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7 maggio 2009

La violenza diminuisce in Iraq ma i problemi restano, dice un arcivescovo di Baghdad


By Regina Linskey, 6 maggio 2009
Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Anche se la situazione in Iraq è migliorata di recente un arcivescovo cattolico di Baghdad ha dichiarato che le sfide per i cattolici permangono. "La situazione in generale sta migliorando … la violenza è davvero diminuita … ma per me il problema c’è perché c’è ancora violenza" ha detto l'Arcivescovo di rito latino di Baghdad Jean Sleiman che ha incontrato alcuni cappellani militari degli Stati Uniti a Washington il 4 maggio.
Definendo la violenza "la lingua della politica" in Iraq l'arcivescovo ha detto che molti problemi politici - vecchi e nuovi - non sono stati risolti. Il rapporto tra arabi e curdi è teso, ha dichiarato, come quello all'interno della comunità araba musulmana tra sunniti e sciiti.
La nuova libertà acquisita dalla chiese cristiane dopo la caduta del regime del dittatore iracheno Saddam Hussein è stata una fonte di conflitto e confusione perché "molte chiese irachene non sono abituate alla libertà", ha detto Mons. Sleiman. Prima che gli Stati Uniti invadessero l'Iraq nel 2003 le persone erano protette dal regime di Saddam quando rimanevano tranquille, e "la paura avrebbe tenuto lontana la verità", ha spiegato.
Ora "abbiamo la libertà ma non ne stiamo godendo" perché gli iracheni cristiani "non ci sono abituati". "Siamo minacciati quando ci sentiamo liberi."
Il rapporto tra un pastore ed i suoi sacerdoti è cambiato così come quello tra le 14 chiese cristiane irachene, ha spiegato l'arcivescovo. Anche il ruolo della Chiesa nella società irachena è cambiato, ha aggiunto. Sotto Saddam le scuole furono nazionalizzate ma ora la chiesa gestisce 10 scuole a Baghdad, ha spiegato Mons. Sleiman. Per la prima volta i cattolici in Iraq stanno pensando alle scuole ed all’istruzione - tra "confusione e violenza". Le chiese cristiane hanno un ruolo importante nella società irachena in quanto istituzioni sociali, ha spiegato. La maggioranza degli studenti nelle scuole cattoliche di Baghdad, ad esempio, è musulmana.
Mons. Sleiman ha ricordato di quando parlando ad un altro prelato disse che "i gesuiti stavano per tornare in Iraq" e di una donna musulmana che aveva ascoltato e che disse di essere entusiasta dell’opera che i gesuiti avevano svolto nel paese. I cattolici non parlano la lingua della politica con la violenza, ha chiarito il prelato, aggiungendo che i vescovi rimangono fuori dalla politica e si occupano della società irachena e che sebbene le istituzioni cattoliche siano aperte a tutte le fedi è difficile per cristiani e musulmani lavorare insieme. "E 'più facile per i cristiani essere aperti verso i musulmani che il contrario. ... Loro (i musulmani) hanno la psicologia di una maggioranza e non capiscono i problemi di una minoranza".
L’Arcivescovo Sleiman ha spiegato come l'emigrazione sia la più grande sfida che la chiesa locale deve affrontare. Ufficialmente nella sua arcidiocesi sono registrati 5000 cattolici ma secondo lui probabilmente solo la metà sono ancora a Baghdad. I cristiani iracheni sono fuggiti a migliaia nei paesi vicini e nel nord dell'Iraq. Le famiglie sono partite ed ora, per la prima volta, gli anziani rimasti sono diventati un problema nel paese, ha detto l'arcivescovo. Dopo la riunione l'Arcivescovo Sleiman ha dichiarato al Catholic News Service che la chiesa non può fare molto per prevenire l'emigrazione. "Dobbiamo rispettare la libertà delle persone se vogliono emigrare", ha detto. "Ci sentiamo molto limitati in ciò che possiamo fare". I vescovi hanno cercato di dare l’esempio al loro gregge rimanendo nel paese e sviluppando nuovi progetti sociali ed economici per i cattolici.