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10 maggio 2011

Tagliare le radici e abbandonare l’Iraq

By Zenit

Sebbene la presenza cristiana nel Nord dell’Iraq risalga indietro nei secoli, attualmente circa l’80% dei giovani cristiani di quell’area desidera tagliare i ponti con il passato e trasferirsi in qualche posto più promettente.

Tuttavia, mons. Basile Georges Casmoussa cerca di incoraggiarli a rimanere. “Se fossimo stranieri qui in Iraq, allora ce ne andremmo”, afferma. “Ma questa è storicamente la nostra terra e il nostro Paese”.
L’Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, in pensione e attuale vescovo curiale di Antiochia, vede il sogno dei giovani di lasciare il Paese come un problema grave, anche se si dice ottimista di natura e afferma di nutrire speranze nel futuro.
Il presule ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, sul futuro dei cristiani in Iraq.
Sin dal 2004 i cristiani in Iraq hanno sofferto una feroce persecuzione, in cui hanno subito minacce, sequestri e uccisioni. Qual è la situazione di oggi in Iraq?
La situazione oggi è molto grave. Due anni fa speravamo che le cose potessero migliorare, perché la situazione a Baghdad e in altre città è migliorata. A Mosul – la più grande città del Nord dell’Iraq, considerata terra dei cristiani – la situazione è molto grave, con molti sequestri e uccisioni. Abbiamo la sensazione di non essere graditi in questa città anche se è stata la nostra casa e se ospita molte chiese e monasteri. Qui a Mosul e nelle zone circostanti è conservata gran parte della storia di noi cristiani.
Sono molti i villaggi cristiani attorno a Mosul?
Sì nelle pianure e nelle regioni montuose di Mosul. È lì che i cristiani hanno istituito la loro prima scuola, il primo centro stampa, il primo ospedale cristiano dell’Iraq ed è lì che ci sentiamo a casa. Non siamo degli stranieri lì.
Su un sito Internet del gruppo estremista Ansar Al Islam è stata pubblicata una lettera che diceva: “Il segretario generale della Brigata islamica ha deciso di dare agli infedeli crociati cristiani di Baghdad e delle altre province un ultimo avvertimento ad abbandonare immediatamente e in via definitiva l’Iraq e di unirsi a Benedetto XVI e ai suoi seguaci, che hanno calpestato uno dei più grandi simboli dell’umanità e dell’Islam... D'ora in poi non ci sarà spazio per gli infedeli cristiani.. a coloro che rimarranno verrà tagliata la gola, come sta avvenendo ai cristiani a Mosul”. È questa la situazione quotidiana per i cristiani o è piuttosto un’eccezione?
Non è un’eccezione e non è la prima volta che abbiamo ricevuto messaggi di questo tipo. Io ho ricevuto quel messaggio in arabo. È difficile leggere questi messaggi. Molte persone non ne sono neanche a conoscenza. Ma, rispetto a questi messaggi, ancora più gravi sono gli attacchi contro la vita delle persone. Se fossimo stranieri in Iraq, ce ne andremmo. Ma questa è storicamente la nostra terra e il nostro Paese. Non abbiamo un altro posto dove andare. Questo messaggio è pericoloso per il governo centrale e per i governi regionali e per tutte le persone irachene. Sappiamo che questi estremisti non hanno potere ma usano il terrore per intimidire, purtroppo però ci sono molti piccoli gruppi come questo che costituiscono una minaccia; oggi per i cristiani, domani per i musulmani.
Perché?
I musulmani non hanno una filosofia univoca e l’Islam non ha un’unica filosofia e un’unica direzione. La prima lotta è tra i sunniti e gli sciiti. A causa della lotta di potere sono state uccise molte persone e distrutte molte moschee. I cristiani non sono le prime vittime e forse non saranno le ultime, ma per noi che siamo una minoranza è molto difficile perché siamo pochi e molte persone della comunità cristiana ora stanno emigrando. L’80% dei nostri giovani sta andando via o sogna di andare via. Diventa una questione importante quando migliaia di giovani sperano di emigrare.
La grande maggioranza dei musulmani non è d’accordo con queste posizioni estremistiche. Ci può raccontare episodi di cristiani protetti da musulmani, dopo le recenti ondate di violenza?
Certo. Lo scorso anno quando i cristiani abbandonavano Mosul a causa dei bombardamenti e delle uccisioni, molti musulmani hanno presidiato le case dei cristiani. Quando questi poi sono tornati, i musulmani hanno celebrato il loro rientro con gioia, distribuendo dolci e invitandoli a mangiare con loro nelle loro case. Abbiamo molte storie di questo tipo. I musulmani stessi soffrono per via di questi estremisti. Vi è così tanta illegalità in questo nuovo Iraq e in tutti questi anni dopo l’arrivo degli americani nessuno è stato processato per le violenze e i crimini in base alla Costituzione irachena.
Quindi i responsabili delle violenze non sono stati giudicati per i loro crimini?
No. Per paura. E questo è un fatto reale in Iraq.
Nell’impossibilità di ottenere protezione dall’interno, è stato rivolto un appello alla comunità internazionale? E in tal caso, perché non vi è stata una risposta?
A mio avviso esistono molti interessi sia nella comunità internazionale sia in Iraq. Abbiamo il petrolio e il nostro petrolio è una delle nostre più grandi calamità o punizioni. Ci sono molti interessi tra l’Occidente e l’Iraq.
In secondo luogo, se parliamo di protezione militare, a mio avviso non è quello di cui abbiamo bisogno. Non c’è pace dopo una guerra; dopo distruzioni e morti. Se la comunità internazionale e le Nazioni Unite facessero pressione sul governo centrale, per instaurare la primazia del diritto, sarebbe un buon passo verso la costruzione di un Paese con un governo nazionale. Non un governo basato su interessi religiosi o politici, - curdi, cristiani, sciiti o sunniti - ma un governo che lavori per l’interesse dell’intero Paese.
Il problema e la vera sfida odierna è la rivalità tra i partiti politici che fanno capo a gruppi religiosi o nazionalistici, e che non guardano all’interesse del Paese. La scelta dei ministri dovrebbe essere basata sulle qualità personali e non sull’appartenenza religiosa o a partiti nazionalistici. Così potremmo costruire un Paese migliore, un nuovo Iraq.
Abbiamo chiesto alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di aiutarci nella ricerca di persone qualificate. Abbiamo spesso sentito che questa richiesta è stata osteggiata a un certo livello a causa di interessi personali di gente molto influente.
C’è comunque speranza?
Io sono ottimista di natura. Noi speriamo di poter fare qualcosa. Si tratta della nostra terra, del nostro Paese, e dobbiamo fare qualcosa per ricostruirlo. Molte sono le soluzioni. La mia speranza è che noi cristiani possiamo rimanere qui con la nostra libertà e i nostri diritti; che possiamo rimanere nelle nostre terre storiche nel Nord e nel centro presso Baghdad, con i nostri diritti culturali e politici, per riuscire a governare noi stessi.
Quando cerchiamo di costruire scuole o i nostri centri, dobbiamo chiedere al governo centrale ed è molto difficile persino costruire nei nostri luoghi storici. Lo Stato è il dominus della situazione e molti funzionari governativi ci stanno contro. Non lo ammettono apertamente, ma ci rendono la vita difficile.
Per esempio, volevamo avere un museo culturale; avevamo già l’approvazione iniziale, ma dopo l’occupazione americana il nuovo governo ha cancellato il permesso, adducendo cinque motivi per la cancellazione. Se avessimo un governo autonomo, potremmo farlo. Abbiamo chiesto di costruire un’università cristiana all’interno della zona cristiana. Abbiamo 1.300 studenti dello stesso villaggio; che non è un numero esiguo. E se si includono i cristiani delle piane di Ninive potremmo contare con 3.000 studenti e altri 500 o 600 professori cristiani che vivono nei nostri villaggi.
Eccellenza, se potesse dire due parole ai cattolici nel mondo, che appello rivolgerebbe loro?
I cristiani devono rimanere in Iraq. Dovete aiutarci a rimanere, facendo pressioni sul governo centrale iracheno perché siano rispettati i nostri diritti, la nostra presenza e le nostre libertà. Faccio un appello anche ad aiutarci con progetti concreti, che consentano ai cristiani iracheni di rimanere in Iraq.

Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

L'intervista, trasmessa il 29 novembre 2010, può essere ascoltata cliccando qui.

Nota di Baghdadhope