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25 maggio 2010

Il nuovo arcivescovo di Arbil dei Caldei, Bashar Warda: l'Iraq ha bisogno di riscoprire la sua cristianità

By Radiovaticana

Una Chiesa che ricostruisce se stessa, pur avendo alle spalle l’età stessa dei Vangeli. E’ questa oggi la realtà delle comunità ecclesiali dell’Iraq, messe a dura prova – e in più parti largamente scompaginate – dal protrarsi di condizioni di vita difficili da sostenere. Ma nonostante tutto, è con fiducia che si accinge al suo nuovo lavoro pastorale il neoarcivescovo di Arbil dei Caldei, mons. Bashar Warda, alla cui elezione fatta dal Sinodo dei presuli locali Benedetto XVI ha dato ieri il suo assenso.

Emer Mc Carthy, collega della redazione inglese della nostra emittente, lo ha intervistato chiedendogli di illustrare la realtà della sua diocesi:
La diocesi nel 2005 contava circa 2500 famiglie. Oggi, è una delle più grandi comunità riunite nello stesso luogo di tutto l’Iraq. Solo ad Ankawa, ci sono 7200 famiglie cristiane, delle quali la metà viene da Mosul e Baghdad. Questo si traduce in un processo di riconciliazione con la nuova cultura e la nuova situazione del Paese. Noi abbiamo bisogno non tanto di mantenere la nostra cristianità, quanto di essere missionari nel nostro ambiente.
D.– Eccellenza, che importanza riveste la chiamata alla missionarietà per i cattolici iracheni, per i cristiani in generale? Pur avendo una delle più antiche tradizioni cristiane nel mondo, la maggior parte dei cristiani iracheni continua a lasciare il Paese, nonostante gli appelli a rimanere lanciati da molti vescovi...
Se riflettiamo sulla Dottrina sociale della Chiesa, penso che la Chiesa possa fare molte cose qui: tutto l’ambiente aspetta che la Chiesa dia il via, ad esempio, a nuove iniziative nel campo dell’educazione e della sanità, perché la comunità è alla ricerca un’entità che offra servizi con onestà, gentilezza e amore. Tutte queste cose sono parte del messaggio della Chiesa, fanno parte delle sue attività sociali. In questi ambiti, possiamo lanciare iniziative per la nostra comunità irachena, non solo per i cristiani ma per tutti gli iracheni, partendo da quella diocesi che gode di uno status di maggiore sicurezza rispetto alle altre. Possiamo incominciare con questa iniziativa a incoraggiare i nostri giovani, per dire loro che ci sono posti dove possono lavorare ed essere attivi nella propria comunità. Non possiamo chiedere ai giovani di tornare a casa se non offriamo loro delle opportunità. Come molti, penso che oggi la Chiesa abbia la migliore occasione per agire in alcuni campi sociali, come appunto l’educazione e la sanità, e diffondere lì la Buona Novella. Noi vorremmo vedere la Chiesa e la cristianità non soltanto come comunità di fatto, ma come una comunità attiva.