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21 giugno 2011

Vescovi Medio Oriente: Temiamo in Siria un altro Iraq

(ASCA) - Venezia - I patriarchi ed i vescovi delle Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa sono gravemente preoccupati di quanto potrà ancora accadere nei loro Paesi, tra l'altro perché la rivoluzione, dove c'é stata, ha lasciato lo spazio a prospettive di incertezza. Le incognite più pesanti, come ha detto Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, riguardano la Siria. "Noi Vescovi di Siria abbiamo paura, perché è reale il rischio di diventare come l'Iraq" - ha affermato il presule in un ricevimento in Comune a Venezia, dove il patriarca Angelo Scola ha accompagnato i più autorevoli partecipanti al Comitato scientifico di Oasis, in corso in laguna - Quella della Siria di oggi è una questione molta complessa, perché, da cinquant'anni siamo in un regime militare, condizionato dall'ideologia del socialismo sovietico e ci si trova di fronte a un radicale cambiamento, per cui si deve sapere come dialogare e non è facile farlo nella verità. Questo, come l'abbandono della violenza, è il nostro problema di oggi. Spero che lo Stato siriano - ha concluso - sappia fare le riforme parlando nella verità. E spero che l'aiuto degli altri Paesi, come Egitto e Tunisia con la loro esperienza, ci darà una mano per uscire dalla situazione attuale salvi e nella pace".
Preoccupato anche il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria d'Egitto. "Non mi sarei mai aspettato di sentire ripetere dall'Islam ufficiale del mondo sunnita, come è avvenuto nelle ultime ore, la dichiarazione che si vuole una Costituzione che garantisca una società civile e democratica e mai passata a un gruppo religioso, di qualunque corrente esso sia. Lo sono nonostante le tante nuvole che possono apparire, che non fanno però venire meno la speranza in un futuro migliore".
Più ottimista l'arcivescovo di Algeri, Bader Ghaleb Mmoussa. "Qualsiasi cosa accada, il 2011 resterà nella storia del Nordafrica e del Medio Oriente come l'anno di svolta, perché né l'uno né l'altro saranno più come prima. In questi giorni abbiamo discusso e messo insieme molte opinioni su questi territori, essendo tutti concordi che la sfida che ci aspetta è quella di riscriverne il futuro dopo questa svolta".
Pesanti le accuse all'Italia e all'Europa dell'arcivescovo di Tunisi, Maroun Lahham. "Razzismo è una parola troppo forte; ma, senza dubbio, in Italia c'é un po' di pregiudizio nei confronti dei nordafricani: se i profughi fossero stati polacchi, le cose non sarebbero andate così. In questi giorni si parla molto di noi: in positivo per la transizione democratica, meno positivamente per il fenomeno dell'emigrazione, che ne è uno dei risultati. Il fenomeno va comunque letto in una prospettiva umana, sperando che questa transizione abbia buon esito, perché sarebbe la primissima volta che un Paese arabo-musulmano, restando tale al cento per cento, avrebbe un regime democratico, che speriamo ci aiuti ad aprire un nuovo orizzonte, sia per la presenza che per il lavoro della Chiesa in Tunisia".