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3 marzo 2010

Cristiani in Iraq, il grido di Padre Mazen. «Così hanno distrutto la mia famiglia»


di Lorenzo Cremonesi

KARAKOSH (Iraq)—Assassini a sangue freddo, tanto sicuri di se stessi da raggiungere in motocicletta a volto scoperto l’abitazione delle loro vittime. E uccidere, violentare, terrorizzare, rubare con la freddezza di chi sa che comunque resterà impunito.
Così padre Mazen Matoka (36 anni) descrive, attraverso i racconti dei superstiti della sua famiglia, i tre sicari che alle sei del pomeriggio di martedì 23 febbraio hanno fatto irruzione nella sua villetta nel quartiere di Haissah, nel cuore di Mosul, capitale petrolifera dell’Iraq settentrionale. «Io in quel momento ero in chiesa. Mia mamma sostiene che non potevano avere più di 23 anni. Uno tremava quando ha sparato a mio padre Jeshu (69 anni) e i miei due fratelli, Mukhlas di 34 anni e Bassem di 43: ha sbagliato quasi tutti i colpi. Ma gli altri due sono stati precisi. Hanno mirato con le pistole da pochi centimetri alla bocca, poi alla testa e quando i miei cari sono caduti a terra hanno tirato ai polmoni. Sono morti subito». Si ferma qui padre Mazen, diventato in questi giorni il simbolo della persecuzione anti-cristiana nell’Iraq ancora sconvolto dalle violenze interconfessionali.
Fonti molto vicine alla polizia di Erbil, la città curda non poco distante dal villaggio di Karakosh dove hanno trovato rifugio molti dei profughi cristiani di Mosul, parlano di violenza carnale alle donne, forse le due sorelle del parroco Mazen, Ikhlas di 39 anni, e Linda di 20. Lo ripetono anche Yonadam Kanna e Ablahad Sawa, gli unici due deputati cristiani al parlamento di Bagdad. E lo dicono spaventati i profughi in fuga. «I terroristi islamici violentano le donne. A Mosul non si può restare. Stanno annichilendo 2.000 anni di storia dell’Iraq cristiano », dicono Miriam e Yussuf, fratello e sorella meno che ventenni di una famiglia carica di valigie incontrata sulla provinciale a nord di Mosul e diretta verso Istanbul.

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