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9 settembre 2009

Ninive "un ghetto" funzionale alla spartizione

Fonte: Avvenire 8 settembre 2009

di Camille Eid

Dei 600 mila cristiani rimasti in Iraq fino a dieci anni fa, una buona metà ha ormai rag­giunto una nuova patria in America, Australia o Euro­pa, oppure spera di rag­giungerla presto aspettando il visto in qualche Paese del Medio Orien­te. L’altra metà risulta per lo più con­centrata nella Piana di Ninive, una fertile zona stretta tra il Tigri e il Grande Zab, considerata da molti i­racheni cristiani come la propria pa­tria. All’inizio della guerra, nel 2003, molte famiglie cristiane hanno pre­ferito lasciare Baghdad per riparare a Mosul o nei loro villaggi d’origine dislocati nella Piana, all’interno del­la zona autonoma curda. Una cre­scente concentrazione che sta tra­sformando la Piana in un grande ghetto. Solo la campagna di terrore scatenatasi a Mosul nell’ottobre del­l’anno scorso ha portato all’esodo di 2350 famiglie cristiane da questa città settentrionale, per un totale di almeno 13mila persone. Oggi, i cri­stiani sfollati vivono principalmen­te a Bakhdida (detta anche Qaraqo­sh), Bartela, Batnaya, Tellsqof, Telkaif, Baashiqa e Alqosh. Su chi cada la responsabilità di que­sti esodi forzati non è chiaro. «Se die­tro gli attentati sono gli estremisti islamici – dice l’arcivescovo di Kirkuk Louis Sakol’obiettivo non può che essere l’esodo dei cristiani verso al­tri Paesi piuttosto che verso una pur ridotta zona irachena. Ci sono pro­babilmente altri piani di spartizio­ne dell’Iraq». Di sicuro, la pulizia etnico-religiosa giocata tra sunniti e sciiti a Baghdad, come tra sunniti e curdi nelle zone disputate dell’Iraq settentrionale, è finita per danneggiare proprio i cri­stiani. I curdi – che controllano mi­litarmente Mosul – accusano le ban­de armate sunnite legate ad al-Qae­da di espellere i cristiani da questa città, mentre i partiti sunniti la but­tano proprio sui peshmerga curdi. Gli uni e gli altri hanno gli occhi pun­tati alle elezioni legislative, fissate per il 30 gennaio 2010. Creare un cli­ma di violenze in vista della tornata elettorale, quindi, per costringere i cristiani a un esodo forzato verso u­na zona determinata. Il “no” alla ghettizzazione e alla crea­zione di una “zona sicura” è stato ri­badito più di una volta dalla gerar­chia cristiana irachena. «Creare una enclave nella piana di Ninive porterà so­lo a delle complicazioni nel Paese», assicura un e­sperto caldeo. «Nel miglio­re dei casi – aggiunge – es­sa diventerà una zona cu­scinetto fra arabi e curdi e potrà essere strumentalizzata. La missione della nostra Chiesa è quella di essere un ponte fra le di­verse culture in un Paese fondato su criteri civici, non in un Iraq di­viso che corre il rischio di ripiegar­si su se stesso». «Ogni movimento massiccio di po­polazione provocato dalla violenza o dall’incertezza per il futuro è per sua natura ambiguo», osserva l’ar­civescovo latino di Baghdad, Jean Benjamin Sleiman. Ninive, «I programmi di ripopolamento nella Piana di Nini­ve o in qualsiasi altro posto, aggiun­ge, rimane un miraggio irrealizzabi­le, un progetto pericoloso che met­terebbe a rischio il futuro della Chie­sa irachena». Sono tutti concordi nel ritenere che lo scopo di riunire i cristiani in un so­lo luogo non è la volontà di meglio proteggerli. Vuole invece dare l’idea che la divisione politica sia l’unica possibilità per il futuro dell’Iraq. Ai cristiani interessa, invece, rimanere fedeli membri di una nazione che sarà multireligiosa o non sarà. Dall’ottobre dello scorso anno 2.350 famiglie, per un totale di almeno 13mila persone, si sono concentrate nella piana: lì sunniti e curdi hanno campo libero.