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9 luglio 2009

La Costituzione dell’Iraq e le minoranze non islamiche: il caso della comunità cristiana


Tratto dal numero 2/2009 della "Rivista di Studi Politici" dell'Istituto di Studi Politici "S.PioV°" (Roma)

di Fausto Fasciani

Arabi e curdi al momento della caduta di Saddam Hussein
La caduta di Saddam Hussein, avvenuta nel 2003, provoca una situazione di forte rivolgimento: molti leader rientrano in patria dall'esilio e nascono nuove formazioni politiche nelle quali l'elemento religioso è preponderante. Il tutto sotto lo sguardo e con l'aiuto interessato dei paesi confinanti, in primis l'Iran che più ha potuto giovare delle conseguenze dell'invasione anglo-americana dell'Iraq. Il vero elemento di novità è costituito dall'irrompere sulla scena politica della maggioranza sciita (63% della popolazione) al cui interno spicca da subito la figura dell'anziano leader l'ayatollah Ali Al Sistani che sotto il regime di Saddam ha passato lunghi anni agli arresti. Al Sistani rispetta la separazione tra religione e politica e, da subito, adotta una posizione conciliante nei confronti della colazione anglo-americana attirandosi così la dura contestazione dei leader radicali come il giovane Moqtada Al Sadr. Gli sciiti, vessati da Saddam, costituiscono la parte della popolazione più povera e sono concentrati nelle periferie cittadine (come Sadr City a Baghdad) e nelle zone agricole del Sud. Dal canto suo la comunità sunnita, la stessa dalla quale proveniva il Raìs, rappresenta un terzo della popolazione. I sunniti, la "borghesia" irachena, hanno formato l'ossatura politico-amministrativa del regime baathista e per questo si trovano nella difficile condizione di dover affrontare la rabbiosa rivalsa sciita. All'interno dei sunniti spiccano il Partito Islamico dell'Iraq che si ispira all'ideologia dei Fratelli Musulmani e l'Associazione del Clero sunnita che ha mantenuto i rapporti tra le forze anglo-americane e le organizzazioni terroristiche legate ad Al Qaeda che, in un primo momento, insieme ai gruppi radicali wahabiti, s'infiltra nella comunità sunnita per poi venirne espulsa dalla stessa. I rapporti tra le due grandi famiglie dell'Islam sono stati sempre conflittuali, ma, all'inizio, proprio sul terreno della contrarietà al permanere degli eserciti occidentali sul territorio nazionale e sull'introduzione della shari'a, la legge coranica si registra una saldatura tra i gruppi estremistici delle due comunità musulmane. I curdi, dal canto loro, si dividono al loro interno tra il Partito democratico del Kurdistan di Massoud Barzani e l'Unione Patriottica del Kurdistan guidato dall'attuale capo di Stato iracheno Jalal Talabani. Entrambe le formazioni sono d'impronta nazionalista ed hanno come programma l'autonomia, se non l'indipendenza, del Kurdistan. Al Qaeda è presente anche all'interno della componente curda tramite l'organizzazione Ansar al-Islam. Dal punto di vista religioso la stragrande maggioranza dei curdi è islamica sunnita, ma non mancano anche i cristiani ed alcune piccole comunità ebraiche. Comunque, il tratto comune a tutti gli iracheni è forte il sentimento nazionalista(1) che vuole una nazione indipendente.
Il processo di formazione della Costituzione
L'attuale Carta fondamentale dello Stato iracheno è stata preceduta dalla costituzione provvisoria(Transitional Administrative Law)(2) che, nata da un accordo consensuale tra gli anglo-americani e l'ayatollah Al Sistani, non ha goduto di largo consenso anche a causa di due nodi presenti anche nella Carta attuale: l'assetto amministrativo dell'Iraq per il quale si è scelta la forma federale e la libertà religiosa. Nel gennaio 2005 si tengono le elezioni nazionali per la costituzione di un governo provvisorio e dell'assemblea costituente. I lavori preparatori della commissione incaricata della stesura della Costituzione composta da circa settanta membri rappresentativi dei diversi gruppi parlamentari sono molto complessi e travagliati anche dall'uccisione di tre membri sunniti. All'avvio dei colloqui le diverse parti in causa si scontrano su una serie di problematiche quali lo status del Kurdistan iracheno, la ripartizione delle ricchezze petrolifere del paese e, di nuovo, i rapporti tra le religioni e lo Stato. In materia religiosa gli sciiti si dividono in due grandi gruppi: da una parte c'è chi, come il Consiglio superiore della Rivoluzione Islamica, sostiene l'idea di una "repubblica federale islamica" mentre dall'altra i leader come il premier Jafaari ed il suo predecessore Allawi, appoggiati da Al Sistani, ritengono dare uno spazio importante, ma non preminente all'Islam. Questi ultimi ritengono che l'islam sciita è compatibile la libertà religiosa a patto che siano garantiti alcuni valori islamici di carattere morale. L'altro grande gruppo religioso islamico, i sunniti, frammentato dal punto di vista politico, osteggia il federalismo in quanto ritiene che questo rafforzerebbe curdi e sciiti che, all'interno di zone autonome ricche di pozzi petroliferi come Kirkuk e Bassora, godrebbero degli introiti dell'oro nero e aprirebbe la strada alla repubblica islamica, ipotesi quest'ultima, contrastata anche dai cristiani. Il 2005 è un anno fondamentale per l'avvio del processo istituzionale iracheno. Il 30 gennaio, come già accennato, si svolgono le elezioni legislative che vedono la mancata partecipazione dei sunniti e la vittoria della lista sciita dell'ayatollah Al Sistani che conquista la maggioranza assoluta con 140 seggi su 275 seguita dall'alleanza dei partiti curdi con 75 seggi. I cristiani divisi in varie formazioni si assicurano solo sei seggi. Shlimoun Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad così commenta il risultato elettorale "Le elezioni hanno mostrato la speranza degli iracheni in un Governo stabile e democratico, dotato di una Costituzione che garantisca i diritti di tutti". Il Parlamento il successivo 28 agosto approva il testo finale della Costituzione senza alcun dibattito a causa delle pressioni degli occupanti. Un mese prima Paul Wolfowitz, allora vicesegretario alla Difesa dell'amministrazione Bush era stato perentorio: "non vogliamo ritardi. Gli iracheni dovranno fare i compromessi necessari e farseli andare bene".(3) La Carta prevede che l'Iraq sia una repubblica parlamentare e federale. Il testo non ottiene l'appoggio della componente sunnita che, contraria al federalismo, non si reca il successivo 15 ottobre alle urne per il referendum di ratifica.
I principi costituzionali in materia di tutela delle minoranze e di libertà religiosa
Nel preambolo si fa riferimento all'eredità laica e religiosa della nazione, erede della Mesopotamia definita "patria degli apostoli e dei profeti, la dimora degli imam puri". Nell'art. 3 si afferma che l'Iraq "parte del mondo islamico" è molteplice per le sue nazionalità, religioni e confessioni. L'art. 4 definisce ampi diritti per le minoranze etniche, specialmente per i curdi. Sia l'idioma curdo che quella arabo diventano le lingue ufficiali e dovranno comparire sui documenti pubblici, banconote, francobolli e passaporti. I bambini delle minoranze turcomanna, assira ed armena potranno studiare le loro lingue nelle scuole pubbliche. L'articolo 122 aggiunge che la Costituzione garantisce i diritti amministrativi, politici culturali ed educativi delle stesse nazionalità. Per quanto attiene alla materia religiosa l'art. 2 istituisce l'Islam come religione ufficiale di Stato e fonte primaria della legislazione, ma non unica avvicinando così la Carta irachena a quella di paesi laici come Egitto, Tunisia e Siria. Il medesimo articolo, però, sancisce che nessuna legge può contraddire le "costanti dei precetti dell'Islam". Quindi se da una parte l'Islam non è considerato come unica fonte di diritto così come volevano gli sciiti radicali e i sunniti vicini ai circoli wahabiti, dall'altra si rinvia il problema della costituzionalità delle leggi ordinarie al Parlamento ed alla Corte Suprema che sarà formata da giudici ed esperti in "giurisprudenza islamica" (art. 90) ed il cui statuto viene fissato da una legge votata dai due terzi del Parlamento. Il rischio è che qualunque norma può essere interpretata secondo la sensibilità religiosa della comunità che in una dato momento gode di larga maggioranza parlamentare. Viene poi garantita la libertà di religione e di culto di cristiani, yazidi e sabei citati esplicitamente, e per la prima volta, nel testo costituzionale. Allo stesso tempo il medesimo articolo richiede che le leggi non contraddicano "i principi democratici, i diritti e le libertà basilari". L'articolo 21 assicura la libertà religiosa e le pratiche religiose "di tutti gli individui". L'articolo 39 sancisce in materia di statuto personale la libertà dei singoli di conformarsi alle regole delle rispettive religioni o dottrine senza però specificare su quale base giuridica si può risolvere un eventuale conflitto tra queste. Ogni individuo beneficia della libertà di pensiero, coscienza e dottrina (art. 40) mentre l'art. 41 dà libertà ai fedeli di praticare i loro culti religiosi,compresi i culti sciiti hussainiya (vietati sotto Saddam) e di gestire i loro beni ed istituzioni religiose.
La comunità cristiana: lineamenti storici
I cristiani iracheni sono parte integrante delle attuali popolazioni mesopotamiche (antichi sumeri, babilonesi, caldei ed assiri) e la maggior parte di loro oltre all'arabo parla il Suret, una lingua simile a quella parlata da Gesù. La "Plantatio Ecclesiae" risale alla predicazione dell'apostolo Tommaso. Su 22 milioni di iracheni i cristiani sono circa ottocentomila pari quindi al 3 per cento della popolazione anche se, secondo altre fonti, i cristiani sarebbero addirittura scesi ben al di sotto dell' 1 per cento. Diversi sono i riti: assiro-nestoriano, siro-cattolico, siro-ortodosso, armeno ortodosso e caldeo. Fino al IV secolo la chiesa irachena era detta "Chiesa di Persia" per poi divenire "Chiesa d'Oriente" al concilio di Efeso del 431 quando diviene autonoma per seguire l'eresia di Nestorio che teorizza le due nature, umana e divina, di Cristo. Nel corso del nostro medioevo la Chiesa d'Oriente conosce un grande sviluppo che la vede arrivare fino ai confini della Mongolia con ben 250 diocesi e centinaia di monasteri. I cristiani si distinguono nella scienza medica, nella filosofia e nell'amministrazione pubblica. E' Tamerlano nel XIV secolo a distruggere questa fiorente chiesa e a costringere i fedeli a rifugiarsi sulle montagne tra la Turchia e la Persia. Nel 1553 la Chiesa d'Oriente si divide in caldea ( in comunione con Roma) ed assira. Il genocidio degli armeni da parte dei Turchi coinvolgerà anche i cristiani iracheni e nel 1933 anche gli assiri, che avevano appoggiato le truppe inglesi attratti dalla possibilità di costituire un loro Stato indipendente, sono massacrati dalle truppe irachene. Sono gli anni dell'emigrazione: molti cristiani fuggono verso l'Europa e gli Usa mentre molti altri si rifugiano nei paesi confinanti. Durante il regime di Saddam Hussein i cristiani godono di una relativa libertà. La Costituzione del 1970 riconosce la personalità giuridica alle confessioni cristiane anche se a livello privato vige il regime della shari'a . Il regime sostiene il restauro e la costruzione di chiese e nelle scuole confessionali si insegna liberamente il catechismo. Pur costituendo insieme ai musulmani sunniti la base sociale sulla quale si fondano l'economia e l'amministrazione pubblica irachene, i cristiani vengono chiamati a svolgere il servizio militare e per "saggiare"la loro lealtà vengono impiegati nelle truppe più avanzate al fronte nella guerra contro l'Iran e coloro che finiscono nei campi di prigionìa khomeinisti subiscono vessazioni a motivo della loro fede. Inoltre, l'antico monastero di Mar Odisho e centinaia di villaggi cristiani del nord vengono poi distrutti dalle truppe irachene nelle operazioni contro i curdi e abbandonati dalla popolazione che si rifugia a Baghdad nel quartiere di Dora. La crisi economica derivante dall'embargo decretato dalle Nazioni Unite in seguito alla prima Guerra del Golfo e la conseguente politica del regime di Saddam tesa a favorire il fondamentalismo islamico in chiave anti-occidentale costringono circa 150mila cristiani ad emigrare all'estero. Nel marzo 2003 cade il regime baathista, a Luglio muore il patriarca caldeo Raphael Bidawid I ed al suo posto viene eletto a dicembre Mar Emmanuel III Delly che prevale su Antoine Audo e Sirhad Jammo vescovi rispettivamente di Aleppo in Siria e di San Diego in California. Se Bidawid non vedeva alcuna distinzione tra la fede e la nazionalità "araba", Delly, sensibile alle argomentazioni della diaspora, rivendica l'identità etnica dei cristiani. In una lettera indirizzata all'amministratore civile statunitense Paul Bremer i vescovi scrivono "che i caldei rappresentano la terza componente etnica dopo gli arabi e i curdi". Questa posizione crea delle frizioni tra caldei ed assiri: mentre i primi sono cittadini leali e legati all'universalismo romano i secondi, fedeli alle proprie tradizioni culturali e religiose, perseguono da tempo il progetto di una Chiesa - nazione assira. Nell'ottobre 2003 su questo tema si era svolto a Baghdad un congresso che si era concluso con un accordo sul termine unificatore assiro-caldeo. Poi il 20 agosto 2005 le lobbies dell'emigrazione caldeo- assiro-siriaca, facendo pressione sui deputati al Congresso Usa ottengono il riconoscimento degli assiri come popolo autoctono. Di conseguenza la Carta consacra i termini assiro e caldeo in maniera separata (4). Il primo attacco massiccio contro i cristiani avviene il 1° agosto 2004 quando quattro autobombe due a Baghdad e due a Mossul, esplodono vicino a delle chiese provocando dieci morti e cinquanta feriti. Nelle settimane successive, secondo cifre fornite dal governo iracheno, ben 40 mila cristiani abbandonano il paese. Il leader al Sistani lancia una fatwa, imponendo agli sciiti di non toccare i gruppi religiosi minoritari in Iraq in quanto sono parte del popolo iracheno. Malgrado ciò, i cristiani continuano ad essere nel mirino di organizzazioni terroristiche e malavitose. Si susseguono attacchi intensi e coordinati contro chiese, sedi episcopali che vengono chiusi per ragioni di sicurezza. Significativo, in tal senso, il caso del Babel College la facoltà di teologia di Baghdad che, insieme al seminario, maggiore sono chiusi e trasferiti nel più sicuro Kurdistan iracheno. L'edificio del Babel College è stato quindi occupato dall'esercito degli Stati Uniti che nel 2007 vi ha installato una propria base per poi restituirlo alla Chiesa solo nel novembre del 2008. A questo poi si aggiungono le violenze contro il clero e le famiglie cristiane quali il pagamento della jizya, una tassa imposta ai non musulmani pena la perdita della casa, i rapimenti a scopo di estorsione e le uccisioni di sacerdoti e diaconi tra le quali quelle eccellenti di padre Ganni e di mons. Paulos Faraj Rahho, arcivescovo di Mossul. Secondo i dati rilasciati dall'episcopato caldeo dal 2004 ad oggi, 750 cristiani hanno perso la vita in attentati mentre 200 mila hanno abbandonato le quattro grandi città di Bassora, Baghdad, Mossul e Kirkuk per emigrare verso i paesi limitrofi come Giordania, Siria, Turchia e Libano oppure verso il Kurdistan iracheno le cui autorità, al fine di attirare nell'area le competenze professionali dei cristiani, stanno investendo ingenti risorse nel restauro di chiese e villaggi. In più occasioni Benedetto XVI ed altri esponenti vaticani ad alto livello, quali il cardinale Leandro Sandri, prefetto per la Congregazione delle Chiese Orientali e l'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato e già nunzio apostolico a Baghdad (ed unico diplomatico a non lasciare la città durante l'attacco anglo-americano del 2003), hanno espresso pubblicamente la loro preoccupazione per la grave situazione delle comunità cristiane dell'Iraq e dell'intero Vicino Oriente e non si esclude che su questa problematica possa essere convocato un Sinodo.
Il governo di Baghdad, che pure ha espresso comprensione alle gerarchie cristiane invitando i cristiani a non lasciare il paese è di fatto impotente di fronte all'escalation di violenza che, pur coinvolgendo tutti iracheni, vede i cristiani in una situazione resa più difficile dal fatto che si trovano in mezzo alla lotta, resa più aspra dall'esecuzione capitale di Saddam, che vede opposti i sunniti agli sciiti.
La comunità cristiana e la legislazione costituzionale ed elettorale
A) La Costituzione
La gerarchia cristiana già durante i lavori preparatori della Carta costituzionale ha suggerito l'introduzione in essa di tre principi base: cittadinanza, laicità ed unità della nazione. Il 13 agosto 2005 il comitato di redazione della Costituzione ha ascoltato i rappresentanti delle minoranze non islamiche. In quell'occasione il vescovo ausiliare di Baghdad Shlimoun Warduni ha dichiarato: "Quello che vogliamo è uno Stato democratico, civile, pluralista, federale che separi la religione e lo Stato". Questo intervento era stato preceduto da una petizione sulla libertà religiosa e i diritti della donna nella quale le Chiese giudicavano "molto grave" il tentativo di islamizzazione costituzionale del paese. I vescovi poi il 24 agosto, pochi giorni prima del voto finale, inviavano alle autorità una lettera aperta nella quale insistevano sul principio di "cittadinanza" e chiedevano il riconoscimento esplicito di tutte le lingue e le nazionalità, richiesta questa, che veniva accolta. A metà settembre, dopo la forzata approvazione del Parlamento, i vescovi iracheni criticano l'articolo 2 nella parte in cui sancisce il divieto di approvare una legge che contraddica i principi dell'Islam affermando che ciò "spalanchi le porte" alla discriminazione nei confronti dei non musulmani ed accettando il fatto che l'Islam fosse definito "religione di Stato". Va anche detto che i presuli non temono la politica del premier Nuri al Maliki che ha sempre espresso nei loro confronti e dei non musulmani buona volontà quanto il rischio di una eventuale futura intolleranza da parte di una confessione sulle altre (5). Nel 2005, lo stesso Benedetto XVI°, ricevendo in Vaticano il capo dello Stato Jalal Talabani, definiva il testo costituzionale "un progresso". In una recente intervista il Patriarca Delly ha comunque affermato: "ci sono tante questioni aperte riguardo alla Costituzione: la libertà religiosa, che, ad esempio, non c'è. La Costituzione si basa sul Corano, che non può essere contraddetto da nessuna legge, mentre le fonti del diritto potrebbero essere tante, perché esistono altre religioni".(6)
B) La legge elettorale
Il 31 gennaio scorso si sono tenute le elezioni provinciali che ha riguardato 14 delle 18 provincie del paese. Alla consultazione alla quale hanno partecipato più della metà dei 15 milioni di aventi diritto al voto si è svolta in maniera relativamente tranquilla ed i candidati hanno impostato la loro campagna sulla risoluzione dei problemi pratici della popolazione. La consultazione è stata preceduta nel novembre 2008 dall'approvazione da parte del Parlamento dell' articolo 50 che, modificando la precedente legge elettorale votata appena a luglio, ha ridotto da 13 a 6 il numero dei seggi destinati alle minoranze sollevando le loro rimostranze(7).
Ai cristiani spettano solo tre seggi a Baghdad, Bassora e Mossul. Anche il rappresentante dell'Onu, Staffan de Mistura ha affermato che se la nuova legge costituisce un indubbio progresso per la democrazia la questione delle minoranze è una "nuvola nera" (8). Dello stesso avviso la gerarchia cristiana che, per bocca di mons. Louis Sako, vescovo caldeo di Kirkuk afferma che "non sono stati rispettati i diritti di tutte le minoranze". Il risultato delle elezioni ha comunque visto la sconfitta delle formazioni fondamentaliste e ciò ha incoraggiato tanti cristiani esuli a rientrare in patria.
Conclusioni
L'Iraq versa nel caos più completo:il 50 per cento della popolazione è disoccupata, mancano luce, acqua ed alloggi ed il governo centrale, che sta cercando di attirare capitali esteri,è incapace di assicurare la sicurezza (dal 2005 ad oggi oltre 82mila iracheni hanno perso la vita in attentati). Il paese, che di fatto è passato sotto la sfera d'influenza dell'Iran e in misura minore di Israele che guarda al Kurdistan, rischia la guerra civile e la disgregazione. La stessa capitale Baghad è divisa in settori dominati dalle fazioni e per questo motivo la gerarchia cristiana ha espresso delle perplessità sulla decisione dell'amministrazione Obama di ritirare le truppe entro il prossimo anno. Anche il vago testo della Costituzione, frutto di un frettoloso compromesso tra sciiti, sunniti e curdi che hanno privilegiato non l'interesse della nazione, ma quello particolare di etnìa, rischia di favorire la "cantonizzazione" del paese. Solo l'esigua e divisa minoranza cristiana avrebbe le carte per favorire la pacificazione e la ricostruzione tout court dell'Iraq. I cristiani convivono da secoli con tutte le confessioni musulmane e con tutte le etnie irachene, specialmente con i curdi e con i turcomanni e possono essere il fattore unificante della nazione e, più in generale, di dialogo tra il mondo moderno e l'Islam. Per metterli al sicuro dalle violenze l'amministrazione Bush, anche su pressione della diaspora irachena e degli evangelici, aveva proposto di assegnare ai cristiani una regione autonoma "safe haven" nella Piana di Ninive che contiene circa venti villaggi cristiani abitati da almeno 120 mila persone circondati da villaggi curdi, arabi, yazidi e shabak. Ma pressioni in tal senso vengono anche dal governo curdo che è interessato a far rientrare nella sua sfera d'influenza o addirittura, in prospettiva, inglobare questo territorio in un Kurdistan non più autonomo, ma indipendente. In parallelo anche gli assiri vedono la possibilità di realizzarvi il loro antico sogno dello Stato indipendente. Barack Obama, che da candidato alla presidenza Usa, si era dimostrato sensibile alla causa dei cristiani iracheni, sembra favorevole a questo piano che, se realizzato, a nostro avviso darebbe il colpo definitivo all'unità nazionale e renderebbe vittoriosa la violenta politica di pulizia etnico-religiosa attuata dai radicali sciiti e sunniti nei confronti della minoranza cristiana. Al contrario, Louis Sako,vescovo caldeo di Kirkuk, tacitamente appoggiato dalla Santa Sede, ha dichiarato in merito all'istituzione di questa enclave cristiana che "Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi, politici senza fine; la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita. Noi cristiani siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena[.....]Ciò che invece costituisce un bene per la comunità cristiana di questo paese è incoraggiare l'unità della nazione, la democrazia, la convivenza pacifica, la cultura pluralistica, la promozione del riconoscimento dell'altro come persona umana nel rispetto concreto della sua dignità, la collaborazione con tutti per la costruzione di una società migliore basata sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sanciti dalla Costituzione nazionale e dal diritto internazionale"(9). Parole chiare quelle del vescovo caldeo che danno il senso dell'importante, ma per taluni scomodo ruolo di stabilizzazione dell'area svolto dalle millenarie Chiese del Vicino Oriente che sono a rischio estinzione a causa dei conflitti regionali, del fondamentalismo e della crisi economica nella compiacente indifferenza dei governi occidentali.

Note
1) Dossier Fides: Le religioni dell'Iraq (2006)
2) Roberto Aliboni "L'Iraq dopo la Costituzione Interinale" su http://www.iai.it/
3) Antonio Chiovenda"La Costituzione degli Iraq" Limes 6/2005
4) Gianni Valente "I cristiani nella Babele irachena" ibidem
5) Yoseph Yacoub "L'ombra della Costituzione sul futuro dell'Iraq" in http://www.oasiscenter.eu/
6) Intervista del Patriarca Delly al mensile "30 Giorni" ottobre 2008, a cura di Giovanni Cubeddu
7) Baghdadhope "reazioni al dimezzamento della rappresentatività politica delle minoranze in Iraq" 09 novembre 2008 http://baghdadhope.blogspot.com/2008/11/reazioni-al-dimezzamento-della.html
8) "L'Iraq approva la legge sulle elezioni provinciali" Su International Herald Tribune del 26/09/2008 riportato da http://www.medarabs.com/
9) "Piana di Ninive: un ghetto per i cristiani iracheni è un'illusione" di Louis Sako in http://www.asianews.it/ del 20/4/2009 e Agenzia "Sir" 21/04/2009
10) Sulla storia e sulle prospettive dei cristiani in Iraq e nel Vicino Oriente vedi Giovanni Sale sj "I cristiani in Iraq" settembre 2007 e Antoine Audo "Storia e prospettive dei cristiani in Iraq" aprile 2008 sulla rivista "Civiltà Cattolica". Vedi quindi il volume "I Cristiani d'Iraq" di Joseph Yacoub ed. Jaca Book 2005