. «E ora tutti gli attori sociali sono schierati gli uni contro gli altri». La frammentazione della società e la mancanza di un’identità nazionale irachena si riflette anche nella composizione dei partiti politici, fondati in base all’appartenenza etnica e religiosa. «Una situazione che noi cristiani subiamo più degli altri, perché non esistono schieramenti che tutelino i nostri interessi. Il nostro unico strumento di difesa è la coesistenza pacifica.
»
L’arcivescovo riferisce ad ACS di come a Mosul il livello di sicurezza sia rimasto pressoché invariato negli anni. Le attività pastorali e le celebrazioni hanno tuttora luogo soltanto nelle Chiese e in alcuni locali parrocchiali. Inoltre monsignor Nona è costretto ad evitare la talare vescovile per far visita ai fedeli in alcune zone particolarmente difficili della città. «A volte devo nascondermi un po’, ma non ho mai cercato vie più sicure. Voglio percorrere le strade normali, le stesse battute ogni giorno dai miei fedeli per andare a scuola o al lavoro».
A Mosul il 2013 si è aperto con le proteste antigovernative dei gruppi sunniti, scesi in piazza per esprimere il proprio dissenso in vista delle consultazioni provinciali del prossimo aprile. Sono seguiti scontri e violenze che hanno colpito anche la minoranza cristiana. Un nuovo colpo per le speranze dei cristiani che il 24 dicembre scorso, per la prima volta dal 2003, avevano potuto celebrare la messa di sera. Negli ultimi anni in molte città irachene la messa della vigilia si è tenuta di pomeriggio per ragioni di sicurezza.
«Dieci anni dopo l’inizio della guerra, l’Iraq è ancora alla ricerca di stabilità. I fedeli non credono più nel cambiamento e continuano a lasciare il Paese». Prima del 2003 i cristiani a Mosul erano circa 35mila. Oggi sono meno di 3mila. Dalla caduta del regime di Saddam l’esodo dei fedeli non ha avuto fine ed è indicativo considerare che, seppure la minoranza cristiana rappresenti appena il 2% della popolazione, l’UNHCR riferisce che il 40% del milione e 600mila iracheni richiedenti asilo nel mondo è costituito da cristiani.
E il pensiero di monsignor Nona va anche «alla dolorosa situazione» dei tantissimi rifugiati iracheni in Siria.
Guardando al futuro, l’arcivescovo di Mosul intravede nell’elezione del nuovo patriarca della
Chiesa Caldea, Louis Raphaël I Sako, una speranza di cambiamento. «Il primo passo da compiere è comprendere che le divisioni tra le chiese cristiane non portano a nulla. Abbiamo bisogno di unità. In Iraq e in altri Paesi mediorientali noi cristiani siamo rimasti in pochissimi. E per testimoniare la nostra fede dobbiamo essere uniti».

11 febbraio 2013

Altre reazioni dall'Asia sulle dimissioni di Benedetto XVI

By Asia News

Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, Patriarca caldeo d'Iraq. 
Benedetto XVI è stato un modello per tutti noi, cattolici e non cattolici, e dobbiamo stimarlo ancora di più per questo gesto di umiltà. Il Papa ha mostrato tutta la sua grandezza al mondo, la meraviglia dei suo animo, compiendo un passo che tutti noi dobbiamo imitare quando il fisico e lo spirito impediscono di continuare. Ha compiuto una scelta che tutta la storia ricorderà, a partire da  noi uomini del clero e della Chiesa. Troppe volte non vogliamo lasciare la sede anche quando non possiamo compiere il nostro dovere.
Il Pontefice ha ricordato una volta di più che la sede è fatta per servire, non per essere serviti. Del resto già nei giorni scorsi, quando lo abbiamo incontrato all'indomani della mia nomina a capo della Chiesa caldea, erano emerse alcune piccole modifiche al protocollo che mostravano delle difficoltà: infatti, durante il ricevimento erano previste una celebrazione, poi il discorso del Papa e del Patriarca. Stavolta ci hanno detto che non si sarebbe tenuto e da lì ho capito che era stanco e faticava a reggere il peso e la fatica del compito.  

Per l'intero articolo di Asia News sulle altre reazioni alle dimissioni di Papa Benedeto XVi clicca sul titolo del post

8 febbraio 2013

L'arrivo del nuovo Patriarca caldeo in Iraq: festa ad Erbil

By Baghdadhope*

Dopo la tappa a Vienna nel suo viaggio di ritorno in Iraq il nuovo patriarca della chiesa caldea, Louis Raphael I Sako, è arrivato ieri ad Erbil, nel nord dell'Iraq accompagnato da Mons. Shleimun Warduni, vescovo di cura patriarcale e da Mons. Mikha P. Maqdassi, vescovo di Alqosh. Ad accoglierlo in areoporto Mons. Bashar M. Warda, arcivescovo della città, e diverse personalità politiche locali e del governo curdo.
Il patriarca, festeggiato da migliaia di fedeli, si è poi recato  nella chiesa di San Giuseppe ad Ankawa, un sobborgo di Erbil, per la cerimonia di benvenuto. 
Oggi invece Mons. Sako ha visitato le istituzioni che provvedono a formare i religiosi ed i laici cristiani: il Babel College, l'unica facoltà teologica cristiana in Iraq, ed il seminario maggiore caldeo cui il patriarca ha detto che "sarà molto vicino". 
 

7 febbraio 2013

Calorosa accoglienza del nuovo patriarca caldeo a Vienna

By Baghdadhope*

La prima tappa del viaggio che ha riportato in patria il nuovo Patriarca della chiesa caldea, Monsignor Louis Raphael I Sako, è stata Vienna, città molte volte visitata dall'alto prelato nell’ambito del suo impegno a favore del dialogo ecumenico ed interreligioso.

Accompagnato da Mons. Shleimun Warduni, vescovo di curia patriarcale e da Mons. Mikha P. Maqdassi, vescovo di Alqosh, Mons. Sako è stato accolto dai fedeli caldei in Austria nella chiesa di San Benedetto dove ha officiato la Santa Messa.
A rappresentare l’Arcidiocesi di Vienna è stato
Monsignor Franz Scharl, vescovo ausiliare della città e responsabile delle comunità cattoliche non austriache.
Presenti erano anche Padre Michel Harb, Superiore della Missione Maronita a Vienna, Padre Hanna Ghnaim della chiesa cattolica greco-melkita, e  molte organizzazioni con cui il Patriarca da anni ha contatti: l’AAI (Istituto Afro Asiatico) rappresentato da Alexander Kraljic, la Fondazione Pro Oriente di cui Mons. Sako è membro, l’ICO (Initiative Christlicher Orient) con il suo presidente, Hans Hollerweger, e il CSI austriaco (Christian Solidarity International-Österreich).

Nel corso della celebrazione Mons. Sako ha ringraziato l’Austria per il suo impegno a favore degli iracheni cristiani e soprattutto il Cardinale di Vienna, S. E. Christoph Schönborn, le organizzazioni umanitarie che hanno operato  a loro favore ed anche tutti i cattolici austriaci che hanno dato aiuto “non solo a parole ma con i fatti.”
Uno speciale ringraziamento è anche andato ai fedeli caldei che vivono in Austria e che sono rimasti legati alla loro chiesa ed ai valori tradizionali e che possono giocare un ruolo importante nella evangelizzazione della stessa Europa.
La nomina di Mons. Sako a patriarca è stata definita “Una benedizione per tutti noi” da Alexander Kraljic, Segretario Generale delle comunità afro-asiatiche e latino-americane dell’Arcidiocesi viennese, mentre Monsignor Scharl si è spinto a dichiarare di sperare che proprio Vienna possa un giorno diventare sede di una diocesi caldea.    

Fonti delle notizie: Ishtar TV
                                Ankawa.com 
                                Kathweb.at

6 febbraio 2013

Il neo patriarca caldeo torna in Iraq

By Baghdadhope*

Il nuovo patriarca della chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, sarà di ritorno in Iraq giovedì 7 febbraio. Il neo patriarca atterrerà ad Erbil, nel nord del paese, e sarà accolto dall'Arcivescovo della Diocesi, Mons. Bashar M. Warda, per una cerimonia nella chiesa di San Giuseppe. 
L'arrivo del Patriarca è stato anticipato dalle lettere di congratulazioni fattegli pervenire dal Consiglio dei Capi cristiani in Iraq, a firma del suo Segretario Generale, Monsignor Avak Asadorian, e dall'omonimo Consiglio di Terra Santa a firma del patriarca Latino di Gerusalemme, Monsignor Fouad Twal

Il Patriarca caldeo Sako: il settarismo può contagiare anche i cristiani

By Fides

Giovedì 7 febbraio, ad Erbil, il governo regionale del Kurdistan accoglierà con una cerimonia di benvenuto il nuovo Patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Sako, appena sbarcato dal volo proveniente da Vienna. Le autorità civili e religiose incontreranno e saluteranno Sua Beatitudine Sako presso la Cattedrale caldea di San Giuseppe, ad Ankawa, sobborgo della capitale del Kurdistan iracheno. La settimana successiva, dopo essere passato per Kirkuk – la città del nord Iraq di cui era Arcivescovo, prima dell'elezione patriarcale – il nuovo Patriarca si trasferirà a Baghdad, dove la presa di possesso ufficiale della sede patriarcale è fissata per il prossimo 6 marzo.
Contattato dall'Agenzia Fides, Sua Beatitudine Sako mette da parte le ipotesi - circolate negli ultimi mesi sui media - di un possibile trasferimento in America del Patriarcato caldeo: “Risiederò a Baghdad, anche perchè voglio stare in mezzo ai nostri fratelli cristiani e a tutti gli altri che lì continuano a vivere tra difficoltà e sofferenze. Come Pastori dobbiamo dare l'esempio, e non cercare la nostra sicurezza, soprattutto nel momento critico vissuto dall'Iraq. Il prossimo Sinodo della Chiesa caldea si farà a Baghdad, e ho chiesto personalmente a tutti gli altri Vescovi, compresi quelli della diaspora, di non mancare. Anche questo può essere di sostegno per i cristiani, per il governo e per tutti gli iracheni: vedere che i Vescovi caldei possono fare il loro Sinodo, e andare a salutare il Presidente e il Primo ministro, sarà per tutti un segno che la Chiesa è presente, e non bisogna per forza andare via”.
Secondo il Patriarca Sako, nell'attuale fase storica anche i cristiani rischiano di essere contagiati dal settarismo che avvelena la convivenza tra i popoli del Medio Oriente: “Adesso purtroppo si sente qualcuno che dice: sono più armeno che cristiano, più assiro che cristiano, più caldeo che cristiano. E persiste qua e là una mentalità tribale, per cui ogni villaggio punta a avere il 'suo' Vescovo o il 'suo' Patriarca. In questo modo si spegne il cristianesimo. Noi, come Vescovi, dobbiamo essere vigilanti contro queste forme malate di vivere la propria identità”. A questo proposito, il nuovo Patriarca giudica fondamentale il legame di comunione tra la Sede Apostolica e le Chiese d'Oriente: “Ho chiesto a Papa Benedetto XVI di non lasciarci soli, isolati, come in un ghetto. Le nostre Chiese, anche se sono piccole nei numeri, hanno una grande importanza per testimoniare l'universalità della Chiesa. E sono essenziali anche nel rapporto con l'Islam, con cui esse hanno convissuto da sempre”.

Patriarca Sako: dal papa un appello, Chiesa irakena "ponte" per l'incontro con i musulmani

by Dario Salvi

La Chiesa caldea deve restare "un ponte" per favorire e rafforzare il dialogo fra cristiani e musulmani in Iraq, fra cittadini di etnie diverse, oltre che fra istituzioni e politica. Questo è l'invito che Benedetto XVI ha consegnato al nuovo Patriarca caldeo, come racconta in una lunga intervista ad AsiaNews lo stesso Mar Louis Raphael I Sako, nominato il 31 gennaio scorso in sostituzione del card. Emmanuel Delly III, dimissionario per raggiunti limiti di età. Al "mini Conclave" caldeo, iniziato il 28 gennaio scorso a Roma, hanno preso parte 15 vescovi caldei, di cui sette provenienti dall'Iraq, due dall'Iran, due dagli Usa, e uno rispettivamente da Libano, Siria, Australia e Canada. L'arcivescovo di Kirkuk - anche se a breve lascerà il nord, alla volta di Baghdad - conferma l'obiettivo di "unità e collaborazione" fra i vescovi caldei, premessa necessaria per trovare un punto di contatto e dialogo con i vertici irakeni, religiosi e politici. Fra i primi traguardi da raggiungere, spiega sua Beatitudine, vi è anche la riforma della liturgia, che oggi giudica "un caos".
Il neo Patriarca, di rientro oggi in Iraq, non dimentica al contempo il dramma dei profughi cristiani irakeni, ai quali vanno fornite "le condizioni" per il rientro in patria: casa, lavoro, scuole, infrastrutture e sicurezza. Storico fautore e promotore del dialogo interreligioso, Mar Louis Raphael I si dice "molto deciso" ad aprire un tavolo di confronto con la leadership della capitale, dopo aver ricevuto gli "auguri sinceri" dei capi religiosi e dei principali leader politici e dalle massime cariche istituzionali. E la speranza che, anche nel mondo islamico, possa "restare il messaggio" portato da Maometto e "il senso che dà alla nostra vita", non i sistemi o leggi che "finiscono per soffocare le libertà.
Ecco, di seguito, l'intervista del nuovo Patriarca caldeo ad AsiaNews:
Beatitudine, innanzitutto quale augurio le ha rivolto papa Benedetto XVI nel vostro incontro dopo la nomina?
L'attenzione del papa alla Chiesa irakena mi ha profondamento colpito. Ha dedicato del tempo a ciascuno di noi vescovi. Ho voluto ringraziarlo per la vicinanza e la preghiera e, in tono scherzoso, gli ho detto che "mi sento male" con questo rosso addosso (nella foto), non ci sono abituato. Benedetto XVI ha ribadito che continuerà a pregare per noi e si è detto "molto contento" per l'unità che è emersa all'interno dell'episcopato caldeo, una unione di intenti che è emersa anche in occasione del voto per l'elezione del Patriarca. Dunque, anche questo è un aspetto molto positivo e importante per una Chiesa che, fino al recente passato, era divisa. Abbiamo fatto una due giorni di incontri fra noi, con tutti i vescovi: si è parlato della situazione in Iraq, della pace e della sicurezza. Il Papa mi ha infine rivolto un appello, perché restiamo sempre - come in passato - un ponte per tutti, fra cristiani e musulmani e fra cittadini irakeni. Tra l'altro gli ho portato i saluti di due imam, uno sciita e uno sunnita, e lui è rimasto piacevolmente sorpreso e ha ringraziato. Direi che non ci sono stati grandi discorsi, ma è emerso il cuore; ciò che diceva, gli sgorgava dal cuore e non dalla penna.   

Anche nel nuovo incarico di Patriarca lavorerà - come in precedenza da vescovo -  per l'unità dei cristiani caldei?
Il valore dell'unità è necessario per i cristiani e per il tutto il Paese, perché non si può promuovere l'unità di un gruppo se tutti gli altri sono divisi. Certo è che una visione comune fra i cristiani può aiutare ed essere funzionale all'unità della nazione. Se saremo un solo corpo, con una posizione unitaria, potremo anche diventare un ponte per aiutare gli altri all'unità e al dialogo. I recenti attacchi nel Paese, gli attentati a Kirkuk, Mosul e Baghdad sono di matrice politica; per questo li ho sempre voluti condannare con forza. Anche perché, come avvenuto nei giorni scorsi nel nord (attentato a Kirkuk contro una sede della polizia con decide di vittime, ndr) in tutte le stragi sono sempre le persone innocenti le prime a morire. 
Altro problema annoso, l'esodo dei cristiani: qual è la situazione e cosa intende fare per arginarlo?
La situazione è critica e, ancora oggi, resta molto difficile. In questi giorni ho ricevuto moltissimi telegrammi: dal capo dello Stato, dal governo, dai ministri, dal presidente del Parlamento, dai leader religiosi musulmani (sunniti e sciiti) e tutti concordano nel dire che bisogna fare qualcosa per fermare o almeno frenare l'esodo dei cristiani. In questi giorni a Roma abbiamo fatto due incontri con tutti i vescovi presenti, parlando delle vie percorribili per frenare nel concreto questo esodo.
Prima di tutto è necessario andare a visitare e aiutare questi profughi in Siria, Libano, Giordania e Turchia. Al contempo, bisogna cercare un punto di incontro con i responsabili del governo del Kurdistan e stabilire condizioni in base alle quali i cristiani potranno tornare nella loro terra. Le premesse necessarie sono il fatto di fornire loro una casa, il lavoro, le scuole, le infrastrutture; tutto questo serve. E poi restituire loro fiducia nel
Paese, perché è proprio questo ciò che la gente ha perso: fiducia e speranza.

Quali direttive vuole dare da Patriarca alla Chiesa irakena: quali riforme sono urgenti e necessarie?
Prima di tutto la liturgia, che è un caos nella Chiesa Caldea. Prendiamo, ad esempio, la messa: ogni diocesi ha il suo messale, ogni prete celebra in una maniera diversa dall'altro. Avere una liturgia comune e riformata, unica per tutta la Chiesa ...  questo è un progetto al quale tengo molto. Con questo non voglio dire che no ci saranno libertà per le singole diocesi, ma su un punto non si può prescindere: che vi sia la medesima messa a Baghdad, a Kirkuk, nel Kurdistan e anche in tutta la diaspora caldea nel mondo. Se anche è tradotta nella lingua nazionale o locale non ci sono problemi, purché rimangano delle norme liturgiche da rispettare; anche questo diventa un elemento di unità.
Come dice San Giovanni Crisostomo, "la liturgia è per l'uomo" e non è l'uomo che deve restare subordinato alla liturgia. Vi è un movimento fra noi che vuole che la liturgia sia rigida, come se fosse la "Parola di Dio", ma non è così! Dunque, la riforma o, per meglio dire, l'aggiornamento è assolutamente necessario affinché la gente possa capire cosa avviene durante la celebrazione, che resta una festa, e i fedeli devono poterla comprendere appieno.

In tema di rapporti con l'islam, intende proseguire il cammino di dialogo avviato a Kirkuk?
Nel nord abbiamo avviato un dialogo intenso, non dimenticherò gli anni trascorsi a Kirkuk e il lavoro svolto, anche se ora il mio nuovo incarico mi porterà a Baghdad. Dalla capitale cercherò di dialogare col governo, mettere insieme sciiti, sunniti, curdi, arabi e turcmeni. Sono molto deciso ad aprire un dialogo con le autorità e i vertici di Baghdad, che hanno un peso maggiore rispetto ai leader di Kirkuk. Il terreno è preparato: loro mi hanno fatto gli auguri tramite televisione ed email,  penso che sia possibile un dialogo disinteressato, schietto e sincero. Perché c'è anche da parte loro amore e rispetto. Oltre alla consapevolezza che noi cristiani siamo in Iraq anche per i nostri fratelli musulmani. La religione è una cosa, mentre la cittadinanza è altro e diverso dalla fede.
Sarà possibile arrivare, un giorno, al concetto di "laicità dello Stato" anche nei Paesi musulmani?
Penso che sia molto difficile, perché hanno una concezione negativa e peggiorativa dello Stato laico, rispetto alla accezione che si dà nell'Occidente. Esso viene in qualche modo percepito come un annullamento ed equivale, in buona sostanza, ad uno Stato ateo che non è concepibile né ammissibile. Forse una società civile che rispetta la religione, senza mescolarla con la politica, potrebbe costituire un punto di forza.
Beatitudine, in questo "Inverno arabo" come lo ha definito lei di recente, quali prospettive emergono per il Medio oriente e i Paesi arabi?
All'inizio si è prospettata la possibilità di una Primavera araba per tutti, fatta di libertà, progresso, felicità e un cambiamento netto anche nella politica. Tuttavia, non si è trattato di un movimento organizzato e altri ne hanno approfittato. Ora l'obiettivo è creare nazioni e Stati fondati sulla Sharia, la legge islamica, ma è un'idea anti-storica: non è possibile vivere in uno Stato religioso, che considera tutti uguali nell'osservanza dell'unica fede, in un'epoca di pluralismo e di affermazione di anime diverse. Non è possibile annichilire la diversità sotto un unico manto dettato dalla religione. Resta il fatto che questa Primavera sognata dai promotori diventa sempre più un "terribile inverno".

Quindi la vera sfida consiste nel far dialogare le diversità...
Penso che coloro che vogliono uno Stato musulmano come nel VII secolo si sbagliano, perché non è possibile. Se sono sinceri con lo spirito dell'islam, devono distinguere - come hanno fatto i cristiani nel tempo - il messaggio, l'essenziale per la gente di oggi, dai canoni, dalla legge. Il messaggio è una cosa, la norme dettate dalla Sharia invece sono tutt'altro. Queste leggi che erano buone per la gente del VII° secolo, oggi non funzionano più e non si possono applicare allo stesso modo. Deve invece restare il messaggio, il senso che dà alla nostra vita e non i sistemi che finiscono per soffocare le libertà.

5 febbraio 2013

Siria: opposizione apre a dialogo con governo. Mons. Audo: serve ogni cosa, siamo allo stremo

By Radiovaticana

Il capo dell’opposizione siriana al Khatib ha aperto al dialogo, ma non con Assad. L’attenzione del leader in esilio è tutta rivolta al vice-presidente Faruq al Sharaa. Intanto le truppe governative hanno dichiarato di aver ripreso il controllo della cittadina chiave di Daraya, nei pressi di Damasco. Fra le località più colpite dal conflitto anche Aleppo.

Sulla situazione nella città siriana sentiamo, al microfono di Manuella Affejee, il vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo:

Abbiamo perduto la sicurezza e quando si perde la sicurezza si perde tutto. Tutti siamo divenuti poveri: senza lavoro, senza elettricità, senza riscaldamento … la situazione è veramente molto dura per la gente. Speriamo di trovare una soluzione a queste prove.
Come presidente della Caritas, cosa fa per aiutare la gente?
Ci sono tanti programmi che riguardano tutta la Siria. La Siria è divisa in sei regioni: Damasco, Aleppo, Homs, Horan, Jazeree e Latakia e Tartus. La prima cosa, adesso, la priorità è il cibo: è molto importante dare da mangiare, perché tutto è caro. La seconda cosa è la salute: medicinali e interventi chirurgici. La terza cosa, ora che è inverno: servono abiti per bambini, la scuola … Ecco, ci sono tanti programmi che operano su tutto il territorio della Siria.
Un suo pensiero sull’elezione di mons. Sako a Patriarca dei Caldei …
E’ un patriarca che è un vero iracheno, un vero caldeo, che ha vissuto per dieci anni a Kirkuk facendo un buon lavoro sia nella Chiesa sia nella società: ha creato canali di comunicazione tra arabi e curdi e turchi, e questa è l’immagine dell’Iraq. Penso che come Patriarca, a Baghdad, potrà fare ancora di più!
 

Chaldéens : les convictions de Mgr Sako

By Zenit
04/02/2013

« Renouveau, authenticité, unité » : c’est la devise patriarcale de Mgr Louis Sako, nouveau patriarche de Babylone des Chaldéens. Il en explique le sens et exprime son engagement pour le dialogue, sur Baghdadhope.
Renouveau, authenticité et unité 
Par « authenticité », le patriarche entend la « nécessité d’être vrai et sincère à l’égard de soi et des autres, d’être clair et de parler sans crainte ». Il s’agit aussi « d’être libre d’exprimer son opinion même si elle est contraire à celle de son interlocuteur », en utilisant cependant « la délicatesse et le tact nécessaire afin que la critique devienne constructive ».
« L'unité », ajoute-t-il, « doit être poursuivie au niveau personnel, ecclésiastique, œcuménique et interreligieux ». Mgr Sako insiste sur la nécessité du « dialogue », qui est « l’unique chemin à opposer à la violence » et l’unique chemin « d’avenir pour nous ».
Enfin, le « renouveau » implique « beaucoup d’engagement », estime-t-il : il préconise une attention spéciale à la formation « qualitative » du clergé, comme « inspirateur et porteur de dialogue, dans l’Eglise et à l’extérieur », mais aussi une attention « à la figure du laïc dans l’Eglise, qui est partenaire et doit devenir toujours plus partie intégrante des conseils pastoraux et diocésains ».
Mgr Sako souhaite par conséquent que « les barrières tombent entre clergé et laïcs » et que soit effacée « toute trace de cléricalisme lié à des traditions respectables mais anciennes ».
Dans l’esprit de sa devise, le patriarche désire être « simple et direct », et non pas « élever des barrières ». Même sa tenue vestimentaire sera simple : Mgr Sako ne portera par le "Shash", couvre-chef typique du clergé chaldéen.
Pour un langage de grâce et de joie
Le patriarche appelle son Eglise à « arrêter de vivre dans le passé » et à « incarner son message dans les temps présents et dans l’homme d’aujourd’hui ».
Il cite saint Jean Chrysostome : « la Liturgie est pour l'homme et non l'homme pour la liturgie ». Concrètement, précise-t-il, si l’Eglise chaldéenne a « une ligne pastorale et spirituelle de nature orientale », elle doit cependant « s’adapter aux temps modernes avec un langage plus direct, qui n’oublie pas notre tradition « d’Eglise des martyrs » mais qui parle aussi aux fidèles de grâce et de joie, de salut et d’espérance ».
Mgr Sako se prononce en ce sens « en faveur de l’utilisation de la langue arabe dans le domaine liturgique », ce pour « parvenir plus directement aux fidèles » : il souligne la « nécessité d’être proche des gens, non seulement en utilisant un langage simple, en mesure d’être compris » mais aussi « en utilisant la langue du lieu, qui peut être l'arabe mais aussi le kurde ou le persan ».
En revanche, il se déclare attaché aux traditions, donnant l’exemple de la "Croix Glorieuse", qui orne de nombreuses églises chaldéennes : cette croix ne porte pas le Christ, mais est ornée, sur chacun des quatre segments, de « trois cercles qui représentent la Trinité », leur ensemble symbolisant « les douze apôtres », les quatre cercles à l’intersection des segments représentant les Évangélistes et le cercle central « le Christ, commencement et fin de tout ».       
Le dialogue entre chaldéens et assyriens
Le patriarche confie également son souci du dialogue entre les églises chaldéennes et assyriennes : Mar Dinkha IV, patriarche de l’Eglise assyrienne de l'Est, a été l’un des premiers à le féliciter pour son élection, se réjouit-il.
En remerciant Mar Dinkha IV, Mgr Sako s’est défini comme son « Petit frère » : « parmi mes désirs depuis l’élection, j’ai celui de lui rendre visite à Chicago, siège de son patriarcat. Malheureusement les engagements urgents ici à Rome et en Iraq ne permettent pas de réaliser ce désir tout de suite », regrette-t-il.
Mgr Sako évoque à ce sujet le courant qui s’est développé récemment, sur l’affirmation que les chaldéens sont « différents des fidèles des autres Eglises en Irak, non seulement du point de vue religieux mais aussi ethnique ».
Pour le patriarche, « c’est un argument qui devrait être étudié de manière approfondie sur des bases historiques, scientifiques et linguistiques », même si « établir si les ancêtres de chaque irakien chrétien viennent de Babylone ou de Ninive n’est pas chose facile ».
Il invite chaldéens et assyriens à ne pas tomber « dans le piège du nationalisme aveugle » : « nationalisme et fondamentalisme, quelles que soient leurs origines, sont des obstacles sur le chemin du développement et de la paix ».
« Notre Eglise est à la fois locale et universelle et des termes comme 'Chaldéen' ou 'Assyrien' sont hérités du colonialisme qui visait à diviser une communauté avec des origines communes », conclut-il.
Le patriarche souligne par ailleurs que le prochain synode abordera la question de la création d’un diocèse pour « les dizaines de milliers de fidèles qui vivent en Europe ».

Il patriarca che rinuncia al "Shash"

by Andrea Tornielli 
04/02/2013

Sako ha incontrato il Papa insieme ai membri del sinodo caldeo che lo hanno eletto. Vuole favorire l'introduzione delle lingue locali nella liturgia

«Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace».
Lo ha detto il patriarca della Chiesa caldea, Louis Raphaël I Sako, eletto lo scorso 31 gennaio dal sinodo dei vescovi caldei riuniti a Roma che oggi ha celebrato la divina liturgia nella basilica di San Pietro. Il cardinale Leonardo Sandri, che ha partecipato alla celebrazione su incarico del Papa, ha detto: «Imploriamo speciali grazie e benedizioni su di lei perché come il Buon Pastore possa asciugare le molte lacrime del popolo iracheno, e poi consolare, incoraggiare, correggere, sempre pacificare fratelli e figli ed accompagnarli nella testimonianza». Successivamente Sako, insieme agli altri vescovi, è stato ricevuto da Benedetto XVI.
Il nuovo patriarca è stato intervistato
da Baghdadhope

Dalle parole di Sako emerge bene l'identikit di un pastore aperto, che vuole rilanciare il dialogo. Spiegando il suo motto patriarcale che contiene le parole autenticità, unità e rinnovamento, il pastore della Chiesa caldea ha detto: «La prima parola del motto è autenticità e con essa intendo la necessità di essere veri e sinceri nei confronti di se stessi e degli altri, essere chiari e parlare senza timori. Essere liberi di esprimere la propria opinione anche se contraria a quella del nostro interlocutore usando però la delicatezza ed il tatto necessari affinché la critica diventi costruttiva».
«Per quanto riguarda l'unità - ha aggiunto - anch'essa deve essere perseguita a livello personale, ecclesiastico, ecumenico ed interreligioso e per farlo - non mi stancherò mai di ribadirlo - è necessario il dialogo che è l'unica via da opporre alla violenza e perché solo in esso c'è per noi futuro. Per quanto riguarda il rinnovamento sarà necessario molto impegno. Bisognerà porre attenzione alla formazione sì quantitativa, ma soprattutto qualitativa, del clero insistendo sul suo compito di "ispiratore e portatore" di dialogo, interno alla chiesa ed all'esterno di essa. Bisognerà dare maggiore attenzione alla figura del laico nella chiesa, laico che è partner e deve diventare sempre più parte integrante dei consigli pastorali e diocesani. Perché questo partenariato funzioni devono cadere le barriere tra clero e laici eliminando ogni traccia di clericalismo legato a tradizioni rispettabili ma antiche. Si deve, insomma, smettere di vivere nel passato. Il messaggio della Chiesa deve essere incarnato nei tempi presenti e nell'uomo di oggi».
Significative anche le parole del patriarca sulla liturgia: « Come diceva San Giovanni Crisostomo: "La liturgia è per l'uomo" e non l'uomo per la liturgia. Noi siamo orientali e come tali abbiamo una linea pastorale e spirituale di natura orientale che però deve adeguarsi ai tempi moderni con un linguaggio più diretto che non dimentichi le nostre tradizioni di "Chiesa dei martiri" ma che parli al fedele anche di grazia e di gioia, di salvezza e speranza».
Rispondendo a una domanda sull'introduzione della lingua araba nella liturgia, Sako ha detto: «Noi tutti siamo legati e rispettiamo le tradizioni e la nostra storia proponendone in alcuni casi addirittura il recupero... Rispetto delle tradizioni, dunque, ma allo stesso tempo necessità di essere vicini alla gente non solo usando un linguaggio semplice in grado di essere compreso quanto anche nell'uso della lingua del luogo che può essere l'arabo ma anche il curdo o il persiano. La Buona Novella deve rinnovarsi».
Infine il nuovo patriarca ha risposto a una domanda sulle «spinte nazionalistiche» che soprattutto negli ultimi dieci anni hanno lacerato la chiesa caldea, con riferimento  al diffondersi dell'atteggiamento che vuole i caldei diversi dai fedeli delle altre chiese in Iraq non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello etnico.
«E' un argomento - ha detto Sako - che dovrebbe essere studiato approfonditamente su basi storiche, scientifiche e linguistiche ed in ciò la Chiesa ed i laici possono dare un gran contributo. La nostra chiesa è allo stesso tempo locale ed universale e termini come 'caldeo' o 'assiro' sono retaggi del colonialismo che mirava a dividere una comunità con origini comuni... Nazionalismo e fondamentalismo da qualsiasi parte traggano origine sono ostacoli sulla via dello sviluppo e della pace».
Sako, dopo aver preannunciato una riorganizzazione delle diocesi caldee e la possibilità di crearne una in Europa, ha anche detto che non intende indossare lo "Shash", il tipico copricapo un tempo portato dal clero caldeo, che consiste una sorta di turbante: «Mi sembra una tradizione antica e legata al folklore locale. Voglio essere semplice e diretto, non alzare barriere nei confronti di nessuno ed anche un certo modo di vestire in un certo senso è una barriera. Niente Shash, magari qualcosa di più semplice».