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20 dicembre 2011

Iraq, mons. Nona: «I cristiani non si sentono più figli di questa terra»


«Eravamo così felici di preparare il Natale in modo sereno, le cose stavano andando abbastanza bene. Poi due settimane fa hanno ucciso una coppia di cristiani semplici e poveri, senza motivo, e per questo la festa non sarà più come prima. Anzi, molte famiglie dopo quanto accaduto se ne andranno di qui».
L'arcivescovo di Mosul, mons. Amel Nona, racconta a Tempi.it il dolore e lo sconforto che i cristiani iracheni vivono a Mosul dopo l'assassinio di una giovane coppia, che ha lasciato orfani due bambini di 3 anni e 9 mesi.
I cristiani si sentono in pericolo?
«Dopo i fatti delle ultime settimane, tutti i cristiani in ogni parte dell’Iraq sanno di non essere al sicuro: non si sentono figli di questa terra, percepiscono che gli altri non li vogliono. Questo è il sentimento che vivono tutti, non sto dicendo che sia vero che non siamo voluti ma sentiamo questo. Dopo nove anni le uccisioni continuano, anche in una zona sicura come il Kurdistan, e per questo non ci sentiamo sicuri per il futuro. Soprattutto ora che gli americani se ne sono andati».
Siete preoccupati?

«Da una parte tutti gli iracheni sono contenti che gli americani se ne siano andati via, perché li hanno sempre visti come la causa del caos che invade il paese. Però dall'altra parte c’è molta paura. Ora non sappiamo che cosa succederà, chi guiderà l’Iraq? Ci sono tanti problemi che restano aperti e irrisolti, come gli scontri fra etnie e gruppi politici o i paesi vicini all'Iraq in subbuglio».
Quanti cristiani sono rimasti a Mosul?

«In tutto ci saranno circa 1500 famiglie ma tante se ne sono andate e dopo l'uccisione di questa coppia, molte altre scapperanno»
Le celebrazioni per il Natale sono a rischio?

«Noi volevamo dire Messa la notte di Natale, sono otto anni che non la facciamo più e tutti erano emozionati all'idea. Ora però, dopo l’uccisione della coppia, sono in forte dubbio. Vediamo cosa succede in questi giorni, se avviene qualcos'altro non ci sarà sicuramente. Speriamo bene, abbiamo fiducia che non succederà nient’altro e preghiamo Dio che tutto vada per il meglio. Le feste per i bambini, però, non le cancelliamo e neanche quella di Capodanno per le famiglie, che però si svolgerà fuori da Mosul».
Gli ultimi fatti di violenza vi hanno tolto la speranza di potere tornare a vivere e professare la vostra fede in pace?«No, anche se ci sono molte difficoltà, che dovrebbero farci sfiduciare, noi continuiamo a sperare perché vivere da cristiano significa avere speranza in Dio, nella nostra terra e nella nostra gente. Dobbiamo vivere la nuova umanità che Gesù ci insegna in qualunque situazione. E lo preghiamo per i nostri fratelli e sorelle che sono stati uccisi e per tutte le famiglie povere, che restano qui perché non possono andare nelle parti d’Iraq più sicure. Dio voglia che il nostro paese ritrovi la pace».