Pagine

9 febbraio 2010

Baghdad. I ricordi nelle pietre o le pietre dei ricordi?

By Baghdadhope*

Nell’ambito del processo di de-baathificazione dell’Iraq, dell’annullamento cioè di ogni ricordo o legame con il passato regime di Saddam Hussein, che è già passato attraverso il fallito tentativo del governo a maggioranza sciita di escludere dalle prossime elezioni politiche del 7 marzo 500 candidati accusati di avere simpatie ba’athiste o legami con il vecchio partito, nulla viene risparmiato: neanche le pietre.
Nel 2005 il governo iracheno creò il Committee to Remove the Remains of the Baath Party and to Consider Building New Monuments and Murals, il comitato che da allora si sarebbe occupato di cancellare ogni traccia dei resti del partito Ba’ath e di costruire nuovi monumenti.
Così furono distrutti alcuni monumenti dedicati alla guerra tra Iraq ed Iran, ed altri che ricordavano la grandezza del leader che li aveva fortemente voluti in un impeto di autocelebrazione.
Nel 2007 il comitato decise addirittura l’abbattimento di quello che è certamente diventato il monumento più fotografato di Baghdad, non fosse altro perché si trova all’interno della Green Zone, la zona a controllo americano, e quindi a portata di click per ogni soldato o contractor che di lì è passato: le famose spade incrociate di Saddam che, in doppia copia chiudono le estremità del Ground Parade, il lungo viale dove il regime magnificava se stesso in grandiose parate.
Quella volta i lavori furono sospesi ma ora sembra che la distruzione di quello ed altri monumenti sia imminente.
Il governo ha già infatti avviato quella del bianco monumento intitolato “l’unione” ideato da Ala Albashir, medico di Saddam Hussein, ma anche pittore e scultore, e che accoglieva a Baghdad i viaggiatori provenienti via terra dalla Giordania.
La decisione non ha mancato di suscitare reazioni controverse.
La distruzione dei monumenti appartenenti ad un periodo storico rappresenta un tentativo – vano – di cancellazione della memoria umana.
Le vittime della brutalità del regime iracheno non dimenticheranno le proprie sofferenze solo perché la città sarà ornata di nuovi monumenti, perché più che nel marmo il dolore è scolpito nei loro cuori.
Coloro che invece guardano con nostalgia al passato non smetteranno di farlo solo grazie alla distruzione dei suoi simboli.
Cancellare il passato è inutile quindi. Ed anche politicamente miope. L’essere umano tende a dimenticare le disgrazie altrui, le pietre servono invece a renderle sempre presenti alla memoria.
Coloro che hanno sperimentato la tragedia dell’essere governati da un regime brutale come quello iracheno dovrebbero quindi preservare quelle pietre per “capitalizzare il dolore”, per far sì che esso non sia dimenticato, che serva da monito alle future generazioni.
Che senso avrebbe avuto, ad esempio, abbattere, radere al suolo i campi di sterminio nazisti?
La loro sparizione sarebbe servita a coloro che lì sono sopravvissuti a lenire il dolore dei ricordi? O a convincere qualcuno dell’orrore della guerra e del tentativo di annullamento fisico del nemico?
Conservare quei campi ha significato invece permettere ai giovani di visitarli, nella speranza che il loro avvicinarsi al dolore che quei luoghi evocano li porti domani ad opporsi a qualsiasi violenza.
In un’ipotetica Baghdad del futuro, se e quando chiunque potrà recarvisi, proprio quei monumenti terribili serviranno a chi la visiterà a sapere ciò che vi è successo. Ad enumerare le popolazioni che lì sono state represse tra le altre già note nel mondo, evitando che le loro sofferenze cadano nell’oblio.
Il desiderio di cancellare il passato, per quanto legittimo, è miope. Non si tratta di preservare delle opere d’arte – obiettivamente quei monumenti non lo sono – né di voler glorificare attraverso la loro conservazione il passato regime, ma di capitalizzare il dolore nella speranza di evitarlo in futuro.

Foto da: Elaph.com