Pagine

8 luglio 2011

Turchia. Piccoli gesti di speranza Gli incontri tra giovani francesi e rifugiati iracheni a Istanbul

By SIR

Rifugiati iracheni a Istanbul: è uno dei reportage presentati dalla rivista della Chiesa cattolica turca, "Presence", nell'ultimo numero di giugno-luglio. La Turchia è un Paese di accoglienza per un buon numero di cristiani, tra loro ci sono anche 4600 rifugiati iracheni che vivono per la gran parte a Istanbul, dove si sono rifugiati per fuggire dalla violenza settaria che dal 2003 ha pressoché ridotto del 50% l'antica presenza delle comunità cristiane. Gli iracheni in Turchia rischiano di attendere molti anni prima emigrare verso altri Paesi.
Nel Paese della Mezzaluna non hanno assistenza sanitaria, permessi di lavoro e diritto allo studio. In Turchia bisogna per legge registrarsi presso gli uffici della polizia entro 10 giorni dall'arrivo e richiedere agli uffici dell'Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr) un documento che certifichi lo status di rifugiati. Fino al rilascio del documento i profughi sono considerati come "richiedenti asilo", mentre coloro che non si registrano o non fanno domanda di asilo rimangono immigrati senza documenti. In molti casi queste persone, che la guerra ha portato in Turchia, a Istanbul vivono di piccoli lavori o di carità quando in Iraq erano benestanti, con titoli di studio e proprietà che ha dovuto vendere, o meglio svendere, per poter fuggire dalla violenza.

Un centro di accoglienza. Ad occuparsi di loro è il vicario patriarcale caldeo di Diyarbakir, mons. François Yakan che ha creato un centro di accoglienza dove offre diverse tipologie di aiuto: dal riempire i moduli di iscrizione per l'Unhcr, trovare un alloggio, provvedere ai più elementari bisogni, fino ad organizzare dei corsi di lingua turca, scolarizzare i bambini fino a pagare le spese più urgenti. Ma per fare tutto ciò mons. Yakan deve girare l'Europa in cerca di fondi e di aiuto perché qualche Stato prenda in carico qualcuna di queste famiglie. E tra un battesimo ed una prima comunione il vicario trova anche il tempo di celebrare una messa in qualche sperduto villaggio dell'interno dove vive qualche isolata famiglia di rifugiati cristiani e di riaprire, nello scorso maggio, l'antichissima chiesa, risalente al IV secolo, dedicata a sant' Hormisda, uno dei patroni della chiesa caldea.

Una parrocchia mobilitata. A Istanbul le famiglie irachene risiedono in gran parte in appartamenti siti nel quartiere di Kurtulus dove i più piccoli hanno l'opportunità di seguire un insegnamento bilingue (arabo e inglese) nella scuola Don Bosco, diretta dai salesiani della cattedrale dello Spirito Santo. In aula ci sono professori che non contenti di insegnare le materie necessarie si prodigano anche per cercare di migliorare la vita quotidiana di questi loro alunni. È nata anche da qui la voglia di molti giovani, soprattutto di lingua francese figli di lavoratori stranieri a Istanbul, e catechisti che frequentano la parrocchia locale di san Luigi dei Francesi, di mobilitarsi a favore dei piccoli rifugiati.

Un'esperienza di condivisione. Un primo contatto è avvenuto il 12 dicembre, in Avvento, scorso quando giovani hanno partecipato ad una messa in aramaico con la comunità irachena rimanendone impressionati positivamente per la ricchezza liturgica e del rito. A questo incontro ne è seguito un secondo, diviso in due momenti: la festa di Martedì Grasso, con maschere, musica e dolci seguita dall'inizio della Quaresima nel corso della quale la comunità parrocchiale si è impegnata nel donare dei libri in inglese agli amici rifugiati. La scelta di regalare dei libri, ben 140 insieme a dei dizionari e a tre abbonamenti a riviste inglesi, organizzando di fatto una vera e propria biblioteca, è nata dal desiderio degli iracheni, che pure hanno bisogno di tutto ma mantengono alti l'orgoglio e la fierezza del loro popolo, di trasferirsi in Paesi anglosassoni per ricostruirsi un futuro migliore. Libri come simboli del sapere, del pensiero e della libertà che hanno senso e profondità a questo scambio di culture e di amicizia. "Per noi giovani occidentali che non soffriamo e che, soprattutto, non abbiamo bisogno di nulla, - affermano Geneviève du Parc Locmaria e Laure Accolas - l'incontro e lo scambio con dei nostri coetanei che mancano di tutto, perfino della loro Patria, è stata un'esperienza formidabile. A noi continuare sulla strada della fraternità e della condivisione".