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22 luglio 2010

Padre Jamil Nissan, parroco a Baghdad: "Sono molto preoccupato"

By Baghdadhope*

Il territorio della chiesa dell’Ascensione a Baghdad è il più vasto tra quelli delle altre chiese cattoliche caldee della città. Si trova nel quartiere di Hay Al Hamin a Baghdad Jadida, una zona a sud est del centro abitata prevalentemente da sciiti. Il suo parroco, da ben 32 anni, è Padre Jamil Nissan che a Baghdadhope ha raccontato una vita fatta di luci e di ombre, segnata dalla speranza di non veder scomparire la presenza cristiana nel paese ma anche dalle sempre maggiori difficoltà che la comunità deve affrontare.
“Sono addolorato” dice Padre Nissan “addolorato per quanto sta succedendo al mio popolo, alla mia confessione, al mio paese.”
Padre Nissan è, e dimostra di esserlo, fieramente iracheno. “Senza offesa” dice “non cambierei un metro del mio paese con tutta l’Italia. Io amo il mio paese e la sua gente ma sono sempre più preoccupato. I cristiani stanno sparendo. Se parliamo di numeri il fenomeno è chiaro. Sebbene la fuga dal paese dei cristiani sia già iniziata dal 1991, dal tempo cioè della prima guerra del golfo e dell’inizio dell’embargo, prima del 2003 la chiesa dell’Ascensione contava circa 4000 famiglie. Dall’inizio del 2010 ho personalmente visitato 860 famiglie, in maggioranza caldee ma anche cristiane di altre confessioni, e me ne restano ancora circa 600 a voler essere ottimisti. Un bel calo. Ogni anno mancano circa 50 bambini alla prima comunione rispetto all’anno precedente, nel 2010 ho celebrato 16 matrimoni in 6 mesi mentre la media era di circa 100 all’anno e 37 battesimi contro i circa 200 del passato.”
Perché fuggono i cristiani?
“Lo fanno perché vivere in Iraq, ed a Baghdad in particolare, non è facile. A 7 anni dalla guerra mancano ancora i servizi essenziali: acqua, elettricità, raccolta rifiuti, fogne, strade, lavoro e soprattutto sicurezza. Lo fanno perché vittime di violenze. Violenze non sistematiche ma continue. Poche settimane fa proprio vicino alla mia chiesa hanno ucciso un uomo che ha lasciato una vedova e quattro figli piccoli. Ho saputo che sei famiglie imparentate con quell’uomo hanno già lasciato la zona. Una volta noi sacerdoti eravamo al corrente di ciò che i nostri fedeli facevano. Eravamo i loro referenti. Ora le famiglie partono e non lo dicono neanche a noi. Hanno paura di tutto. Liquidano per poco i propri beni, se li hanno,e fuggono via. E’ molto triste. Quelle case abbandonate molte volte in tutta fretta non saranno mai più abitate da cristiani che non avranno più soldi per acquistarle o che hanno un unico pensiero in mente: fuggire all’estero.”
La Chiesa, come istituzione, cosa fa per cercare di arginare il fenomeno?
“La chiesa non ha fatto nulla e non ha il potere di far nulla né per i cristiani rimasti in Iraq né per coloro che ora vivono all’estero. Molti sacerdoti cercano i modi per stare vicini ai propri fedeli. Non possiamo cambiare il corso degli eventi legati a scelte politiche fatte negli scorsi anni, ma possiamo far sentire la presenza della chiesa ed aiutarli come possiamo. Siamo rimasti in Iraq per il popolo, per i poveri, perché nel nostro paese il rapporto tra sacerdoti e fedeli è ancora molto stretto tanto che se un sacerdote è costretto ad abbandonare la zona in cui opera molte famiglie tendono a seguirlo. Proprio come è successo a Dora, dal 2004 teatro di molte violenze che hanno colpito la comunità e dove i rapimenti dei sacerdoti hanno svuotato la zona dei suoi abitanti cristiani.”
Nella chiesa dell’Ascensione ci sono molte attività che attirano i fedeli?
“C’è un asilo che accoglie bambini dai tre ai cinque anni e c’è una piccola infermeria dotata di laboratorio di analisi e farmacia dove ogni servizio è a titolo gratuito e dove nei quattro giorni di apertura lavorano, stipendiati dalla chiesa, quattro medici tra cui un musulmano che visitano, fanno ecografie ed eventualmente indirizzano i pazienti verso strutture più attrezzate. Questo servizio è molto apprezzato dai musulmani della zona che rappresentano il 90% dei pazienti, a volte anche solo per avere farmaci gratuiti senza neanche chiedere di essere visitati dai medici. ”
Per quanto riguarda la sicurezza?
“Sicurezza è una parola che a Baghdad ha ancora un significato strano. Il popolo iracheno ha dovuto imparare a sue spese dei comportamenti particolari. Quando vado a visitare le famiglie, ad esempio, viaggio con un autista e con una catechista perché due uomini in macchina destano sospetti mentre la presenza di una donna fa pensare ad una famiglia ed attira meno attenzione.”
Le chiese sono protette?
“Davanti ad ogni chiesa c’è un posto di blocco formato da una pattuglia della polizia ed una dell’esercito ma c’è chi pensa che in alcuni casi siano deleteri. Non solo non sono in grado di assicurare protezione in caso di attacco preordinato e ben organizzato quanto come rappresentanti del governo possono essi stessi diventare bersaglio e coinvolgere chi e cosa sta loro vicino.”
Padre Nissan, come si potrebbe uscire da questa situazione?

“Difficile dirlo. Senza dubbio non avere ancora un governo a mesi dalle elezioni è grave. Lo stato dovrà poi risolvere quelli che adesso, come ho già detto, sono i problemi di tutti i giorni: sicurezza, acqua, elettricità, trasporti, rifiuti. E’ necessario concentrare ogni sforzo nel creare posti di lavoro per i giovani che sono la vera speranza del futuro ma che non siano legati però ad una precisa appartenenza politica. Il governo non deve dimenticare la cosa più importante: il passato ci ha divisi ma il futuro non potrà prescindere da ciò che siamo, 'tutti' siamo: iracheni.”