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25 febbraio 2010

Il nunzio a Baghdad: chi vuole distruggere la presenza cristiana in Iraq distrugge la storia della nazione


Un’Iraq senza cristiani: è il fosco scenario che, giorno dopo giorno, si materializza in una terra dove il Cristianesimo è presente fin dalle origini. Una “via Crucis”, quella che sta vivendo la comunità cristiana irachena, che il Papa segue con profondo dolore. Le ultime uccisioni a Mossul contro civili inermi hanno spinto il vescovo di questa diocesi martire, mons. Emil Shimoun Nona, a parlare di “emergenza umanitaria”.
Intanto, mentre il governo iracheno ha deciso di creare una commissione di inchiesta sulle violenze anticristiane a Mossul, centinaia di fedeli hanno deciso, nelle ultime ore, di abbandonare la città. Ma i cristiani vogliono restare in quella che da sempre è la loro terra.
E’ quanto sottolinea il nunzio in Iraq, mons. Francis Assisi Chullikat, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – I cristiani sono qui da 2000 anni e condividono in tutto, con il resto della popolazione, la storia irachena. Quindi, ogni tentativo di diminuire la presenza cristiana oppure addirittura distruggere la presenza cristiana in Iraq vuol dire distruggere la stessa storia della nazione irachena. I cristiani, infatti, sono parte integrante di questa nazione che vorrebbero costruire insieme, specialmente in questa fase della ricostruzione del Paese. In questi anni, hanno un ruolo importante che stanno cercando di svolgere appieno. Il contributo dei cristiani, di tutte le Chiese cristiane che sono presenti in Iraq è importante per il futuro del Paese. I cristiani, da parte loro, cercano di vivere la loro vocazione, la loro missione perché tutti possano essere partecipi di un unico futuro che porti alla prosperità e alla pace della popolazione irachena. In questo senso, vorrei che le autorità locali, possibilmente anche la comunità internazionale, possano dare il loro appoggio ai cristiani iracheni affinché vivano in tranquillità la loro vita in Iraq e professare e testimoniare la loro fede in tutta sicurezza.
D. – Nonostante le violenze, i cristiani iracheni continuano ad essere promotori di riconciliazione…
R. – I cristiani sono, in realtà, proprio i promotori della riconciliazione e della pace in Iraq. Tutte le Chiese irachene sono coinvolte nel dialogo interreligioso, sono in contatto costante con la comunità musulmana in Iraq; ancora adesso ho ricevuto una delegazione composta da sunniti e sciiti che sono venuti in nunziatura per esprimere la loro solidarietà in questi tempi difficili per i cristiani, specialmente a Mossul. Questo vuol dire che i cristiani certamente sono promotori della pace e della riconciliazione in Iraq, e questo ruolo importante che stanno svolgendo è apprezzato anche dal governo. Purtroppo, in questi momenti difficili, sembra che le autorità locali non riescano a controllare la violenza che viene commessa contro la popolazione irachena. Ma questo non vuol dire che i cristiani non continueranno nei loro sforzi per promuovere la riconciliazione nella popolazione irachena, continuando sempre, perché questo fa parte della vocazione della Chiesa stessa in Iraq.
D. – Il Papa ha chiesto tante volte, anche ultimamente, alle autorità irachene e internazionali di fare il possibile per garantire la sicurezza dei cristiani dell’Iraq. Vuole rivolgere anche lei un appello, attraverso i microfoni della Radio Vaticana?
R. – La comunità internazionale farebbe molto bene a prendere a cuore la sorte delle minoranze in Iraq, specialmente i cristiani che sono i più esposti a questo tipo di violenze che accadono in questo periodo, e in particolare a Mossul. La protezione delle minoranze è importante perché sono i senza voce della società, e quindi l’unica maniera in cui possono far sentire la loro voce è tramite le istanze internazionali. Per i cristiani è importante che i loro diritti vengano salvaguardati e tutelati a livello nazionale, che il loro futuro sia salvaguardato e tutelato.Più volte in questi giorni di tensioni in Medio Oriente è stata sottolineata l’importanza del dialogo tra cristiani e musulmani nella regione, legata proprio alla presenza della comunità cristiana nella zona.

Al microfono di Giada Aquilino, ascoltiamo il padre siriano Mtanious Hadad, rettore della Basilica cattolica melkita di Santa Maria in Cosmedin a Roma e rappresentante del Patriarca Gregorios III Laham.
Il religioso è intervenuto al recente Convegno della Comunità di Sant’Egidio “Il futuro è vivere insieme”:
R. – Il dialogo è possibile, perché questo è l’unico modo per poter vivere insieme: non si può fare una divisione tra mondo arabo musulmano e mondo occidentale cattolico o cristiano. Noi siamo cristiani dal primo momento della nascita del cristianesimo: allora noi eravamo già in quelle terre e ciò vuol dire che siamo cristiani arabi di nascita e di identità. Non vogliamo lasciare il Medio Oriente, apparteniamo a quel Paese, abbiamo vissuto questo dialogo interreligioso per 14 secoli. Momenti difficili ci sono stati in passato e ci sono attualmente in Libano, in Iraq, momenti difficili di dialogo tra musulmani e cristiani, ma questo non vuol dire far emigrare i cristiani.
D. – Quindi il futuro del Medio Oriente, nonostante le guerre e le tensioni, per dove passa?
R. – Adesso è un momento veramente difficile, ma se vogliamo parlare di speranza bisogna ritornare a questo dialogo, al fatto che i musulmani possono capire che i cristiani appartengono a quel mondo e anche noi con loro abbiamo partecipato alla nascita di una cultura araba. Bisogna tornare ad un modo veramente moderno di dialogare, di conoscersi l’un l’altro, perché ancora adesso la maggior parte dei problemi nasce dall’ignoranza circa la presenza dei cristiani in Medio Oriente e riguardo alla ricchezza che hanno dato alla cultura araba.