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11 maggio 2009

"Cristiani, non dimenticate la dignità"

Fonte: Il Tempo

di Giuseppe De Carli

Li hanno messi il più lontano possibile dall'altare papale. Difficile vederli da quella distanza. Due-tremila in una sorta di «ghetto televisivo», mai inquadrato dalle telecamere. Hanno resistito sin quasi al termine della messa
nell'International Stadium di Amman, poi sono esplosi in una gioia incontenibile e, al passaggio della «papa mobile», sono sbucate centinaia di bandierine irachene. «Lei non ci credeva - mi dice raggiante padre Khalil Jaar, parroco della cattedrale cattolica - ma siamo andati a prenderli uno per uno, li abbiamo incoraggiati, abbiamo affittato diversi pullman ed ora sono qui per affermare che sono orgogliosi di essere cristiani e che sono disposti a tutto pur di manifestare a testa alta la loro fede».
La folla si scalda al sole avaro di Amman: «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», scandisce e sillaba in italiano in un grande abbraccio al vescovo venuto da Roma. Sul prato sintetico duemila bambini della prima comunione. «Vede quella col velo - mi interrompe durante la diretta Rai, padre Khalil - quella è irachena. Ce l'abbiamo portata noi, abbiamo comperato il vestito bianco … "Non preoccupatevi", abbiamo spiegato ai genitori: quei bambini che sono come gli angeli di Dio, sono protetti da Gesù e da Maria Vergine, hanno in tasca la foto del nostro santo protettore Giovanni Battista, nessuno li fermerà. A nessuno verrà torto un capello».
Parla a ruota libera il parroco di una Chiesa che non vuole morire in un Paese, come la Giordania, che può essere considerato modello di convivenza e di dialogo interconfessionale. Parroco di «tremila famiglie cristiane», si definisce. Dalla guerra in Iraq gli sono arrivati, come una tegola sulla testa, dai cinquanta ai sessantamila profughi iracheni, cattolici di rito caldeo. Qui nessuno ne parla. Non si vedono in giro, in una città che è uguale e pulita in ogni suo quartiere, né accampati, né ghettizzati. Non si vedono i palestinesi, il «popolo invisibile» sparso per le contrade del Medio Oriente; non si vedono gli iracheni venuti qui come rifugiati in quasi un milione.
«Hanno paura - rivela padre Khalil Jaar - sono senza lavoro ma fieri e dignitosi. Si fanno aiutare dai parenti che stanno in Europa o nelle Americhe o dalle famiglie ricche che sono riuscite a rimanere in Iraq».
Questo prete «borderline», di confine, si fa aiutare da settantacinque volontari laici: «Sono i miei coadiutori, senza essere ordinati». Sono loro che distribuiscono aiuti, avviano pratiche di riconoscimento, spediscono i bambini a frequentare gratuitamente le scuole cattoliche. Una piccola grande storia nello scenario storico della visita di un Papa in Giordania.
Benedetto XVI misura le parole. Incoraggia a perseverare nella fede, a «non dimenticare mai la grande dignità che deriva dalla eredità cristiana; a non venire mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i fratelli della Chiesa».
Non usa mai Benedetto XVI la parola «iracheni» o «palestinesi» mentre si prega per loro durante la messa. È il mistero di una liturgia che unisce ciò che la politica divide, che affratella laddove sembra ci siano solo odio, esclusione, inimicizia. La messa raccoglie circa trentamila fedeli. La Chiesa cattolica batte un colpo in un Paese arabo. È presente, si sente viva, è un fermento positivo della società. Canti e preghiere in arabo, bizantino, latino, invocazioni in aramaico, la lingua di Gesù. Da far venire la pelle d'oca. «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», si canta fino allo sfinimento.
Il Papa osserva questo piccolo, prezioso gregge disperso. Una reliquia di santità e di gioia. Sulla «papa mobile» anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, sua Beatitudine Fouad Twal. Ci hanno detto che, osservando quel popolo in festa attorno al Papa, è scoppiato in lacrime. La notizia è da verificare, ma fa piacere pensare che sia andata proprio così.